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Recensione: Rosso Istanbul, di Ferzan Ozpetek

Creato il 24 luglio 2014 da Mik_94
Buongiorno, amici lettori. Come state? Le mie letture procedono a gonfie vele, fin troppo. Dall'ultima recensione – che è dell'altro ieri – ho finito due ebook. Cosa strana, perché io non leggo ebook. Cosa buona, perché in questo modo ho letto due romanzi che, altrimenti, non penso avrei comprato, prima o poi. Invece si sono rivelati due belle letture, davvero. Sto parlando della fiaba gotica Le sorelle Soffici e di Rosso Istanbul. Oggi ho scelto di parlarvi del secondo, anche se la recensione dell'altro è già pronta: entro la fine della settimana, potrete leggerla. Ieri, senza nulla da vedere in tv, mi sono dato da fare e le ho scritte in un paio di ore. Togliamone una dalla lista! A presto, M.  E quando trovi il coraggio di raccontarla, la tua storia, tutto cambia. Perché nel momento stesso in cui la vita si fa racconto, il buio si fa luce e la luce ti indica una strada. E adesso lo sai, il posto caldo, il posto al sud sei tu.
Recensione: Rosso Istanbul, di Ferzan Ozpetek Titolo: Rosso Istanbul Autore: Ferzan Ozpetek Editore: Mondadori “Strade Blu” Numero di pagine: 111 Prezzo: € 16,50 Sinossi: Tutto comincia una sera, quando un regista turco che vive a Roma decide di prendere un aereo per Istanbul, dov'è nato e cresciuto. L'improvviso ritorno a casa accende a uno a uno i ricordi: della madre, donna bellissima e malinconica; del padre, misteriosamente scomparso e altrettanto misteriosamente ricomparso dieci anni dopo; della nonna, raffinata "principessa ottomana"; delle "zie", amiche della madre, assetate di vita e di passioni; della fedele domestica Diamante. Del primo aquilone, del primo film, dei primi baci rubati. Del profumo di tigli e delle estati languide, che non finiscono mai, sul Mar di Marmara. E, ovviamente, del primo amore, proibito, struggente e perduto. Ma Istanbul sa cogliere ancora una volta il protagonista di sorpresa. E lo trattiene, anche se lui vorrebbe ripartire. Perché se il passato, talvolta, ritorna, il presente ha spesso il dono di afferrarci: basta un incontro, una telefonata, un graffito su un muro. I passi del regista si incrociano con quelli di una donna. Sono partiti insieme da Roma, sullo stesso aereo, seduti vicini. Non si conoscono. Non ancora. Lei è in viaggio di lavoro e di piacere, in compagnia del marito e di una coppia di giovani colleghi. Ma a Istanbul accadrà qualcosa che cambierà per sempre la sua vita. Tra caffè e hamam, amori irrisolti e tradimenti svelati, nostalgia e voluttà, i destini del regista e della donna inesorabilmente si sfiorano e, alla fine, convergono. Questo libro è una dichiarazione d'amore a una città, Istanbul.                                            La recensione Recensione: Rosso Istanbul, di Ferzan Ozpetek Perché l'amore sceglie e basta." Due anime, un filo che passa tra i seggiolini di un aereo e unisce chi è separato. Sullo stesso volo, ospiti dello stesso cielo blu in cui è possibile vedere volare ancora alti gli aquiloni, si intrecciano i vissuti di passeggeri qualunque. Un regista italo-turco di cui sicuramente avrai sentito il nome e una turista italiana, che ha imbarcato, quel giorno, lavoro, denaro, amore, cuore e valigie. Una storia a doppio binario, ma che procede a senso unico. Verso Istanbul. Terra piena di storie, a cui si aggiungono le loro. Il mito del cinema, la leggenda del vero amore, la ricerca impossibile della serenità. Sogni e chimere. C'è chi va e chi ritorna, chi arriva e chi parte. Lui ritorna e, anche se gli aeroporti non hanno il fascino fumoso delle stazioni ferroviarie, coi loro riti di addio e le loro danze, ruba storie, guardandosi attorno. Così nascono i film, almeno i suoi. Per lei, Anna, quarant'anni appena, è la prima volta in Turchia. Sarà l'ultima da donna sposata. Una piccola catastrofe, un sms piccante letto per sbaglio, e del suo stanco matrimonio non resta che una fede che fa scivolare per strada, come una cartaccia da nulla. Partire o restare? Ricominciare, e da dove? I capitoli, a punti di vista alternati, narrano di questi due individui che si innamorano perdutamente, ancora, ancora, ancora, di una città dalla bellezza decadente e polverosa. La nuda libertà nei bagni turchi, antiche seduzioni e intrighi di donna negli harem, storie di prigionia e case da pascià. Spettri di fumo e magnifiche presenze. Al suo esordio da autore letterario, Ozpetek scrive di sé e della sua fonte d'ispirazione più preziosa. Parla in prima persona e in terza, guardando Istanbul con gli occhi di chi ci è nato e con quelli di chi la scopre vicolo dopo vicolo, odore dopo odore. Regista che indossa anche i panni dello spettatore e che, in un autobiografia a forma di romanzo, mette a nudo le sue verità e quelle di una terra che si crogiola nel calore del rosso. Il rosso dei tulipani, della rivoluzione, degli sbaffi di rossetto che lasciano il segno a vita. La sua protagonista vivrà una tardiva gioventù, con l'anulare libero da legami stretti e avvinghiata al petto di un giovane manifestante che, sulla sua moto sgangerata, la porterà in appartamenti abitati da personaggi bohémien e in parchi in cui protestare, far volare petali contro una violenza che non si capisce, ballare appassionatamente il tango con le maschere antigas. Il nonno di Anna le raccontava tante favole sull'oriente. E lei, in una rivoluzione floreale degli anni duemila, in un The Dreamers senza Bertolucci ed erotismo famelico, vivrà storie che ha sempre e solo ascoltato. Principessa rapita dai pirati, diventata cortigiana in una seconda Roma dai mille nomi. Soprattutto, Rosso Istanbul è l'autobiografia di un uomo che vive l'amore senza problematicità e che, generosamente, racconta la sua vita agli altri ogni volta che apre bocca e urla il classico «Ciak, si gira». La vita di Ozpetek è uno dei suoi film. Melanconica, pittoresca e anche un po' struggente. Un'infanzia con un padre spuntato per caso, in una casa di donne e sangue blu che i bulldozer demoliranno all'alba. Una mamma bellissima; una principessa ottomana come nonna; due “zie” vanitose, artistiche, golose di dolci e uomini.  Recensione: Rosso Istanbul, di Ferzan Ozpetek Ecco spiegati i suoi personaggi femminili curiosi e nevrotici, evidentemente non abbastanza fantasiosi per essere veri. Fanno ridere, stemperano i drammi, riempiono la giornata di chiacchiere: la Ricci che, in Mine Vaganti, urlava «Al ladro! Al ladro!» per dissimulare l'andirivieni dei suoi fidanzati; Ilaria Occhini che, diabetica, incontrava una bella morte rimpinzandosi di babà e sfogliatelle; la Sandrelli che, in Un giorno perfetto, costruiva aquiloni color pastello e coccolava i suoi nipoti con storie senza fine. Curiosità sull'Ozpetek artista, informazioni sull'Ozpetek uomo, e sempre con una prosa che regala capitoli piccoli e grandi spunti. I nomi ricorrenti, le cene con un cast che è una seconda famiglia, la voglia di organizzare tour per pasticcerie e non per musei, il sentirsi portatore di due voci. Due lingue, due identità, due mari in cui specchiarsi – romano a Istanbul, turco a Roma. Fruitore dell'amore in ogni sua minuscola forma, parte di una famiglia che ha perdonato nonostante tutto. Nonostante le incomprensioni e nonostante lui, Yusuf.  Recensione: Rosso Istanbul, di Ferzan Ozpetek L'amichetto con cui - a unidici, dodici anni - aveva scoperto le prime volte. In Allacciate le cinture, il personaggio di Filippo Scicchitano rievoca, per un attimo, l'amore verso un piccolo coetaneo: il padre aveva scoperto le loro tenerezze, uno psicologo gli aveva monitorato la testa, la famiglia aveva messo agli arresti domiciliari i suoi sentimenti. Ferzan Ozpetek – che da allora amò gli uomini, le donne e tutti coloro che affrontavano la vita a testa alta, come racconta – era il bambino confuso del suo ultimo film. L'attore, ancora, rivelava che non aveva più rivisto quel ragazzino: mai cresciuto; morto in mare. Nella realtà si chiamava così, Yusuf, ed era annegato nel mare che si portava dentro: morto suicida. L'autore smaschera il suo doppio cuore e ripercorre i suoi primi, incerti passi. Quando sognava Cinecittà, non Hollywood. Le lotte studentesche per proibire la chiusura di un vecchissimo teatro barocco, i ricordi agrodolci delle pellicole viste con nostalgiche veneri in pelliccia, le emozioni di cellulosa che uno spettatore bambino, sbucato da Nuovo Cinema Paradiso, viveva sulla sua pelle cotta dal sole. Rosso Istanbul è un romanzo brevissimo e scritto con eleganza. Profondo, ironico, toccante, con punte di grottesco, miscugli di colori a tempera, parentesi tutte ricamate di storia locale, squarci di quotidiano, tagli nel melograno. Un «a mai più rivederci» rivolto alle bianche case d'infanzia, agli amici che non sono rimasti, agli amori mancati che sono stati sepolti secondo gli inconsueti riti locali nella nuda e soffice terra madre. Una chiamata al mattino presto, per dire che stanno spuntando i tulipani, che Istanbul si sta punteggiando tutta di cremisi e che l'amore resta la cosa più importante. Bene. Noi, armati di questa guida turistica con la prosa dei romanzi di narrativa, quand'è che partiamo? Il mio voto: ★★★★ Il mio consiglio musicale: Kutlama – Sezen Aksu (da “Mine Vaganti”)



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