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Recensione: STRAIGHT OUTTA COMPTON. Non male, questa storia del gangsta-rap

Creato il 08 ottobre 2015 da Luigilocatelli

znwaStraight Outta Compton, un film di F. Gary Gray. Con O’shea Jackson Jr., Jason Mitchell, Corey Hawkins, Neil Brown Jr., Aldis Hodge, Carra Peterson, Paul Giamatti.
12080373_1631466537105369_6311251376800772411_oCosì nacque a fine anni ’80 e si affermò il gangsta-rap, un po’ musica ribelle, un po’ allarmante espressione della cultura più violenta e machista dei ghetti afroamericani. Straight Outta Compton racconta le storie vere di tre totem del rap, Doctor Dre, Ice Cube e Eazy-E, in toni pià ribaldi e menio agiografici di quanto ci si potesse aspettare (due di loro sono i produttori del film). Buona la prima parte, più convenzionale la seconda. Ma Straight Outta Compton si lascia vedere senza noia. Voto 7 meno
12087887_1630074130577943_3113945363997757818_oPer diversa appartenenza generazionale faccio fatica a capire il rap, e ancora di più ad amare e ammirare chi lo pratica (mai cadrò in deliquio per un Fedez, tutt’al più posso apprezzare, stando dalle nostre parti, un Marracash). Devo però ammettere la sua incredibile adattabilità, l’essere diventato veicolo espressivo universale di volta in volta riplasmato e ridefinito alle varie latitudini, lingua franca con cui i ragazzi e ragazzacci di ogni banlieu del pianeta gridano rabbie e anche orgogli smisurati e perdipiù machissimi e testosteronici (sì, lo so che si son pure la ragazze dell’hip-hop, ma niente mi toglie dalla testa che tale sub-cultura sia quanto di più fallocentrico abbia espresso la scena popolare e giovane nelle ultime decadi). Declinabile in milioni di sfumature, perlopiù assai accese, e però, il rap, inesorabilmente sempre uguale a se stesso, con quella monotonia ritmica che lo rende così unico, così riconoscibile e anche serializzabile all’infinito. Non mi piace, ma lo prendo per quello che è, un pezzo consistente dell’antropologia contemporanea. Questo per dire come mi sia avvicinato alla visione di Straight Outta Compton – resoconto e ricostruzione fedele e insieme mitologizzante dell’ascesa non resistibile della forma più sporca, bassa e aggressiva di questa forma musicale, il gangsta rap, nella California dei tardi anni Ottanta – senza grandi entusiasmi e con l’attitudine distanziata di chi non prova naturalmente molto interesse per la cosa. Chiedendomi pure a chi in Italia potesse mai interessare questo film, gran successo a sorpresa negli Stati Uniti con i suoi 160 milioni e pasa di dollari tirati su al box office, ma qui privo della sua area di riferimento e utenza, a parte le frange giovanili che sono precisamente quelle che al cinema non ci vanno quasi più e preferiscono streaming e scaricamenti vari. Difatti gli incassi del primo weekend son stati appena discreti, e però peccato, Straight Outta Compton si lascia guardare volentieri, quasi due ore e mezzo che scorrono via veloci e senza troppi intoppi e ingorghi narrativi, mantenendo una pulsazione ritmica sempre elevata. Finendo con il piacere perfino a me che non appatengo proprio al suo target d’elezione. Dunque siamo a Compton, sobborgo californiano, uno dei molti ghetti neri d’America e dei più pericolosi, è difatti il tempo delle gang rivali che si contendono il territorio e lo spaccio del crack, i maledetti cristalli di coca, la più lurida e devastante delle droghe insieme all’eroina. Pistole pistoloni e catenoni d’oro al collo e scontri per strada o nei club fumosi con feriti e morti, e la polizia che ogni tanto arriva, e arresta e ferma chi capita e spara pure nel mucchio. Tutto un universo di criminali da strada, spacciatori e  tossici spacciati e all’ultimo stadio, puttane e papponi, ed è lì – destreggiandosi non senza difficoltrà tra legalità e illegalità – che si muovono i nostri eroi, tutta gente vera passata alla storia come padri fondatori del gangsta-rap. Tre nomi su tutti: Doctor Dre, Eazy-E e Ice Cube, che insieme a DJ Yella e Mc Ren daranno vita agli N.W.A., mitologica band che ce la farà a imporre sul mercato quella musicaccia delle peggio strade dei peggio quartieri, irrompendo nell’immaginario nazionale e anche bianco come strumento dionisiaco, come selvaggio medium di disordine dei sensi e delle passioni. Li vediamo, i nostri ragazzi, nelle loro complicate storie private, c’è chi è già padre (Doctor Dre), ma non ce la fa a mantenere la famigliola col lavoro di dj al servizio di un bieco sfruttatore, tale Lonzo, e c’è chi è il capetto di una sua gang di spaccia e spara, il futuro Eazy-E. Geniale parolieri è Ice Cube, talentuosissimo, che sa mettere in rap le storie e le incazzature e anche le smargiassate sessiste dei molti ragazzi di Compton. Con un pezzo, Fuck tha Police, che diventa subito un inno diciamo così antagonista e li porta in alto, fa di loro una band di immediato impatto in tutti gli Stati Uniti con tanto di tour tra folle plaudenti di ogni etnia. La prima parte, quella che ci mostra la vita a Compton e le prime mosse degli N.W.A., è decisamente la migliore, piena com’è di un vitalismo debordante e però assai aderente all’antropologia e alla cultura del ghetto. Per essere un film finanziato dagli stessi Doctor Dre e Ice Cube, e dalla vedova di Eazy-E, il tasso agiografico e beatificante resta qui alquanto ridotto. Non si taccioni dettagli non così edificanti, come l’iniziale lavoro di spaccio di Eazy-E, né gli eccessi dovuti a ebbrezza da successo, e dunque orge con le prostitute più costose, spese folli da arricchiti ansiosi di mostrare al mondo e soprattutto al ghetto di provenienza il potere d’acquisto acquisito. E son gioielloni e catenoni zarri, lamborghini diablo a profusione, e un lusso diffuso e ostentato da magnaccia, quel pimp-style che accompagna da sempre il trionfo del rap e ne è il prolungamento espressivo. Certo, sgomenta il maschilismo ostentato della cultura rappistica e dei suoi rappresentanti, maschi dominanti e donne che son mogli o madri, o son puttane, irrimediabilmente, e però inutile fare i moralisti e gli schifiltosi, prendiamolo piuttosto come un referto sociologico, uno studio antropologico di un mondo, un tempo, una sottocultura. Nella sua seconda parte il film allenta il ritmo, abbassa i toni, le vite raccontate si fanno meno fiammeggianti e tendono alla normalizzazione, all’imborghesimento, e tutto si fa meno interessante. I ragazzacci del gangsta-rap, soprattutto Doctor Dre e Ice Cube, meno Eazy-E che verrà domato solo dalla malattia, mettono la testa a posto. Qui l’agiografia, espunta dalla prima pulsante parte, salta fuori e i nostri sfiorano, nella descrizione che ne dà il film, la santità degli ex mezzi delinquenti che ce l’hanno fatta a ripulirsi di ogni scoria criminale, e perfino il martirio (così è descritta la sofferenza di Eazy-E). Però quante cose da vedere ci sono in Straight Outta Compton, e ovviamente anche da ascoltare. Il mondo piratesco fatto di avventurieri, spesso loschissimi e violentissimi, della discrografia diciamo così alternatica e indipendente. Il talento naturale di ragazzi che sanno estrare dalla propria vita violenta gli spunti per creare qualcosa che resterà. La sottocultura del ghetto, anche se il rischio è quello di confinare gli afroamericani nello stereotipo del lato selvaggio della società americana (e però, il film è prodotto, diretto, interpretato da neri, e se qualcuno vuol formulare l’accusa di razzismo la indirizzi a loro). I ragazzi Wasp, pronti ad adottare quella musica smargiassa e violenta per provare l’ennesimo brivido esotico restando comunque al sicuro nei loro privilegi. Straight Outta Compton è anche l’ennesima narrazione su un pugno di amici che insieme aggiuantano il successo, ma che poi il successo dividerà, fino a renderli ostili uno all’altro. Che è una storia che abbiamo visto molte volte, che attraversa il rock e i suoi dintorni dagli anni Sessanta in avanti, e che sembra seguire inesorabilmente gli stessi passaggi, lo stesso copione (succede anche in Janis, il bio-docu su Janis Joplin in questi giorni al cinema). Son tutti motivi per cui val la pena andarselo avedere, questo film, anche se non si è giovinatri, anche se non si fa rap in una qualche banlieu delle nostre città. Certo, meglio tener sempre presente che trattasi del punto di vista dei produttori Ice Cube e Doctor Dre, che quella che vediamo raccontata è la loro verità dei fatti (ad esempio: sarà stato davvero così truffaldino e infingardo il loro manager interpretato da Paul Giamati, non ci sarà nel suo ritratto malevolo una qualche traccia di quei cliché antisemiti che sappiamo essere rigogliosi nella cultura dei ghetti afroamericani?).


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