Digital Extremes prova a ridare lustro alla licenza di Dungeons & Dragons in ambito videoludico, purtroppo con risultati molto scarsi: meccaniche confuse e diversi problemi tecnici non permettono alla produzione di distinguersi.
Versione analizzata: PC
Articolo a cura di Giovanni Calgaro
- Disponibile per:
- Pc
- PS4
- Xbox One
Giovanni Calgaro è avvocato per sbaglio, ma tuttologo per passione, cresciuto a pane e videogiochi sin dalla più tenera età. Allevato da un commodore 64 non ha mai smesso di stupirsi per l'immensità della forma d'arte videoludica, tanto da sentire molto presto il bisogno di sfruttare l'amore per la scrittura per raccontare, far conoscere ai più e condividere questa meravigliosa passione. Potete sempre trovarlo su Facebook e Twitter, sempre che non sia in qualche aula di tribunale.
Dungeons & Dragons. Due semplici parole che racchiudono l'essenza di nottate insonni tra amici, sommersi di dadi e manuali lisi per il troppo sfogliare alla ricerca di modificatori, classi di prestigio, statistiche, allineamenti per un solo personaggio riassunto in una scheda cartacea ricoperta di segni a matita e cancellature. Attorno ad un tavolo, l'unico limite era la fantasia e, ovviamente, l'abilità del Dungeon Master nel tenere le redini della storia e del gruppo di scapestrati avventurieri. L'impero editoriale creato da Gigax e Arneson e gelosamente custodito da Wizards of the Coast dal '97, nel corso del tempo si è espanso a dismisura conoscendo numerose edizioni (l'ultima, la quinta, è del 2014) e rivoli narrativi che ci hanno portato sino alle più remote regioni dell'immaginario fantasy "pen & paper" o digitale.
Calandoci nel medium videoludico, non possiamo non tributare un doveroso omaggio ai pilastri che hanno caratterizzato il percorso di D&D ed hanno scritto la storia del genere su PC, console domestiche e - recentemente - su dispositivi mobile. Tre nomi, su tutti, che non hanno certo bisogno di presentazioni: Baldur's Gate, Neverwinter Nights e Icewind Dale. I tempi, però, sono cambiati. Nuovi potenti concorrenti invadono il mercato (chi ha detto Pillars of Eternity?) e Wizards of the Coast sembra non riuscire a sfruttare il marchio come meriterebbe. Sword Coast Legends, nato dalla collaborazione tra n-Space e Digital Extremes, riassume perfettamente la precaria situazione attuale del franchise.
Nei reami dimenticati, io giaccio
Le intenzioni degli sviluppatori sono apparse sin da subito abbastanza evidenti: riportare in auge il brand attraverso una strategia basata sulla "nostalgia della vecchia scuola". Il titolo, però, aveva un compito arduo da affrontare: salire sulle spalle dei giganti che l'hanno preceduto per uscire dalla loro ingombrante ombra e rifulgere di nuova luce grazie alle regole riviste e corrette della nuova edizione. Invece niente. Sword Coast Legends inciampa maldestramente in tante piccole disattenzioni che ci costringono a rimandare ancora una volta l'appuntamento con un titolo D&D ai livelli di un tempo. La verità è che al titolo manca un senso reale d'appartenenza a quel marchio che pretende di rappresentare. Ciò a partire dalla fase di creazione del personaggio, che in Sword Coast Legends ha perso la sua centralità a causa di un editor apatico sin troppo spiccio e povero nella varietà, smanioso di farci iniziare la partita. Le premesse, insomma, non lasciavano presagire nulla di particolarmente attraente sotto il profilo narrativo. E così è stato.
Il nostro alter ego (abbiamo optato per la solita personcina a modo: elfo della luna, ladro e caotico malvagio, per non farci mancare nulla, nonostante sia del tutto assente il parametro del karma) si risveglia dopo una nottata costellata da strani incubi, dominati da un non meglio specificato orrore giunto a minacciare le terre di Faerûn. Aggregati ad una carovana della Gilda dell'Alba Ardente guidata da un eccentrico (quanto improbabile) halfling guerriero, scopriamo che anche i nostri compagni di sventura hanno i medesimi incubi. La minaccia assumerà ben presto sembianze grottescamente reali, costringendoci a far gruppo per ricacciare l'abominio nell'abisso da cui proviene.
Avventura estremamente telefonata e - a tratti - svogliata, con un gruppo di eroi ed una montagna di quest secondarie cariche di cliché ma nel complesso abbastanza divertenti da seguire, sebbene non ambiscano a raggiungere vette indimenticabili o ad offrirci bivi narrativi tangibili. Riguardo all'esperienza di gioco, n-Space ha puntato tutto sulla connessione "forzata", rendendo il caro single player quasi un'appendice accessoria e secondaria. È possibile, insomma, affrontare ogni parte dell'avventura in compagnia di altri giocatori. Il comparto multiplayer, però, è instabile e molto spesso ci siamo trovati a fare i conti con sconnessioni impreviste e frustranti, causate tanto dalla mano umana (host che si sconnettevano senza far tanti complimenti) quanto dallo stesso server ballerino.
Narrami, o "potente" Master...
Oltre che degli avventurieri, Sword Coast Legends ci permette di vestire gli importanti panni del burattinaio per eccellenza: il Dungeon Master. Feature eccitante e tanto attesa dai fan i quali, però, si sono trovati di fronte ad un contentino abbastanza superficiale rispetto alle aspettative iniziali. Il DM non è più onnipotente. Il toolkit che gli sviluppatori hanno messo nelle mani dell'aspirante master risulta poco fornito e pieno limitazioni. Ad esempio, non è possibile creare una "storia" coerente e non si possono creare dungeon al 100% personalizzati; solo inserire alcuni parametri di massima come location, gruppi di nemici ed alcuni obiettivi per i giocatori, mentre il sistema si occuperà di generare di volta in volta il dungeon secondo le indicazioni settate in precedenza.
Al DM è concesso anche di prendere il controllo di NPC ed intervenire in tempo reale per veicolare i giocatori, anche se è ben poca cosa in confronto a quello che ci aspettavamo. Abbiamo scaricato diverse avventure create da altri giocatori, per capire come la community se la stava cavando, e la sensazione che abbiamo ricavato è stata quella di un semplice dungeon crawler privo dell'anima tipica di un gioco che sfrutta la licenza D&D. La medesima sensazione si è palesata in tutta la sua forza anche durante l'analisi del gameplay. L'effetto "vecchia scuola" è stato mantenuto solo per alcuni aspetti marginali (come la pausa tattica con la barra spaziatrice ed il party attivo composto da quattro membri, per intenderci), mentre per tutto il resto Sword Coast Legends non è altro che un pseudo hack'n'slash con visuale isometrica, moderno ed abbastanza maldestro, votato più alla velocità d'azione caciarona che non ad una tipologia di gioco ponderata e prudente. Su tutte, basta citare la presenza dell'eretico cooldown delle abilità.
Scordatevi, quindi, le epiche avventure in cui un gruppo sfinito e grondante di sangue aveva bisogno di leccarsi le ferite in un luogo sicuro prima di riprendere il viaggio. Il recupero completo del party avviene praticamente ogni volta che un combattimento ha termine. Il caster, ad esempio, può tranquillamente riportare la salute del gruppo al massimo senza grande sforzo con un incantesimo di cura, oppure trasformarsi in una macchina da guerra lanciando incantesimi a raffica grazie al suddetto cooldown degli incantesimi. Inoltre, ogni personaggio - indipendentemente dalla razza, dalla classe e (soprattutto) dall'allineamento - ha l'abilità innata di rianimare i compagni di squadra caduti. Le emozioni di un tempo appaiono sbiadite, soffocate da un patchwork pseudo-moderno poco coerente con l'immaginario e l'anima di D&D.
Eau de Farun
Da ultimo, il comparto tecnico è in linea con la qualità generale della produzione, ovvero scarso. Questo, infatti, si presenta lacunoso a causa di texture grossolane e low res, personaggi sin troppo ingessati e fastidiosi cali di frame rate che compaiono a macchia di leopardo durante tutta l'avventura (soprattutto se affrontata online).
Nonostante le criticità tecniche rilevate, il titolo è comunque riuscito a trasmetterci - in qualche modo - la sensazione di essere tornati a calcare i sentieri dei Reami Dimenticati grazie ad un ottimo comparto audio, con campionature sonore e vocali sempre sul pezzo (merito dell'inossidabile Inon Zur) ed a qualche ambientazione di sicura atmosfera.
Riguardo a questo aspetto i set interni appaiono complessivamente molto più curati rispetto alle ambientazioni esterne sia dal punto di vista della qualità che della quantità e pulizia poligonale, complice un engine grafico vetusto che, tranne in rare occasioni, non si è mai veramente dimostrato all'altezza della situazione. Lo stesso può dirsi riguardo ai tempi di caricamento - immotivatamente lunghi - e ad una fallimentare gestione della visuale. La telecamera ballerina ci ha messo più di una volta in difficoltà, costringendoci a ruotarla con una certa frequenza anche durante le azioni più concitate, alla ricerca della migliore angolazione possibile.
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