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Recensione. THE CANYONS di Paul Schrader: film maledetto, maledettissimo, da amare

Creato il 15 novembre 2013 da Luigilocatelli

Ripubblico la recensione scritta dopo la presentazione fuori concorso del film allo scorso festival di Venezia.The Canyons 3The Canyons, regia di Paul Schrader. Sceneggiatura di Bret Easton Ellis. Con Lindsay Lohan, James Deen, Nolan Funk, Gus Van Sant, Tenille Houston. The Canyons 1
Accolto da bordate di fischi alla proiezione stampa. Ma anche dall’entusiasmo di uno zoccolo durissimo di estimatori. The Canyons (scrittura di Bret Easton Ellis, regia di Paul Schrader) è arrivato a Venezia stracarico di maledettismo e già leggendario, già oggetto di devozione cinefila. Un produttore losangelino e la sua ansia di controllo su chi lo circonda, a partire dalla fidanzata Tara. Sesso in varie declinazioni. L’estetica del vuoto. Con una meravigliosa, straziante Lindsay Lohan. Voto tra il 7 e l’8
The Canyons
Io mi sono collocato tra i plaudenti. Però, che bordate di fischi, una cascata rumorosisima, stamattina alla proiezione stampa in Sala Darsena per l’ormai mitologico e molto maledetto The Canyons. Sghignazzi e buuh già durante la proiezione a sottolineare soprattutto certi dialoghi di Bret Easton Ellis (poi presente in conferenza stampa insieme al regista Paul Schrader, a Venezia anche come presidente della giuria di Orizzonti, e all’attore James Deen. Assente invece la protagonista e coproduttrice Lindsay Lohan). È che The Canyons è arrivato qui dopo un’uscita in poche sale americane quasi clandestina cui ha corrisposto una miseria di dollari d’incasso, e dopo molte stroncature, anzi demolizioni da parte di stampa e siti vari. Questo film o lo ami o lo odi. E, secondo me, lo ami anche quando lo odi. Già culto, già guilty pleasure, già oggetto devozionale, e come potrebbe essere diversamente? Un film nato come produzione pazza e indipendente, come un azzardo, una sfida. L’incontro tra due talenti fuori rango. Bret Easton Ellis, autore della storia e dei dialoghi, porta dentro a The Canyons la glacialità della sua scrittura e della sua visione del mondo, la sua fenomenologia di relazioni umane in cui ogni sentimento pare bandito e in cui contano solo il potere, il controllo sull’altro e sugli altri. Il fatto che alla regia ci sia un grande del cinema americano come Paul Schrader aggiunge ulteriori motivi di interesse. E ancora: la più cattiva di tutte le cattive ragazze della Hollywood ultima-recente, Lindsay Lohan, è la protagonista, e il protagonista è un pornostar, Jimmy Deen, qui al suo esordio nell’altro cinema. Easton Ellis da quel ragazzotto che era ai tempi di American Psycho si è trasformato oggi in un omone grande e grosso, più grosso che grande, e ingrigito, Jimmy Deen a vederlo (nel primissimo pomeriggio in conferenza stampa) è invece un uomo magro e ossuto e abbastanza minuto, e tale appare anche sullo schermo, parecchio lontano dal macho-bisteccone da porno (però un full frontal mentre sale nudo le scale in una scena ci fornisce la vera spiegazione della sua fortuna nel settore). Ammettiamolo, una mistura di ingredienti irresistibile. Difatti a The Canyons non si resiste, fin dal meraviglioso inizio, inquadrature fisse di esterni di vecchi cinema losangelini, un inno al cinema com’era e come non è più, e la desolata constatazione della sua decadenza. Poi, Dio mio, arriva quella scena al ristorante, già da piazzare in una qualche antologia. Doppia coppia: da una parte il produttore Christian (Jimmy Deen) e Tara (Lindsay Lohan), dall’altra l’assistente di lui Gina (Amanda Brooks) e il suo fidanzato Ryan (Nolan Funk). Ryan è appena stato ingaggiato per un filmaccio horror prodotto da Christian che sta per essere girato in Messico, ci doveva essere nel cast anche Tara, ma lei ha deciso di defilarsi. A condurre il gioco e la conversazione è Christian, il quale rivela ex abrupto l’abitudine sua e di Tara di reclutare coppia o singoli per triangoli, quadrilateri, scambi, gangbang. Dialoghi di una crudeltà trattenuta e controllata eppure al limite della ferocia, e a me hanno ricordato certe sceneggiature di Harold Pinter per Joseph Losey (sì, lo so che qualcuno si scandalizzerà). Il resto consegue in perfetta logica. Peccati, carognerie, abbondante uso di droghe. Schrader riprende con il suo stile di massimo rigore e austerità pezzi di vita di Beverly Hills, la casa di pura architettura californiana di Christian e Tara, la loro pratica ossessiva della coppia aperta, anzi spalancata. Li osserva e li riprende senza apparente partecipazione e passione, come in un rituale, cercando di sintonizzarsi sul tono della scrittura di Bret Easton Elis. Solo che i sentimenti, gli aborriti sentimenti, ci si mettono di mezzo. Cose espunte da quel mondo, perfino innominabili, quali amore e gelosia, ritornano con la forza dirompente di ogni rimosso. Tara e Ryan son stati fidanzati un tempo, e adesso che si sono ritrovati sono di nuovo amanti, all’insaputa dei rispettivi partner. Christian, il demoniaco Christian, lo verrà a sapere e da allora si innescherà un gioco di vendetta e punizione. Era da tempo che non mi capitava di vedere al cinema una partita tra personaggi condotta con tale disincanto, con armi così affilate. Qualcosa che riporta alla mente certi capolavori della letteratura libertina settecentesca e certi film: almeno un paio di Mankiewicz, Masquerade e Gli insospettabili. In alcuni passaggi il film sembra come ondeggiare, indeciso tra l’assoluta assenza di morale dell’universo Bret Easton Ellis e le oscure pulsione di colpa, espiazione e redenzione dell’universo Paul Schrader. Ma quando The Canyons trova il suo equilibrio son meraviglie. Christian è personaggio perfettamente alla Bret Easton Ellis, quasi paradigmatico, e Jimmy Deen è incredibilmente bravo nel conferirgli ossessività, nevrosi, carica luciferina. Tutto ha come fine il controllo, e The Canyons è un confronto e scontro spietato in cui ci possono essere solo dominatori e dominati, vincitori e vinti. Tertium non datur. Ma il film è soprattutto Lindsay Lohan, che lo possiede, lo piega a sé, lo percorre con una carnalità da diva immensa del passato. Non so se sia una brava attrice, di sicuro è una star. Sulla faccia, sul corpo, porta già i segni della sua vita notoriamente estrema e dissoluta, ed è insieme imperiosa, fragile, magnifica e straziante. Un morphing inquietante, a tratti, tra Liz Tayor e Alba Parietti. Ma, fortunatamente, più la prima. Lohan mi ha ricordato Liz nei suoi film più alti, ferita e fiera, interrotta e indomabile, quella di Venere in visone, Chi ha paura di Virginia Woolf?, La scogliera dei desideri. Tanto per aggiungere culto al culto, c’è anche una comparsata di Gus Van Saint quale strizzacervelli di Christian/James Deen. E poi stamattina hanno avuto l’ardire di fischiarlo, The Canyons, e di definirlo (l’ho sentito all’uscita dalla Sala Darsena) imbarazzante. Si imbarazzino loro, invece.


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