Per la quarta volta sotto la regia del fido Gennaro Nunziante, il comico pugliese Checco Zalone attacca in Quo vado? gli irrinunciabili al posto fisso e tutti i loro privilegi grottescamente sfruttati.
Musicista in cerca di successo in Cado dalle nubi (2009), addetto alla sicurezza del Duomo di Milano in Che bella giornata (2010) e padre squattrinato impegnato a regalare una vacanza da sogno al figlio in Sole a catinelle (2013), il comico della trasmissione televisiva Zelig Checco Zalone (all'anagrafe Luca Medici) torna sul grande schermo per la quarta volta sotto la regia di Gennaro Nunziante, insieme al quale è anche co-sceneggiatore di Quo vado?, che, come di consueto, non manca di frecciatina ai milanesi già durante i primissimi minuti di visione.
Stavolta, però, il famigerato contrasto tra Nord e Sud - che aveva caratterizzato soprattutto le prime due pellicole - si spinge ben oltre i confini dell'Italia; in quanto, nel momento in cui il governo vara la riforma della pubblica amministrazione che decreta il taglio delle province, dopo anni trascorsi nell'ufficio provinciale caccia e pesca l'esilarante pugliese classe 1977 viene convocato al ministero dalla spietata dirigente Sironi alias Sonia Bergamasco e messo di fronte a una scelta difficile: lasciare il posto fisso o essere trasferito lontano da casa.
Medici senza frontiere!
Ed è seguendo i consigli del senatore Binetto incarnato dal veterano Lino Banfi che il caro vecchio Checco resiste all'accettazione delle dimissioni spingendo la donna - fortemente intenta a portarlo a cambiare idea - prima a farlo girovagare in diverse località dello stivale tricolore affidandogli i ruoli più improbabili e pericolosi, poi ad inviarlo addirittura in una base scientifica nell'Artide, con il compito di difendere i ricercatori dall'attacco degli orsi polari.
Incarico che gli permette di conoscere Valeria, ovvero Eleonora Giovanardi, ricercatrice che studia gli animali in via d'estinzione e di cui s'innamora perdutamente; man mano che, tanto per cambiare, provvede a rappresentare nuovamente la critica vivente alla società d'inizio terzo millennio.
Infatti, che si tratti delle stravaganti stranezze dei neo borghesi (qui relative soprattutto alla maniera di vivere la famiglia allargata) o delle illegalità tipiche del meridione (impossibile non citare l'incontro con il sindaco dopo la confisca di un immobile), Zalone non perde occasione per sfoderare battute o situazioni capaci di strappare risate allo spettatore; oltretutto arricchendo la colonna sonora con la sua La prima repubblica, caratterizzata dall'evidente sapore degli hit di Adriano Celentano risalenti al periodo a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta.
Perché, senza dimenticare sguardi chiaramente fantozziani allo sfruttamento di cartellini già timbrati e grottesche file al bar sul lavoro, è proprio alla Commedia all'italiana di allora che - ancor più rispetto ai tre precedenti lungometraggi - guardano i circa ottantasei minuti di visione, di sicuro rientranti tra i più riusciti della buona filmografia zaloniana... e non privi di retrogusto da favola morale volto a ricordare che si comincia ad apprezzare il valore delle cose soltanto quando le perdiamo.
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