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Titolo: Teorema Catherine Autore: John Green Edizione: Rizzoli Numero di pagine: 335 Prezzo: € 14,00 Sinossi: Da quando ha l'età per essere attratto da una ragazza, Colin, ex bambino prodigio, forse genio matematico forse no, fissato con gli anagrammi, è uscito con diciannove Catherine. E tutte l'hanno piantato. Così decide di inventare un teorema che preveda l'esito di qualunque relazione amorosa. E gli eviti, se possibile, di farsi spezzare il cuore un'altra volta. Tutto questo nel corso di un'estate gloriosa, passata con l'amico Hassan, a scoprire posti nuovi, persone bizzarre di tutte le età, ragazze speciali che hanno il gran pregio di non chiamarsi Catherine. La recensione “Ecco come ricordo io le cose. Ricordo le storie. Unisco i punti e viene fuori una storia. E i punti che non stanno bene nella storia magari scivolano via. Come quando trovi una costellazione. Guardi il cielo e non vedi tutte le stelle. Le stelle sembrano tutte le stesso immenso cacchio di caos che sono. Ma tu vuoi vedere delle forme; vuoi vedere delle storie, così le isoli nel cielo. Vedi connessioni ovunque, quindi, alla fine della fiera, tu sei un narratore nato.” Ognuno ha in testa l'idea del partner ideale. Un appuntamento galante a San Valentino e, dall'altro capo del tavolo, una persona alta o bassa, estoversa o introversa, bionda o bruna, sportiva o sedentaria, possessiva o libertina. Una che ami i tulipani e detesti le rose rosse; una allargica ai fiori; una che, a casa, ha serre tropicali, con asfodeli e piante carnivore. Quando dite “no, non è il mio tipo”, quindi, cos'è che intendete voi? Il tipo di Colin Singleton, diciassette anni, sono le Catherine. Lui non guarda all'aspetto fisico, solo al nome. Nove lettere e la certezza matematica di farsi spezzare il cuore per la ventesima volta. Se ti chiami Cathy, Katrina o Katherine, mi dispiace, ma non avrai successo. Prendi in considerazione un cambio di nome, piuttosto; sempre che imbrogliare funzioni. E' questione di “Catherinanza”. Le altre ragazze non danno due di picche con lo stesso savoir faire, né hanno la possibilità di entrare a far parte, per diritto di nascita, della nutrita schiera di ex di quello che un tempo fu un bambino prodigio. Sfruttando le sue disavventure sentimentali, nella speranza che un bambino prodigio possa anche diventare un adolescente prodigio, Colin studia notte e giorno per elaborare il teorema che spera possa far di lui un premio Nobel per la pace. Per la pace, sì: grazie a lui, niente più cattive sorprese. Il destino di una relazione, riassunto con matematica certezza, prima che essa cominci o finisca. Poi premio Nobel... che figata. Chi mollerebbe mai un generoso benefattore dell'umanità, come quello smilzo ragazzetto con gli occhi verdi verdi e i capelli cespugliosi alla Einstein? Trascinato in un viaggio rocambolesco, approdato in una sperduta cittadina americana, piena di abitanti indimenticabili e assurdi, Colin e il suo amico Hassan – cicciottello, irsuto, esilarante e troppo musulmano per i suoi gusti, anche se ci tiene a specificare di non essere un terrorista, nonostante le apparenze – raccoglieranno vecchie memorie, andranno a caccia di maiali selvatici, saranno inseguiti dagli stessi esotici maiali che volevano cacciare e da sciami inferociti di vespe assassine, conosceranno l'adorabile Lindsey Lee Wells e i colpi di scena che il destino, anche se non sembra, ha in serbo per tutti noi. Teorema Catherine, quinto libro di John Green che leggo, è anche l'ultimo dell'autore che rimaneva nella mia nutrita wishlist. Finiti. Letti tutti. E adesso mi sento un po' solo, sapendo che quando avrò bisogno di lui – per il momento – non ci sarà; proprio lui, che c'è sempre stato. Questo breve e fresco young adult ha un Green meno ispirato del solito, ma ugualmente coinvolgente. Sarà per il distacco in più dato dall'utilizzo dell'insolita terza persona, sarà per la mia totale ignoranza dell'ambito matematico: Teorema Catherine mi ha fatto sorridere spesso, però non è mai esplosa... quella cosa. Me ne sono accorto, per esempio, dal numero di frasi belle belle che ho appuntato. Un gruzzoletto esiguo ma significativo di riflessioni in cui specchiarsi, nudi. Senza maschere, senza artifici. John Green è uno che non giudica. Curiosissime le frequenti note a bordo pagina con le informazioni sulle vite assurde di presidenti rimasti incastrati nella vasca da bagno, uomini di scienza innamorati alla follia di piccioni, modi di dire non so cosa in nove lingue: curiosissime, per un libro carinissimo. Sempre che sappiate accontentarvi. Io l'ho fatto, e senza troppa amarezza: non posso parlare di delusione, perché il romanzo non mi ha deluso affatto. Per due giorni, è stato bene tra le mie mani e sotto l'ombrellone. Compratelo, per godervi in compagnia quel che resta dell'estate: Ferragosto, come fa l'Epifania con le feste, minaccia di portarci via il sole. I protagonisti, più lineari e meno ombrosi del solito, vi ricorderanno che è bello ridere, prendere la macchina e girare a vuoto. Si viaggia in una minuscola bolla di vetro. Il mondo che si capovolge, la neve che cade nelle stagioni sbagliate, la gente che si urta e si chiede scusa. Una bomboniera a buon prezzo in cui spicca la croce lignea più grande del mondo, una fabbrica che produce stoppini per tampax, un obelisco che fa ombra sui presunti resti dell'arciduca Francesco Ferdinando. Colin e Hassan sono scemo e più scemo, ma con un quoziente intellettivo vertiginoso. Logorroici e imbarazzanti, fanno associazioni di pensiero assurdamente buffe, anagrammi sgrammaticati, discorsi su argomenti decisamente inadatti alla conversazione tra liceali. E poi c'è Lindsey, che ha il pregio e il difetto di non essere un'altra Catherine. E sta insieme a un altro Colin. Una ragazza sveglia e sensibile, che si pone il problema di essere egoista e si dà della bugiarda, perché con altri che non siano Colin – ma quello vero, non LAC (L'altro Colin) - non riesce ad essere sé stessa. Essere sé stessi, il romanzo ci insegna, è mangiarsi le unghie come se l'altro non ci fosse: come se l'altro fosse un altro noi. Parlando su Facebook con una ragazza che non lo apprezzava, ho riflettutto sul perché mi piacesse Green, nei giorni scorsi. Avevo davanti una frase che parlava di me. Allora ho realizzato: lui dice certe cose, e in certi modi, che mi fanno dire “be', eccomi qui”. Non è accontentarmi, convinto non ci sia altro di meglio. E' aspettare di ritrovarmi in prima persona, prima o poi, nelle cose di un altro autore. E io, da ragazzo non geniale, mi faccio bastare anche libri non geniali, finchè il semplice ricordare come sono stato non molto tempo fa, e rivedermi un poco, sarà tutto quello che vorrò. Il protagonista vuole cercare un disegno, vuole una morale per le sue fallimentari storie. Storie... piuttosto che riassumerle attraverso schemi impersonali, meglio raccontarle. Con quelle parole che, anche quando non ci saremo, stravolte e modificate, rimaranno nell'aria. In trecentoventi pagine, spazio per una scena da Guiness. Il miglior bacio al buio. Non mostrato, non raccontato: reso con una serie di battute che hanno i punti di sospensione e basta. Un genio matematico che si rende conto che sapere le basi di nove lingue, il nome di colui che fu primo ministro del Canada nel 1871 e le dipendenze segrete di Thomas Edison è meno interessante del sapere fare conversazione e, raccontando, raccontarsi. La scienza salva il mondo, ma la letteratura salva l'uomo. La prima è importante per tutti, la seconda per noi. Ed è carino fare qualcosa per noi, di tanto in tanto. Dolce e genialoide, l'inconsapevole Colin segna l'armistizio nello scontro secolare tra artisti e uomini di scienza. Si può essere l'una e l'altra cosa. I capolavori di vite sono splendidi da guardare, tanto quanto le stelle. Il diagramma finale avrà una forma variabile. Una faccina sorridente, un cuore. Un romanzo simpatico e senza drammi, che non deride i ragazzi e le loro nevrosi.
Ride insieme a loro. Il mio voto: ★★★ Il mio consiglio musicale: Barry White – My first, My last, My everything
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