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Recensione / review: soulless - ...

Creato il 30 marzo 2011 da Isn't It Romantic?
RECENSIONE / REVIEW: SOULLESS - UN’AVVENTURA DI ALEXIA TARABOTTI (Soulless), di Gail Carriger
RECENSIONE / REVIEW: SOULLESS - ...Publisher / Editore: Orbit / Fantasy/Horror series
Publication date / data dell'edizione originale USA: ottobre 2009
Genre and setting / Genere e ambientazione: alternate reality / gaslight, Inghilterra, 1880 circa
Format: Paperback
Sensuality Rating / Livello di Sensualità: warm / calda
Rating/Voto: 9/10
Edizione Italiana: Baldini Castoldi Dalai, marzo 2011
Collegamenti con altri libri / Connection to other books : è il primo libro della serie “The Parasol Protectorate” così composta:
1 - SOULLESS - UN’AVVENTURA DI ALEXIA TARABOTTI (Soulless)
2 - Changeless
3 - Blameless
4 - Heartless (in uscita negli USA a luglio 2011)
Siamo nell’Inghilterra di fine ‘800, nella grande città di Londra – be’ all’incirca. La regina Vittoria governa con pugno di ferro lo sconfinato impero britannico, il ton londinese è come sempre attentissimo all’etichetta ed adora i pettegolezzi e gli scandali, le signore si sforzano di esibire le acconciature e gli abiti più alla moda in occasione dei balli e dei ricevimenti, in modo da essere notate dai gentiluomini (e possibilmente citate da qualche giornale scandalistico), e le signorine non maritate passeggiano nei parchi rigorosamente accompagnate dai loro chaperon. Fin qua, tutto normale.
Ma a questa Londra che vive alla luce del sole, se ne affianca una ben diversa, e cioè quella fatta dagli esseri soprannaturali che circolano solo durante la notte: vampiri, spettri e mutaforma, che convivono con gli esseri umani fin da quando secoli fa, all’inizio dell’Età della Ragione (all’incirca, il Rinascimento), hanno deciso di palesare la loro esistenza. Nell’illuminata Inghilterra, che è all’avanguardia sia nelle scienze umane che nei progressi tecnologici, la convivenza tra esseri umani e soprannaturali è tutto sommato pacifica e senza particolari scosse, al punto che la regina Vittoria stessa si avvale come consiglieri permanenti di un licantropo e di un vampiro. Ma questo fragile equilibrio precipita d’un tratto quando iniziano a circolare in città vampiri che la regina della congrega dei vampiri londinesi nega di aver creato, e viceversa i licantropi ad uno ad uno cominciano a sparire misteriosamente… La situazione è potenzialmente esplosiva: una guerra tra le varie razze soprannaturali sarebbe una catastrofe per l’intera Inghilterra! E’ quindi la regina in persona ad inviare Lord Conall Maccon, quarto conte di Woolsey, alfa del branco dei licantropi di Londra e capo del BUR (Bureau of Unnatural Registry), la divisione investigativa del governo che si occupa del sovrannaturale, ad indagare su quanto sta succedendo. Ed è così che il conte una sera fa la conoscenza di Alexia Tarabotti, un’impertinente miss non particolarmente graziosa, ma dotata di una lingua molto affilata e un’intelligenza acutissima, che, assalita durante un ricevimento da uno di questi vampiri improvvisamente sbucati fuori da chissà dove, si è difesa con grande prontezza di riflessi infilzandolo a morte - ahimè - con la punta del proprio parasole…
Esiste una fase che tutte le lettrici di romance sono destinate a provare almeno una volta nella vita: quella della Grande Noia. E’ quel periodo in cui, dopo aver iniziato un libro nuovo, e ci si rende conto allarmate che è la cinquecentesima variazione del tema “affascinante libertino incontra dolce fanciulla che lo redime col suo amore, e lo converte di colpo in marito & padre modello”, e che pertanto è inutile proseguire oltre pagina 50, perché ormai abbiamo già capito da un pezzo dove andrà a parare l’autrice, si esclama esasperate “Adesso basta!”, e si passa a leggere altro. Per un po’. Spesso, per un BEL po’. Horror, gialli, enigmistica varia, maglia e cucito, collezioni di minerali… una cosa qualunque insomma, purché sia diversa dalle solite trame trite e ritrite.
Ora, l’esperienza di un gran numero di lettrici ha ampiamente dimostrato che, quando la Grande Noia si manifesta, esistono solo due possibili cure che possono persuaderci a ritornare al romance:
- Trovare un romanzo scritto con tale e tanta bravura da strappare gli applausi, e farci passare in assoluto second’ordine il fatto che, magari, la trama in sé non sia nuovissima. Anzi, a dirla tutta, non ci accorgiamo nemmeno che la trama non è poi così innovativa, perché la bravura dell’autrice ci ha stregato. (Qualcuna sta per caso pensando a “Il Lord della seduzione” di Loretta Chase, o a “Il duca di ghiaccio” di Mary Balogh?)
- Trovare qualcosa di così originale e nuovo, di così “fresco”, che riesca a sorprenderci ad ogni pagina, e a desiderare di poter leggere più in fretta, perché non riusciamo davvero immaginare cosa stia per succedere – e, soprattutto, non vediamo l’ora di scoprirlo!
SOULLESS appartiene sicuramente a quest’ultima categoria di romanzi. E’ un libro così difficile da inquadrare, così sui generis che per cercare di descriverlo reviewers e bloggers stanno usando le definizioni più varie ed i paragoni più azzardati, spesso anche a sproposito. La stessa domanda se la devono essere posta - con discutibili risultati - anche le case editrici americane, visto che originariamente il libro è uscito nella collana Fantasy / Horror di Tor, che pubblica principalmente fantascienza e fantasy. Allo stesso tempo, forse anche in parte grazie a questa sua difficile classificabilità, è uno dei libri in assoluto più innovativi, originali, stimolanti ed avvincenti che ho letto nel corso degli ultimi anni, un romanzo che mi ha fatto fare le ore piccole pur di terminarlo e che, al di là delle classificazioni, merita un’attenzione speciale (ne sanno qualcosa alcune delle mie colleghe bloggers, che qualche mese fa, non appena ho terminato di leggerlo, ho tempestato di telefonate entusiastiche…) . Forse non è un romanzo per tutti, proprio per la sua diversità che potrebbe lasciare un po’ perplesse le lettrici che prediligono atmosfere più “classiche”. Ma se volete sperimentare qualcosa di davvero particolare, diverso da tutto quanto uscito in Italia finora – e dico proprio “tutto” – SOULLESS è certamente da provare.
Come avrete già capito dalla trama, SOULLESS è un romanzo di “alternate reality”, perché descrive un mondo alternativo al nostro, un mondo in cui la storia ad un tratto, per una qualche ragione, ha preso un corso diverso da quello che conosciamo. In questo caso, il punto di svolta consiste nel fatto che, alla fine dei Secoli Bui del Medioevo, gli esseri soprannaturali hanno deciso di palesare la loro presenza all’umanità, ed hanno ottenuto un ricooscimento ufficiale dal governo inglese ed uno status sociale ben definito. Visto che la storia si svolge in epoca vittoriana, SOULLESS si può quindi definire un romanzo “gaslight” (che è la definizione usata per gli alternate reality ambientati in quest’epoca), oppure “steampunk”. Quest’ultima definizione in realtà è un po’ meno appropriata: gli steampunk di solito parlano di realtà alternative in cui la tecnologia è più avanzata del dovuto (vi ricordate la Londra di “Il demone della passione” di Emma Holly, dove sfrecciano le auto e c’è la luce elettrica grazie all’arrivo degli alieni, che hano trasferito agli esseri umani alcune delle loro superiori conoscenze?). In SOULLESS quest’aspetto tecnologico è molto più sfumato rispetto allo standard dei romanzi steampunk, e - a parte qualche Zeppelin che vola nel cielo - la Londra vittoriana descritta è molto simile a quella di cui abbiamo letto in dozzine di romance. Vampiri e lupi mannari a parte, cioè.
Anche se c’è una storia d’amore in SOULLESS, non lo si può definire esattamente un romance. L’attenzione della Carriger non è concentrata sul rapporto tra Lord Maccon e Alexia, anche se è una delle parti più intriganti della storia. I fuochi dei riflettori sono tutti su Alexia Tarabotti, un’eroina che rientra nella categoria delle “diverse”, cioè di quelle protagoniste femminili che, per una ragione o per l’altra, non sono in sintonia con l’ambiente in cui vivono, non vi si riconoscono, e quindi finiscono per esserne impietosamente messe in disparte. Di ragioni di “diversità”, Alexia ne ha senza dubbio da vendere. Prima di tutto, è per metà italiana, quindi ha capelli scuri, carnagione olivastra e curve formose, ed un naso “importante”. Niente a che vedere, quindi, con i canoni di bellezza tipici dell’epoca e con le sue bionde e graziose sorellastre. Come se non bastasse, Alexia è anche un’intellettuale: ama molto leggere, frequenta conferenze e si appassiona a discutere degli ultimi progressi scientifici, si veste e pettina in modo casuale e distratto, senza prestare molta attenzione all’ultima moda, e soprattutto è franca, diretta, intelligente, coraggiosa e testarda. Tutti questi… difetti messi insieme hanno da tempo portato sua madre alla conclusione che Alexia non riuscirà mai a trovare marito: quindi, benché abbia solo ventisei anni, ormai da parecchio la ragazza è stata relegata al ruolo di chaperon delle sue sorellastre più giovani.
Alexia però non si scompone più che tanto: essere ritenuta da tutti una zitella la porta ad avere una libertà molto maggiore di quella delle altre sue coetanee, e lei ne approfitta allegramente, uscendo quando le pare e frequentando compagnie discutibili quali quella di Lord Akeldama, che oltre ad essere un vampiro gay (!), si ostina a vestirsi con abiti dai colori assurdi e pieni di fronzoli, secondo il gusto della sua epoca, il Settecento, ed è il più grande pettegolo di tutta Londra, sempre aggiornatissimo su tutti i segreti più piccanti del ton. (a qualcuna sta venendo in mente Signorini…?)
Ma il difetto che Alexia nasconde alla sua famiglia è ben peggiore di quelli che sono sotto gli occhi di tutti. Alexia, infatti, è una preternaturale: cioè, lei non ha anima. Oh, certamente vive e prova emozioni e ha sentimenti come tutti gli esseri umani, ma le manca quel certo “non so che”, potremmo forse chiamarla “fantasia”? Oppure “immaginazione”? O, magari, “irrazionalità”? Nell’Inghilterra che la Carriger ci descrive, la scoperta che l’anima è un’entità scientificamente misurabile è presentata come uno dei grandi progressi dell’epoca. Il dispositivo per quantificarla con precisione resta da mettere a punto, ma è ormai cosa risaputa che gli esseri soprannaturali hanno “tanta” anima, gli esseri umani una dose intermedia, diversa da persona a persona (quelli più dotati sono anche quelli che meglio si prestano a venir trasformati in esseri soprannaturali), ed i preternaturali come Alexia nessuna o quasi. Ed è forse per questa ragione che, in questo universo supremamente irrazionale e un po’ folle della Carriger, popolato da vampiri che si ostinano a osservare ossequiosamente la complessa etichetta della loro antica casta, di licantropi costretti a farsi rinchiudere in cantina quando la luna è piena, e dei vacui membri del ton londinese persi tra mille frivolezze, Alexia grazie alla sua mancanza di anima ci sembra in fondo la persona più pratica, concreta, di buon senso – insomma, la più “normale” e la meno strampalata. Ovviamente, come tutti si spaventa se un vampiro o un ghoul l’aggrediscono nottetempo: ma sa reagire con prontezza agli imprevisti, è piena di risorse (non a caso il suo chignon è tenuto fermo da uno spillone di legno ed uno d’argento!), e affronta con coraggio e senza pregiudizi le nuove sfide. Anche se queste dovessero essere rappresentate da un esasperante conte-licantropo scozzese.
Se pensate che Lord Maccon faccia parte di quella categoria di eroi sexy, dark e tormentati così diffusa in tanti romance paranormali, vi sbagliate di grosso. Connal è muscoloso, alto e virile, e a suo modo anche molto attraente: ma è rozzo, i suoi modi lasciano parecchio a desiderare, ha spesso la cravatta a sghimbescio ed i capelli spettinati (dopotutto, quando per ragioni di servizio ci si deve trasformare da bestia a uomo e da uomo a bestia più volte nel giro di poche ore, non si può certo pretendere di rimanere impeccabili!) - e solo il cielo sa la sua rozzezza vada attribuita più alle sue origini scozzesi oppure al fatto che è un licantropo. I battibecchi tra Alexia e Connal sono una delle cose più spassose del libro. Eccovi un esempio (cap. 3, pag. 58-59 dell’edizione originale Tor - mia traduzione dall’inglese):
“Bollocks,” said Lord Maccon upon seeing who stood before him. “Miss Tarabotti. What did I do to merit a visit from you first thing in the morning? I have not even had my second cup of tea yet.” He loomed at the entrance of his office.
Alexia ignored this unfortunate choice of greeting and swept past him into the room. The act of sweeping, and the fact that the doorway was quite narrow while Alexia’s bosoms (even corseted) were not, brought her into intimate contact with the earl. Alexia was embarrassed to note that she tingled a little bit, clearly a reaction to the repulsive state of the man’s office.
[…] Lord Maccon scrubbed his face with his hand, reached desperately for a nearby teapot, and drained it through the spout.
Miss Tarabotti looked away from the horrible sight. Who was it that had said, ‘Only just civilized?’ She closed her eyes and considered, realizing it must have been she. She fluttered one hand to her throat. “Please, Lord Maccon, use one of the cups. My delicate sensibilities.”
The earl actually snorted. “My dear Miss Tarabotti, if you possessed any such things, you certainly have never shown them to me.” But he did put down the teapot.
“Cacchio,” disse Lord Maccon vedendo chi gli stava davanti. “Miss Tarabotti. Che cos’ho fatto per meritarmi una vostra visita di prima mattina? Non ho nemmeno ancora preso la mia seconda tazza di tè.” Il conte torreggiava all’ingresso del suo ufficio.
Alexia ignorò l'infelice scelta del saluto, e gli scivolò accanto, entrando nella stanza. L’atto di scivolargli accanto, ed il fatto che la porta era piuttosto piccola mentre i seni di Alexia (benché compressi nel corsetto) non lo erano, la portò in intimo contatto con il conte. Alexia, imbarazzata, si accorse di provare una leggera sensazione di solletico, chiaramente una reazione alle disgustose condizioni dell’ufficio del conte.
[…] Lord Maccon si fregò il viso con la mano, afferrò disperatamente una teiera lì accanto, e la svuotò bevendo direttamente dal beccuccio.
Miss Tarabotti distolse lo sguardo dall’orribile vista. Chi era che aveva detto, ‘I licantropi a stento sono civilizzati?’ Chiuse gli occhi e rifletté, accorgendosi che doveva essere stata proprio lei. Si portò una mano alla gola. “Vi prego, Lord Maccon, usate una tazza. La mia delicata sensibilità, sapete com’è.”
Il conte sbuffò. “Mia cara Miss Tarabotti, se voi possedete qualcosa del genere, certamente non me ne avete mai dato prova.” Però posò la teiera.
E’ proprio questo, a mio avviso, il lato più originale ed innovativo, quello davvero vincente di SOULLESS: l’ironia, l’arguzia birichina con cui l’autrice sorride - e riesce a far sorridere anche noi – del bizzarro universo che ha saputo creare e dei variopinti personaggi che lo popolano. Un’ironia che però non è mai eccessiva o acida, e che non priva la storia di momenti intensi, romantici e anche commoventi – indimenticabile ad esempio, la scena in cui Alexia regala un tramonto a Lord Akeldama.
Leggere SOULLESS per me è stato come fare un giro sull’ottovolante: un’esperienza trascinante, imprevedibile, esilarante e piena di svolte inaspettate. Provate anche voi a fare un giro, se ne avete il coraggio – non ve ne pentirete!
 

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