Magazine Tecnologia

Recensione Rise of the Tomb Raider PC

Creato il 27 gennaio 2016 da Lightman
Recensione Rise of the Tomb Raider PC

Angelo "Wildbone" De Martini è un famelico appassionato di videogiochi, dategliene uno di qualsiasi genere e ne farà un boccone in compagnia del suo fidato PC. Se potesse scapperebbe con lui in Giappone, continuando ad amare la scrittura e a videogiocare come un matto. Lo potete trovare su Facebook.

Dobbiamo ammetterlo, pensavamo che Microsoft, forte dell'esclusività temporale conquistata per la sua console, ci avrebbe fatto attendere un po' più a lungo prima di portare Rise of the Tomb Raider su Personal Computer. E invece, a poco più di due mesi dalla release su Xbox One (trovate qui la nostra recensione originale), la nuova avventura della bella Lara Croft è finalmente pronta a sbarcare sull'hardware dei giocatori mouse e tastiera, forte di una veste grafica a tratti sbalorditiva e di un gameplay che eredita e perfeziona le meccaniche già apprezzate nell'ottimo reboot uscito nel 2013. A non convincere appieno è piuttosto l'aspetto narrativo. Quella di Rise of the Tomb Raider è una storia dalla doppia personalità: parte alla grande, solleticando a più riprese il giocatore con affascinanti temi a metà tra l'archeologia e il paranormale, poi si perde un po' ai margini del gioco, lasciando quasi l'impressione di aver solamente approntato il terreno per il prossimo capitolo della saga.

Echi del passato

Recensione Rise of the Tomb Raider PC

Dopo la concitata avventura nel Triangolo del Diavolo, dove avevamo assistito alla sua prima grande maturazione, ci saremmo aspettati di incontrare una Lara Croft con uno spirito più affine a quello dei capitoli originali. Una Lara più consapevole e matura, pronta finalmente a prendere le decisioni più difficili, anche quando la posta in gioco si sarebbe rivelata più alta del previsto. Invece, la protagonista di Rise of the Tomb Raider è una donna più fragile di quanto voglia far credere, dominata da un passato che ancora non le permette di uscire dal bozzolo e diventare una farfalla. Tra tutti, il pensiero più attanagliante è quello relativo alla morte del padre: Lara non si perdona di non averlo supportato fino in fondo nelle sue ricerche, di aver sempre ritenuto impossibili alcune eventualità che poi si sono rivelate essere vere. È proprio l'ultima ricerca del padre a fare da evento scatenante all'intera vicenda narrata in Rise of the Tomb Raider. Prima di morire, Richard Croft si trovava sulle tracce di un profeta scomparso secoli prima, il Profeta Immortale, al cui destino riteneva essere in qualche modo legato il segreto dell'immortalità dell'anima. La sua ricerca, tuttavia, venne considerata dalla comunità archeologica come una grande fantasia priva di fondamento, tanto da compromettergli irrimediabilmente la carriera e costringerlo al suicidio. Spinta da un rimorso insanabile, Lara decide di portare a termine la ricerca del padre. Dopo un primo buco nell'acqua presso la tomba del Profeta Immortale in Siria, incrociando le sue scoperte con gli appunti del padre, Lara scopre una nuova pista in Siberia, dove avrebbe dovuto rintracciare la cosiddetta Sorgente Divina, una reliquia dal potere immenso, capace, a detta delle antiche iscrizioni, di conferire la vita eterna, e che si dice fosse stata nascosta proprio dal Profeta Immortale.

Recensione Rise of the Tomb Raider PC

I suoi piani, tuttavia, vanno in fumo non appena scopre che sulle tracce della reliquia si trova anche il cosiddetto Ordine della Trinità, un'organizzazione di fanatici religiosi che vuole a tutti i costi servirsi del potere del manufatto per controllare il futuro dell'umanità. Lara si trova quindi ancora una volta inghiottita in una spirale di eventi che la sballotterà senza tregua da una parte all'altra della Siberia. Ed è proprio con queste ottime premesse che prende il via Rise of the Tomb Raider, salvo poi perdersi in una narrazione che si va via via più evanescente, e che preferisce mettersi in disparte per lasciare spazio alla natura più action dell'opera. Una delle cause più evidenti di questa perdita improvvisa di mordente è senza dubbio da attribuire al cast di alleati e antagonisti che circonda Lara nel corso dell'avventura. Se infatti i primi vengono caratterizzati appena superficialmente e troppo spesso rimangono sullo sfondo delle vicende, i secondi, dopo un incipit promettente, a causa di sfumature comportamentali stereotipate e ridondanti non riescono ad esercitare una presa magnetica forte come quella dei predecessori, finendo per risultare più marginali di quanto ci sarebbe aspettati.

Sembra quasi che Crystal Dynamics, coerente con il titolo scelto per l'opera, abbia volutamente deciso di concentrare il focus della storia sul lungo cammino di redenzione di Lara. Un cammino fatto di battaglie e di dolore, che nel corso dell'avventura la porterà sempre più vicina ad una seconda inevitabile maturazione. Fa storcere il naso anche la scelta poco elegante degli sviluppatori di aver nascosto alcuni dettagli rilevanti ai fini della trama nei documenti, nelle registrazioni e nei diari sparsi per il mondo di gioco, che non si limitano, come di consueto, a raccontare alcuni fondamentali retroscena sulla mitologia che avvolge la vicenda narrata, ma troppo spesso trattano eventi in corso d'opera e paralleli all'azione di Lara, e che avrebbero assunto tutta un'altra rilevanza se si fossero consumati direttamente a schermo. Quella di Rise of the Tomb Raider, insomma, è una narrazione che grava quasi interamente sulle spalle della sua protagonista e sulle premesse gettate all'inizio dell'opera, risultando per larghi tratti impalpabile e nel complesso meno convincente di quella del suo predecessore. Con questo non vogliamo sminuire il lavoro svolto sulla regia e sulla recitazione digitale, che in questo capitolo sono quasi sempre sul pezzo grazie ad un motion capture coinvolgente e tecnicamente ottimo, soprattutto con Lara, ma ci saremmo aspettati una commistione di eventi e personaggi con una parabola evolutiva più incisiva e di spessore.

Back to the Tomb Raider

Come accennato in apertura, Rise of the Tomb Raider riprende e migliora tutte le dinamiche di gameplay già saggiate nel capitolo precedente. La struttura di gioco, infatti, è ancora quella basata sulla sapiente alternanza tra aree più strette, dove lo spirito archeologico e il senso della scoperta vengono esaltati da una senso di claustrofobia più attanagliante, a zone più ampie, dove una sorta di struttura free-roaming permette al giocatore di svolgere in tutta libertà un buon numero di attività secondarie, come la caccia, le subquest e la raccolta dei collezionabili.

Tale libertà è ovviamente accompagnata da un'interazione ambientale molto più dinamica e varia di quella del suo predecessore. Tra le varie ambientazioni siberiane, oltre alle spettacolari scalate dinamiche, qui migliorate grazie all'introduzione di nuovi gadget interessantissimi (come delle frecce da usare come sostegno durante le arrampicate), il giocatore può dilettarsi nell'interazione con numerosi elementi dello scenario, alcuni dei quali (come dei fuochi di segnalazione da incendiare o delle campane da mettere fuori uso) permettono di completare delle sfide e ottenere un buon numero di punti esperienza. Non mancano naturalmente le consuete ed esaltanti sequenze scriptate, dove Lara è costretta a lanciarsi in fughe adrenaliniche con salti vertiginosi, mentre lo scenario si sbriciola sotto i suoi piedi in un tripudio di detriti ed esplosioni. Dove però Rise of the Tomb Raider mostra tutta la sua vena più archeologica è nelle numerose Tombe da saccheggiare sparse per le mappe di gioco. Si tratta di luoghi meravigliosi e intrisi di mitologia e mistero che in un certo senso ricordano il profumo dei primi capitoli della serie, e dove il level design viene portato alle sue vette più alte per accompagnare in maniera esaltante una lunga serie di enigmi ambientali decisamente più complessi ed elaborati che in passato. Si deve giocare con il livello dell'acqua, fare esplodere alcuni passaggi, evitare di finire uccisi in qualche letale marchingegno antico: il tutto sfruttando l'istinto di sopravvivenza già presente nel primo reboot, che permette a Lara di individuare in un batter d'occhio tutti gli elementi dello scenario con cui è possibile interagire. Per quanto riguarda il sistema di combattimento, anche in questa avventura la giovane Lara è costretta ad avanzare sfruttando le coperture dinamiche offerte dall'ambientazione, ricorrendo al suo equipaggiamento letale una volta raggiunta la migliore posizione di tiro, oppure sfruttando lattine e barattoli per realizzare al volo degli esplosivi o dei fumogeni. Si parte dal classico arco, utile a conseguire delle uccisioni furtive o sbarazzarsi dei gruppetti di nemici più nutriti (sfruttando frecce esplosive, incendiarie e avvelenate), fino ad arrivare alle consuete armi da fuoco, come pistole, fucili a pompa e mitra.

Non mancano naturalmente le esecuzioni ravvicinate con la picozza o il coltello da combattimento, e nemmeno le schivate che garantiscono una piccola finestra di tempo per poi contrattaccare il nemico. Ogni arma, come nel capitolo precedente, è migliorabile presso uno dei numerosi campi base disseminati lungo la progressione: il tutto servendosi delle consuete risorse che recuperabili distruggendo le casse nello scenario, eliminando gli animali, oppure depredando il cadavere dei nemici uccisi. Dal reboot del 2013 tornano anche le casse da forzare con la picozza (e qui anche con il grimaldello), che permettono di avere accesso alle varie parti necessarie per realizzare delle nuove e letali armi (come l'arco compound o la pistola pesante). Presso il campo base è anche possibile spendere i punti abilità guadagnati durante la progressione: da questo punto di vista i ragazzi di Crystal Dynamics non hanno voluto stravolgere più di tanto l'impianto realizzato nello scorso episodio, permettendo di fatto al giocatore di investire i punti negli stessi tre rami: combattimento, caccia e sopravvivenza.

Nel complesso si tratta quindi di abilità e bonus già visti nel capitolo precedente, che permettono a Lara di risultare più efficace sia nei combattimenti che nella raccolta delle risorse. In definitiva, l'impasto assemblato da Crystal Dynamics è bello denso e consistente, ed ha un sapore consueto ma non triviale. Sfortunatamente l'ultima parte dell'avventura si perde un po': arrivati a due terzi della storia le sparatorie cominciano a farsi invadenti, e non è proprio un bene. Il sistema di mira ed il feeling delle armi armi, del resto, sono probabilmente gli elementi meno convincenti di tutto l'impianto. La telecamera molto ravvicinata e le dinamiche di fuoco abbastanza farraginose, unite ad un'intelligenza artificiale non proprio elaborata, rendono queste fasi un po' confusionarie, e quasi sempre la soluzione migliore è quella di imbracciare un fucile a pompa e scegliere la pura irruenza invece che la strategia ragionata. Le ultime ore di gioco scorrono via molto più lineari del resto dell'avventura, decisamente inquadrate e fin troppo animate, se confrontate con la parte iniziale, mettendo da parte esplorazione, stealth e puzzle solving. Avremmo gradito un epilogo un po' più bilanciato, ma perdoniamo comunque il team di sviluppo, che ha messo in piedi un prodotto longevo come pochi altri del genere.

Bella a più non posso

Ed è finalmente giunto il momento di parlarvi dell'aspetto tecnico offerto da Rise of the Tomb Raider, il quale, possiamo dirlo senza remore, raggiunge livelli davvero ottimi. I passi avanti rispetto al reboot del 2013 ci sono e si percepiscono con evidenza. Partendo da una modellazione poligonale del volto di Lara a tratti davvero sbalorditiva, con un motion capture che ne esalta l'espressività, coinvolgendoci empaticamente in ogni suo primo piano, così come durante le scalate e le azioni più concitate a schermo. Anche i capelli, che nel precedente capitolo potevano contare sulla famigerata tecnologia TressFX di AMD, hanno subito una modifica degna di nota.

Grazie alla tecnologia PureHair, ogni singola ciocca dei capelli di Lara è animata da una gestione propria della fisica, mutando realisticamente il comportamento a seconda dei movimenti del suo capo o l'incrocio con le sue spalle. Purtroppo, ad una realizzazione di Lara davvero impressionante non corrisponde un'eguale minuzia nella caratterizzazione dei comprimari, le cui animazioni facciali sono spesso sporcate da una modellazione poligonale di qualche spanna sotto quella della bella protagonista, anche se nel complesso il lavoro svolto è funzionale. Ad esaltare più di ogni altra cosa è invece l'illuminazione. La luce, sempre supportata egregiamente dagli ottimi effetti volumetrici di polvere, nebbia e fumo, ricade sulle pareti con realismo a tratti impressionante, dando spessore alle ambientazioni più claustrofobiche degli scavi archeologici e delle tombe, ma anche esaltando gli spazi più ampi. Dispiace solo che, dopo la breve parentesi iniziale in Siria, l'avventura si svolga quasi interamente sui massicci nevosi della Siberia, impedendoci di fatto di visitare qualche nuova ambientazione con un'estetica ed una geomorfologia differente. Va comunque detto che Crystal Dynamics è riuscita a differenziare con efficacia le varie ambientazioni siberiane, come il gulag sovietico o la stazione meteorologica (e soprattutto con le Tombe, che rappresentano il meglio del meglio dell'offerta), seppur il contesto nevoso e glaciale resti sempre ben visibile e onnipresente. Anche sul fronte delle texture il lavoro svolto è di ottimo livello, e risulta estremamente difficile imbattersi in qualche superficie poco dettagliata o sottotono. Inoltre, cosa che non sempre accade quando si parla di texture, la differenza tra settaggi "alti" e "molto alti" è evidente, tanto che per ricaricare le texture durante lo switch saranno necessari più di una decina di secondi, sintomo che il peso delle stesse è davvero notevole, facilmente avvertibile anche sulla VRAM della scheda video, che al massimo del dettaglio riesce a superare i 3GB di utilizzo. Proprio per questo vi consigliamo di giocare al livello massimo delle impostazioni solamente se siete in possesso di una scheda video con più di 3GB di memoria video, al fine di evitare fastidiose saturazioni e stuttering. Per quanto riguarda l'ottimizzazione, con il nostro PC recante una scheda video AMD r9 280x e un processore I5-3570K, siamo stati costretti a giocare con settaggi medio/alti, sacrificando qualcosa sulle ombre e sulla profondità di campo per ottenere un framerate più o meno stabile tra i 40 e i 50 fps. Va detto che, vista l'abbondante alternanza tra spazi stretti e zone più aperte, capiterà spesso, soprattutto a chi possiede schede di fascia media, di affrontare delle sequenze di gioco senza riscontrare alcun problema, salvo poi subire dei bruschi cali nel framerate medio durante l'esplorazione delle aree più ampie e ricche di vegetazione.


Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog