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[Recensione] The Poughkeepsie Tapes (di John Erick Dowdle, 2007)
Creato il 20 agosto 2014 da Frank_romantico @Combinazione_CNon mi dilungherò ancora una volta sull'inutilità (raggiunta) di mockumentary e found footage. Già l'ho fatto, già mi ripeto molto, vorrei evitare di perdere il controllo. Eppure in futuro aspettatevi la mia personale classifica, giusto per chiudere definitivamente il discorso con quelli che, secondo me, sono gli imprescindibili. Ma in futuro, non ora. Ora voglio solo tornare un po' in dietro nel tempo, neanche tanto, ad esempio nel 2007 e parlarvi di un film che trascende(va) la leggenda: The Poughkeepsie Tapes, di John Erick Dowdle.
Trascende(va) soprattutto per due motivi. Il primo è che, trattandosi di opera piccola (indi) e per niente spinta dal punto di vista pubblicitario, The Poughkeepsie Tapes sette anni fa non era poi così facile da reperire o godersi soprattutto da chi è scarsamente anglofono. Il secondo è che, trattandosi di un film del 2007 uscito in sordina, non ha risentito del grande eco commerciale e globale suscitato da altre pellicole dello stesso anno o successive. Cosa che aveva spinto qualcuno a pensare si trattasse di una storia vera, complice lo stile documentaristico che emula alla perfezione quei programmi di indagine che fino a qualche anno fa spopolavano in TV. Quindi, per qualche anno, The Poughkeepsie Tapes è stato il titolo con cui si sono riempiti la bocca molti pseudo critici e cinefili, il terrificante film divenuto improvvisamente leggenda metropolitana, il tipico lungometraggio di cui tutti parlano e che in pochi hanno visto. Che forse poi era proprio quello che voleva la Metro-Goldwyn-Mayer, visto la cifra esigua investita per la distribuzione.
Sta di fatto che, col tempo, il gran parlare (tra gli appassionati) che aveva suscitato questo The Poughkeepsie Tapes si è affievolito fino al mutismo e, probabilmente, all'oblio di un titolo che ormai non ricorda più nessuno. Poi è ovvio, tra i Paranormal Activity vari e tutte le cazzate che dal 2007 si sono successe, cadere ancora nella trappola del "sarà vero oppure no" è quasi impossibile e questo leva (ha levato) gran parte del fascino ad una pellicola che su questo fascino ha basato tutta la sua forza.
Tutto parte dal ritrovamento di uno spropositato numero di nastri. Videocassette amatoriale che narrano le avventure di un serial killer attivo durante gli anni '90 che rapiva e ammazzava chiunque ma soprattutto donne e bambine. Non che limitarsi a rapire e ammazzare fosse la sua unica attività: parliamo anche di sevizie, torture, amputamenti e stupri, di esperimenti chirurgici e tanto altro ancora. Questo killer, soprannominato il Water Street Butcher, dimostra subito la particolare abilità non solo di adattarsi alle diverse situazioni ma, soprattutto, di sviare qualunque tipo di indagine cambiano improvvisamente modus operandi.
Il problema di un film come The Poughkeepsie Tapes è che non mantiene tutto quello che promette. Tutto il vociare che si era fatto attorno a questa pellicola, tra l'altro, non ha fatto altro che aumentare aspettative che poi sono state irrimediabilmente tradite e il bello è che questo tradimento non c'è stato a livello stilistico o qualitativo, bensì da un punto di vista intrinseco al tipo di film stesso. Una sorta di mancanza di coraggio che non ha permesso a regista e produzione di spingersi lì dove una pellicola del genere avrebbe potuto lasciare davvero il segno.
Parliamo di un film basato su interviste a specialisti nel settore. Un finto documentario che ripercorre le indagini su un serial killer da un punto di vista postumo. Eppure parliamo di un mockumentary che vorrebbe sbatterci in faccia le imprese di un folle assassino limitandosi a lasciarci con l'acquolina in bocca quando sembrerebbe essere arrivato il momento. E non si tratta di semplice voyeurismo castrato ma dell'incapacità di andare oltre la solita routine. Per come la vedo io, as prometti poi devi mantenere, altrimenti meglio mantenere un profilo il più basso possibile.
E allora cosa c'è di davvero interessante in un prodotto del genere? Io partirei da una certa maturità che sembrerebbe non appartenere tanto al regista John Erick Dowdle (quello di Devil e Quarantena, per capirci) quando a suo fratello, produttore e co-autore, Drew Dowdle. E di maturo c'è, in The Poughkeepsie Tapes, l'abilità nello sfruttare la solita trama per creare qualcosa di nuovo e che tende all'universale, trasformando la figura di un serial killer in quella DEL serial killer. Perché il Butcher è l'idea stessa del killer seriale che prende (e cambia) forma, quasi un sussidiario di quel che si conosce sul predatore per eccellenza. Eppure si va oltre, perché nel far questo si arriva, automaticamente, a ridipingere la figura del killer da un punto di vista cinematografico. Perché la teatralità del Butcher si presta perfettamente alla dimensione recitativa che lo piega ad essere personaggio principale di un film e, allo stesso tempo, tende a spiegare e scusare l'abusato e poco credibile fenomeno dei nastri e delle riprese (elemento tipico del found footage).
Che poi è il Butcher il protagonista fantasma di una storia che assume i suoi toni più oscuri e intriganti quando il mostro decide di mostrarsi con una teatralità (maschere e costumi) potente e persino raffinata, spiegando allo spettatore la propria psicologia più di quanto sappiano fare i (finti) esperiti del film. E allora lui è il one man show e lo si capisce da subito, ma non l'unica cosa permette al film di funzionare. Ad esempio, il finale con Cheryl Dempsey (un'ottima Stacy Chbosky) è annichilente e spietato pur essendo una semplice intervista/ripresa, oppure la descrizione di quelle che sono state le sevizie a cui il Butcher aveva sottoposto le sue vittime, mai svelate durante le registrazioni al limite del guardabile (per garantire il senso di totale amatorialità) e semplicemente "raccontate". Per non parlare della sterzata anti pena di morte che, ad un certo punto, la pellicola prende. E se non fosse per quell'incapacità di spingersi lì dove nessuno aveva mai osato avventurarsi, forse a quest'ora staremmo parlando di una perla indimenticabile. E invece siamo costretti a riconoscere la bontà di un prodotto ma l'assenza di quel qualcosa in più che tanto manca al cinema horror. Pazienza.
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