Recensione: Selma
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Nel dicembre 1964, il Dr. Martin Luther King Jr riceve il Premio Nobel per la Pace. Un mese dopo, insieme alla Southern Christian Leadership Conference, inizierà una battaglia basata sulla non-violenza che coinvolgerà tutto il popolo degli afro-americani: l’acquisizione dei diritti civili, di un diritto di voto che consentirebbe di proteggersi dalle persecuzioni e dalle ingiustizie dei bianchi. Dopo aver chiesto – senza nessun risultato – al presidente americano Lyndon Johnson di varare una legge per il diritto di voto, Martin Luther King coinvolge la comunità nera partendo da Selma, in Alabama, dove sono ancora forti le restrizioni dei diritti civili, sia da parte dello sceriffo sia da parte del governatore George Wallace.
Il 7 marzo 1965 si compie il primo tentativo di marciare da Selma a Montgomery in nome della parità dei diritti civili. Ma i manifestanti, guidati da John Lewis e da Hosea Williams, sono bloccati sul ponte Edmund Pettus dai poliziotti locali e seicento dimostranti sono picchiati e respinti con gas lacrimogeni. È la tragedia del Bloody Sunday. Questa tragedia, le cui immagini sconvolgenti furono trasmesse dal telegiornale, fu però uno spartiacque per la vittoria finale.
Il secondo tentativo, sempre sul ponte Edmund Pettus, avviene il 9 marzo, e questa volta alla guida c’è proprio Martin Luther King: è il Turn Around Tuesday.
Solo il 6 agosto 1965, diversi mesi dopo lo storico discorso sugli scalini dello State Capitol, il presidente Johnson firmerà il Voting Rights Act.
Vincitore di un Golden Globe per la migliore canzone originale (Glory) e candidato a due premi Oscar per la miglior canzone originale e per il miglior film, Selma – La strada per la libertà è tutt’altro che uno stralcio della biografia di Martin Luther King, punto di partenza e spunto ideale per raccontare una storia più grande, quella di un popolo che si sente americano ma che non gode degli stessi diritti degli americani bianchi. King non è uno che scende a compromessi, proprio come non lo sono né il presidente Johnson né tanto meno il governatore dell’Alabama Wallace, che al contrario non intende cedere alle richieste dei neri. Dal canto suo, per garantire la libertà a chi, come lui, se l’è vista negare ingiustamente, King intraprende una strada difficilissima e ostile, tanto da mettere a repentaglio non soltanto la propria vita, in qualità di capo dei manifestanti, ma quella dei suoi stessi fedelissimi. Martin Luther King è subito definito il Gandhi americano, affrontando le proprie battaglie con la non-violenza – all’opposto di Malcolm X, che invece è un militante e che incontra la moglie di King, ma non lui stesso.
Cronistoria fedelissima, anche basata sulle intercettazioni dell’FBI, che aveva disseminato di cimici la casa di King e quelle dei suoi sostenitori, Selma è un intenso dramma umano raccontato con grande forza e grande coraggio che ha nel carisma di tutti i suoi interpreti l’aspetto positivo, ma dall’altro lato qualche pecca di sceneggiatura, talvolta troppo retorica e tendente ad accentuare sia l’umanità dei neri sia la cattiveria e il sadismo dei bianchi, per quanto gli eventi narrati siano tutt’altro che fittizi.
Il produttore Jeremy Kleiner (12 anni schiavo), ma anche la regista Ava DuVernay (già premiata al Festival di Sundance come miglior regista per Middle of Nowhere, ancora con Oyelowo), si erano detti assai sorpresi che nessuno avesse mai portato sul grande schermo la storia di Martin Luther King, così hanno colto l’opportunità al volo, affidandosi a un cast di tutto rispetto (David Oyelowo, Cuba Gooding Jr., Tim Roth, Tom Wilinkinson, Alessandro Nivola, Oprah Winfrey) che non ha deluso e che non è mai stato sopra le righe.
«Il fatto che queste vicende non fossero mai state adattate per il cinema era mortificante ma anche eccitante», ha detto Kleiner. «Abbiamo sempre creduto nel valore di questo racconto non solo come resoconto storico, ma come storia di vita che continua ad avere significato nel presente.»
«Trovo alquanto sorprendente e meritevole di discussione che, nei 50 anni dalla morte del Dr. King, non ci sia mai stato un film incentrato su di lui come protagonista. È uno shock», ha detto la regista. «È piuttosto strano e anche spiacevole, ma sono contenta che siamo qui adesso.
«Siamo portati a pensare a King», ha continuato, «come a una statua, un discorso o una vacanza, ma lui era un uomo, un uomo che aveva relazioni complicate, che era molto umano; un uomo che è morto all’età di 39 anni combattendo per la libertà di cui tutti noi oggi beneficiamo. Penso che se smonti il suo mito, ti rendi conto che la sua forza interiore è qualcosa che tutti noi abbiamo. Se solo fossimo in grado di accederci potremmo fare grandi cose.»
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