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recensione TELEGRAFI

Creato il 07 maggio 2013 da Nicolaief

Beniamino Biondi
TELEGRAFI
edizioni Tracce,’05

La distruzione della ragione
di Nicola Lo Bianco

Impresa impari e dolorosa, dolorosa perché inutile, riportare alla ragione ciò che ragione non vuole essere.
E per ragione qui intendiamo quella “Occidentale”, quella su cui ha trovato fondamento la “modernità”, quella burocratica-tecnologica-produttivistica che ci ha cacciati in un labirinto morale/intellettuale, dove, lo diciamo con la sintesi sferzante di Nietzsche “tutto è inutile, tutto è falso, tutto fu” .
Ecco, la poesia di Beniamino Biondi sembra essere un aspro canto sulle macerie orribili di una civiltà in putrefazione, il passo incauto del solitario sopravvissuto che si aggira nella città deflagrata, nella quale è semplicemnete inganno ed ipocrisia cercare qualcosa di “ragionevole”.
Improponibile qualsivoglia nesso logico-consequenziale, bandita anche solo l’eco delle poetiche del Novecento(forse Pound, forse Celan), Biondi con convinta coerenza rimuove dal suo orizzonte poetico tutto ciò che potrebbe configurarsi come “normalità”.
Come se volesse vestire/travestire il reale con una corazza linguistica ed immaginifica fuori dell’ordinario, tanto da risultare impenetrabile ad uno sguardo, diciamo così, non degno.
Una sfida poetica, forse a se stesso, sicuramente al lettore, che è chiamato ad esercitare la pazienza e l’intelligenza, capendo, per l’appunto, l’irragionevolezza di voler spiegare ciò che il Poeta intende abbandonare al suo destino di bellezza oscura o incompiuta.
La domanda, semmai, è questa:questa introversa scrittura ha una sua ragion d’essere?è propriamente uno stile, cioè un autentico modo di essere e di sentire?A parere del sottoscritto, certamente sì: è una poesia dura, dice di sé (p.49), ma è vera poesia.
Nessuna concessione al furbesco “gioco” verbale, nessun artificio intellettuale, le raffinatezze linguistiche e culturali non sono ricercate, ma trovate lì, nell’immediatezza della composizione.
E poi, alla fine del travagliato tragitto interpretativo,la vivida sensazione di essere entrato dentro lo scombussolamento del mondo attuale, le convulsioni irrimediabili di una realtà senza senso.
Dico sensazione per dire della forza poetica affidata non al “discorso”, ma a frammenti visivi, mentali, fisici, sparpagliati in ogni direzione e raccattati nel vano tentativo di comporre un impossibile puzzle.
Il fatto è che non c’è niente da salvare, non c’è nessuna altezza, la visione del Poeta è quella di un’umanità bruta, rozza, un’accozzaglia di voglie e di quotidiane becere abitudini, alle quali pur egli partecipa …(p.24).
La spoliazione impietosa di ciò che teniamo per “sacro”, l’amore ad es., non è una “filosofia”, né una ben conformata coscienza, è pittosto uno stato d’animo reattivo al presente, l’ “ospite inquietante”, senza passato e senza futuro, che altro non accoglie che circondato com’è da <…risa decrepite, i soldati e/la fuga:la caserma e le celle/plurifamiliari, /…/il condotto/fognario e i tubi del gas esposti…/…/(Periferia, p. 16).
O anche <…chi gorgheggia un canto monocorde/mentre il pingue pachiderma combina illecite/negoziazioni:lei che si depila come una puttana…/(La spada e il crisantemo, p.20).
Se c’è una metafisica, questa attiene ai corpi, e l’amore non è “sublimità”, è spasmo sensuale, orgasmo, amorosità carnale:metafisica è il corpo che esce fuori di sé per incontrare un altro corpo.(Metafisica, p.46)
L’ “Ordo amoris”(p.45) è geografia del corpo, è ingordigia di piacere.
L’ “Agnus Dei”, la sezione dove sono inseriti i due componimenti, non è, perciò, redenzione morale, ma il suo contrario, consacrazione dei corpi nel peccato:<…danzo come/ il catecumeno al cerimoniale, turgido/…/(non tardo a seguitare sul tragitto vergine/al tuo pube) e giungo a ridestarti dalla/quiete, farmi corpo al corpo,/battezzarmi al tuo sangue…/(Metaf., p.46).
Il racconto novecentesco della “terra desolata”, nella poesia di Beniamino Biondi prende forma di implosione, dove i brandelli di vita si muovono come dissociati o meglio accomunati spesso da nessi “alogici” , dettati, a me pare, dal solipsismo dell’io, che non concede altri punti di vista, se non il proprio.
Significativamente “Effrazione” è il titolo di un componimento che recita:(p.68).
D’altro canto e legittimamente, il Poeta si ritiene ben lontano <dalla poesia dei fagioli cotti e/destinati sulla padella…/(p.63).
Di fronte alla terribilità, all’insensatezza, al nichilismo morale e intellettuale, il Poeta prende atto della compiuta distruzione della ragione e ne affronta i risvolti esistenziali.
E perciò la poesia assume figura di , , (p.22), essa stessa terribile, crudele, disamorata.
Accostamenti stridenti, dissonanti, immagini come rasoiate, implacabili, sconcertanti, che respingono e attraggono nello stesso tempo:ancora a p. 22 “Sabato Sera, Domenica Mattina”: …<scadente caffè e l’amplesso dei cadaveri/sulle panche del convento./…/comunque non siamo che/volti precari, incidenze uterine, figli sconfortati/…
Paradossalmente, a fronte del crollo verticale, il Poeta sceglie un linguaggio colto, sostenuto, tramato di un lessico scelto, un linguaggio inusuale non contaminato, incorrotto, tale cioè da fare schermo alla (p.20).
Ascendere l’altezza linguistica è, forse, per il Poeta l’ultima àncora di salvezza, e la scrittura poetica un gesto, se pure precario, di libertà, un esorcismo per tenere a bada in qualche modo i <propri fantasmi taciturni/e minacciosi tra la chiesa/ed il cortile che puzza/di aceto…(Perturbamento, p.59) e continuare a scrivere.
Non so quali siano gli ideali interlocutori del Poeta, forse nessuno, forse quei pochi o molti che riescono ad impossessarsi del codice proprio di questi “Telegrafi”, riconosco l’originalità e (p.33) di questi versi, ma sempre sono convinto che la poesia, proprio nel tempo in cui (Epilogo), deve lasciare intravedere la bellezza senza dolore.

Nicola Lo Bianco


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