Recensione: “The end of feeling”, di Cindy C. Bennett

Creato il 20 febbraio 2015 da Ceenderella @iltempodivivere

Niente, se togliamo The winner’s crime, col quale sapevo di giocare facile, su Netgalley mi aveva ancora colpita quindi dovete immaginare la sorpresa dell’aver scovato questa piccola perla di tenerezza. È stato amore ad ogni parola!
Ps: se state cercando un libro col quale cominciare a leggere in inglese o esercitarvi, The end of feeling è quello che fa per voi.

Titolo: The end of feeling
Autrice: Cindy C. Bennett
Editore: inedito in Italia
Anno: 2015
Pagine: 277

Il diciottenne Benjamin Nefer sembra aver tutto: incredibile bellezza, impressionanti capacità a football e abilità che gli hanno permesso di conquistare – e spezzare – il cuore di una quantità spropositata di ragazze a scuola. Ma la sua vita d’inferno, a casa, lo ha lasciato solo con un vuoto dentro sé che non gli permette di provare niente. Pensa di star bene così… finché non incontra la diciassettenne Charlie Austin. Potrà anche essere nuova in città, ma è già stata avvertita della reputazione di Benjamin, perciò è facilissimo per lei rifiutarlo. Proprio come lui, anche lei è felice di mantenere gli altri a distanza, specialmente perché ha dei segreti che non è ancora disposta a condividere con nessuno. Ma, mentre l’amicizia tra il carismatico capitano della squadra di football e la ragazza nuova cresce, Charlie si ritrova più vicina a Benjamin di quanto lo sia mai stata a nessuno – e si domanda se lui sia capace di sentir qualcosa. Può abbassare la guardia o la loro storia è solo un altro gioco per lui?

La tenerezza di questo libro mi ha sconquassato il cuore. Il rispetto e la dolcezza sono i fili conduttori di una storia che avrebbe potuto dare in pasto al pubblico tematiche delicate nella stessa maniera di tanti, troppi altri romanzi del genere e invece accetta di essere quasi sottotono, decide di non alzare la voce per farsi largo e lasciar osservare con struggente malinconia le esistenze di due ragazzi che hanno ottenuto una mano difficile con la quale giocare, ma non per questo si abbattono, non per questo rifiutano la vita. C’è un senso di commovente tranquillità tra queste righe, una sensazione di pace che stride con le vicende narrate e che non riesco bene a spiegare, talmente è strana e inaspettata: nonostante Ben abbia nell’armadio più mostri da nascondere che trofei dei quali andar fiero e Charlie viva nel terrore di scontrarsi con la cattiveria umana, la Bennett affronta questi argomenti con la leggerezza di una prosa lineare, semplice nella sua esposizione e con la delicatezza di chi preferisce mostrare la durezza delle loro vite senza esagerarne i dettagli, semplicemente esponendoli, lasciando al lettore il compito di comprenderli, sentirli come propri. Per questo, ogni sorriso di Ben acquista più valore e ogni piccolo spiraglio di verità che Charlie lascia filtrare è una soffice carezza. E, per questo, seguirli nello sviluppo di un’amicizia profonda, che è appiglio per entrambi in un mare in tempesta dal quale non possono o sanno liberarsi da soli, è quanto mai più significativo di molti altri romanzi che ho letto di questo tipo. E mi ha conquistata, col suo punto di vista alternato, che permette di scavare sotto la superficie brillante dei mondi dei due protagonisti e scovarne le imperfezioni, in quella di Ben, ascoltarne le parole non dette, in quella di Charlie. Due vite che in un certo qual senso si assomigliano, nella ferma decisione di non lasciar che gli altri sappiano cosa le quattro mura di casa non lasciano vedere dall’esterno, e che, inevitabilmente, finiranno per avvicinare i due ragazzi, in sprazzi di fiducia e insospettabile comprensione, in una tenera amicizia che ha il sapore di qualcosa di più che non si riesce a pronunciare. Nel far diventare fondamentale quella che era nata come una sfida, una voglia di rivalsa da parte di Ben nei confronti della prima ragazza che sembrava immune alle sue tecniche che negli anni gli son costate la reputazione di rubacuori e bad boy dal sorriso perenne che mai raggiunge gli occhi e sembra sincero.

“Non mi hanno mai spezzato il cuore,” dico con orgoglio.
“Davvero?”
L’immagine di mia mamma  mi balza in mente per un breve attimo. Non conta. “No,” ripeto.
“Wow, è abbastanza… triste.”
“Perché lo sarebbe?” chiedo.
“Perché quando ti si spezza il cuore, cresci. Ti aiuta a capire come vuoi essere trattato, e come trattare quelli che ami. Forse è questo il tuo problema, Nefer, hai davvero bisogno che qualcuno ti spezzi il cuore in modo che possa capire come comportarti con le ragazze con cui esci.”
“Io non ho alcun problema a far sì che le ragazze escano con me,” dico. È vero, non ne ho. Perché non mi interessa se escono con me oppure no. Non mi interessa se a loro piaccio oppure no. Ci esco assieme solo per apparire normale, e per dimostrare che posso esserlo. Altrimenti uscirei sempre coi miei amici. “Eccetto te,” aggiungo. “Sembra non riesca a convincerti a uscire con me.” Quando non risponde, le chiedo, “Ti hanno mai spezzato il cuore?”
“Certo.”
“Quando? Chi?”
“Freddy Tappmore. Il primo ragazzo che abbia avuto, quando ero in quarta elementare.”
Ragazzo? Forse mi sbaglio su di lei, o forse non sapeva in quarta elementare che non le piacevano i ragazzi. “In quarta elementare?”
“Non ridere,” dice. “Me lo ricordo ancora oggi. Mi disse che gli piacevo, mi teneva la mano e cose così. Poi un giorno mi disse che gli piaceva di più Sheila Chester. Perciò iniziò a tener la sua, di mano. È stato atroce.”
“Tutto qui?”
“No, ma non ti dirò di più se tutto ciò che fai è ridere di me.”

Semplicità è la parola-chiave ed è ciò che traspare immediatamente dalle vicende narrate in The end of feeling. Non semplicità in ciò che troviamo nel romanzo, quanto semplicità nelle azioni e reazioni dei suoi protagonisti, nel loro affrontare a piccoli passi, mano nella mano, situazioni che di semplice non hanno niente, perché l’aver per madre una persona affetta da ritardo mentale medio o per padre un alcolista violento crea situazioni oltre l’ordinario che inevitabilmente portano alla costruzione di palizzate difensive insormontabili, finché non si ha il coraggio di tirarle giù e provare ad aprirsi. Semplicità, tuttavia, nella loro esposizione, nel non diventare il perno attorno al quale tutto ruota e, al tempo stesso, non essere talmente sfocate da dar l’impressione di essere solamente un motivo di angst gettato a caso nel mucchio come spesso mi capita, forse troppo maliziosamente, di pensare. Il tormento di Charlie dato dal paralizzante timore che il far sapere chi sia sua madre le crea è così comprensibile, così realistico, nel voler proteggere a tutti i costi chi da solo non può farlo, da commuovere in più passaggi e quel senso di vuoto che tutto lascia a Benjamin, quella bolla di anaffettività che lo circonda e gli impedisce di provar emozioni vere, che lo protegge, che gli provoca attacchi di panico alla prima incrinatura è straordinariamente descritto, la parte più coinvolgente probabilmente dell’intero libro. Si finisce per affezionarsi a entrambi, ad accettarne i difetti prima ancora che ad apprezzarne i pregi e a sperare per quell’happy ever after che entrambi meritano, che sia l’uno al fianco dell’altra come amici, come coppia, o con strade intersecate che poi prendono direzioni differenti poco cambia. Perché nucleo focale della storia non è solamente il loro rapporto, quanto anche la loro crescita individuale e l’accettazione delle proprie debolezze per poi provare a superarle, senza girar loro attorno ma affrontandole di petto, con coraggio e determinazione. Questione di fiducia, in se stessi, ma soprattutto negli altri, che qualche volta son capaci di sorprendere e sono tutta la forza di cui si ha bisogno per tener duro nei momenti più critici, la spinta a non mollare e la speranza che, proprio in virtù del loro appoggio, qualcosa può cambiare.

“Charlie!” urla mia mamma, irrompendo in camera. Mi alzo giusto in tempo per stringerla tra le braccia. Getto uno sguardo a Naomi, che è rimasta sulla soglia, una muta domanda nello sguardo.
“Alcune volte una ragazza ha semplicemente bisogno della mamma,” mi dice, alzando le spalle e chiudendo la porta dietro di sé.
Chiudo gli occhi mentre ci abbracciamo, sperando ancora una volta di poterle parlare di Benjamin e che mi possa dare qualche consiglio che mi faccia smettere di soffrire così tanto. La stringo un po’ più forte, prima di lasciarla.
“Sono contenta tu sia qui, mamma.”
“Mimi dice che posso rimanere a dormire.” La gioia le illumina gli occhi mentre saltella sulle punte.
“Siediti qui con me.” La porto a sedere sul davanzale della finestra. Mentre siamo sedute mi guarda a lungo, la fronte aggrottata.
“Che succede, mamma?”
“Mimi dice che sei triste.”
Sorrido e scuoto la testa, maledicendo Naomi. “Sto bene, mamma.”
Ora è lei a scuotere la testa. “No, Mimi lo ha detto.” Alza un dito e mi sfiora sotto l’occhio, in un gesto sorprendentemente gentile. “Sei triste proprio qui, si vede.”
Mi si ferma il cuore e quegli stupidi infedeli dei miei occhi si inumidiscono. Posso solo annuire. Non penso di riuscire a parlare senza scoppiare a piangere.
“Mimi dice che il principe Benjamin non verrà più. Mimi dice che non sarà più il nostro principe.”
Lascio andare le lacrime e respiro a fondo. Eppure, la voce mi trema lo stesso. “No, non verrà più qui, mamma, ma sarà sempre il tuo principe.”
“Ma non il tuo?”
“No, mamma, non il mio.” Non riesco a fermare il singhiozzo che mi sfugge dalla gola. Mi prende le guance tra le mani, muovendo le dita su e giù. “Ci vuole sempre bene?” domanda, con un’espressione preoccupata dipinta in volto. “Sì che ce ne vuole. Non ti preoccupare, Charlie, ti vuole bene anche lui. Va tutto bene.”
Mi tira verso di sé, tra le sue braccia, tenendomi stretta e cullandomi, accarezzandomi la schiena, emettendo piccoli mormorii… quasi come una mamma qualsiasi. E lo accetto, prendo il suo conforto e la cieca fiducia che tutto andrà bene.
Per la prima volta nella mia vita, è lei che si prende cura di me, addirittura mettendomi a letto e infilandosi sotto le coperte al mio fianco così che possa abbracciarmi tutta la notte.

Come dicevo, sono bugie parallele quelle di Ben e Charlie ma profondamente diverse nelle implicazioni: aspre, terribilmente atroci quella di lui, volte a mascherare la violenza con la durezza dello sport, protettive e dolci quella di lei, la cui unica sofferenza è data dalla paura che la persona che più ama possa essere derisa e soffrire; eppure, al tempo stesso, intersecate, perché lo svelamento di una implica la conoscenza di un lato dell’altro di cui non si aveva idea e spingono a mettere in questione il mondo per come lo si è sempre visto, a credere che qualcosa di buono dal dolore possa esser tirato fuori. A pensare che far affidamento su qualcuno non significa dipendere da lui, ma potersi permettere attimi di respiro, una tregua che tutto il resto concede. Una storia d’amore, e tanto di più, proprio come piace a me.

Voto: ❤❤❤❤


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