[Recensione] Skellig di David Almond

Creato il 18 agosto 2012 da Queenseptienna @queenseptienna

Titolo: Skellig
Autore: David Almond
Editore: Salani
ISBN: 9788862560429
Numero pagine: 151
Prezzo: € 9,90
Voto:

Trama:
Il piccolo Micheal si trasferisce insieme alla famiglia in una casa nuova, tutta da sistemare. Purtroppo la sorellina appena nata, prematura, ha una malformazione al cuore e si teme non possa sopravvivere. I genitori sono sconvolti e passano tutto il tempo a occuparsi della povera bimba. Micheal, quindi, si trova tutto solo in una casa che non conosce e con i genitori che, pur amandolo molto, non possono dedicarsi a lui. In questo stato di profonda tristezza e abbandono, un giorno, entra nel pericolante garage della nuova casa e vi trova… Skellig. Ma chi è questa creatura che non riesce ad alzarsi? Assomiglia a un barbone. Ma ha qualcosa dietro la schiena. Sembrano ali… Ma è un uomo, un uccello o forse un angelo? E perché solo lui e la sua nuova scalmanata amichetta Mina riescono a vederlo? Skellig è molto scorbutico, ma anche molto malato. E Micheal, forse per compensare l’incapacità di guarire la sorellina in fin di vita, decide di aiutare la strana creatura. Ed è così che le vicende di Skellig e della neonata cominciano a interconnettersi… e la vita di Micheal cambierà per sempre.

Recensione:

Un romanzo per bambini. Poche pagine, uno stile pacato e dimesso, nessun eclatante colpo di scena, niente toni forti e personaggi ordinari, semplici come solo i bambini possono essere. Mi sono appassionato alla narrativa appena ho imparato a leggere, e ho divorato tutti i libri per bambini su cui sono riuscito a mettere le mani, quindi è stato con un certo dispiacere che ho finito questa lettura rendendomi conto di avere avuto per venticinque anni una lacuna nel mio background di lettore.
Un libro semplicemente stupendo nella sua linearità, portatore di un messaggio universale di amicizia e comprensione che raramente si riesce a delineare senza ricadere nel patetico “già detto”.
Fin dai primi capitoli è impossibile dissociarsi da quanto viene raccontato: in pochi tratti si è già completamente assorbiti dalla narrazione, nella migliore tradizione delle avventure domestiche di bambini e ragazzi che spesso però diventano autentiche lezioni di vita.
Non è stato difficile immedesimarsi in loro, due giardini vicini, la scuola, i primi interessi, gli amici e i genitori; proprio per questo anche l’atipica figura che dà il titolo al libro mi è sembrata talmente credibile che uscendo nel mio giardino non ho potuto fare a meno di guardare in modo strano il capanno degli attrezzi.
Skellig potrebbe benissimo essere un angelo, però nello stesso tempo è un barbone, un malato. Un personaggio da cui chiunque diffiderebbe, se lo vedesse per strada, sporco e rachitico. Nessuno mai penserebbe che la gobba sotto la giacca è formata dalle sue ali, o che lui possa avere capacità e doni al limite del miracoloso. I due protagonisti, invece, si affezionano subito a lui, forse perché loro stessi non sono del tutto inquadrati nella normalità quotidiana: Michael è turbato dalla casa nuova e dai genitori assenti per l’assistenza alla sua sorellina, e Mina vive con sua madre, studiando da sola e facendosi insegnare da lei. Per loro la strana creatura alata è un essere di cui prendersi cura, e allo stesso tempo è qualcosa che li unisce a un livello più profondo di un’amicizia comune nata da semplici giochi.
Quello che più mi ha colpito è stato proprio questo aspetto: l’iniziale diffidenza selvatica e disillusa di Skellig si scioglie quando i due ragazzini cominciano a prendersi cura di lui. Non c’è stucchevole pietà in loro, non ci si trova davanti a scene strappalacrime, insulsi giuramenti di eterna gratitudine o trite scene di addomesticamento. Tra loro ci sono affetto sincero e complicità.
Sinceramente, mi sono riconosciuto forse un po’ troppo tra queste righe. So cosa voglia dire essere “trovato” da una persona in un momento di difficoltà, capire che pregiudizi e luoghi comuni non intaccano il rapporto che si sta costruendo, sentirsi in un certo senso accudito e al sicuro senza che la cosa vada a pesare su sdolcinate frasi fatte. La differenza nel mio caso sta nel finale: il libro si conclude su una nota dolceamara, un addio che si stempera nel ricordo di qualcosa di bellissimo e indimenticabile, una crescita interiore.
Proprio per questo avrei voluto aver trovato questa lettura qualche anno fa, ma di una cosa sono certo: rimarrà tra i libri che di tanto in tanto mi verrà voglia di rileggere e consigliare.


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