Ripubblico la recensione scritta dopo la proiezione del film al Venezia Film Festival 2013.
The Unknown Known, un documentario di Errol Morris. Su e con Donald Rumsfeld. Presentato in Concorso al Venezia Film Festival 2013.
- Donald Rumsfeld
Il primo documentario in concorso nella storia del festival di Venezia, ed è già una notizia. Ricostruzione (con intervista) degli anni cruciali di Donald Rumsfeld, il falco dell’era Bush (junior), colui che spinse per la guerra in Iraq e in Afghanistan e la lotta globale al terrorismo jiadista. Comunque lo si giudichi, un colosso. Soprattutto se pensiamo all’inazione e all’indecisionismo dell’attuale amministrazione americana. Erroll Morris, il regista, incalza con le domande giuste, ma impagina con qualche visualizzazioni al limite del kitsch. Voto 6 e mezzo
Il regista Erroll Morris
Fa un certo effetto, nella soporifera era dell’elusivo e indeciso a tutto Barack Obama, vedersi e godersi un film con al centro un mastino superdecisionista come Donald Rumsfeld. L’uomo che passò per il superfalco e l’eminenza grigia, anzi nera, di George W.Bush, di cui è stato a lungo segretario alla difesa. Rumsfeld, considerato l’ispiratore occulto e dunque il responsabile primo dell’intervento in Iraq e in Afghanistan. Però, che gran personaggio. A vederlo lì sullo schermo, mentre proclama il suo verbo o viene incalzato dalle domande del regista-autore Errol Morris (sempre fuori campo grazie a Dio), anche un mattatore e un sublime entertainer. Capace di sfangarsela in conferenza stampa con i più risoluti giornalisti tirando fuori battute scintillanti humor e intelligenza. Lui, il signor Rumsfeld, ne ha tante da raccontare, essendo in politica da quando aveva trent’anni, essendo stato soprattutto nell’inner circle di Bush (junior) in una fase fatale per l’America e il mondo tutto, l’11 settembre, la successiva guerra al terrorismo, l’intervento in Iraq e la cacciata di Saddam Hussein, l’intervento in Afghanistan per far fuori il regime talebano protettore di Bin Laden. E Guantanamo, e la vergogna di Abu Ghraib. Lui le critiche le ha sempre prese in faccia, senza mai paraculeggiare, e di questo anche i suoi detrattori devono rendergli atto. Non rinnega niente di quella stagione, Rumsfeld. Con orgoglio ribadisce il dovere dell’America come superpotenza di mantenere l’ordine mondiale e di intervenire laddove necessario. Con il realismo, ma non il cinismo, del grande conservatore che sa come va il mondo e non si fa illusione: “Se vuoi la pace prepara la guerra” dice, citando un antico ma sempre fresco grumo di sapienza. Oggi, con Obama in ritirata dall’Afghanistan e dall’Iraq, con un Nord Africa e un Medio Oriente in preda alle convulsioni che sappiamo e vediamo, con un’America incapace di una qualsiasi politica estera e azione efficace, vien quasi da rimpiangerli, quei tempi e quegli uomini alla Rumsfeld. Quelli della stagione neocon dell’esportazione della democrazia e della guerra globale al jiadismo: con le ombre e le ambiguità che conosciamo. Rumsfeld sullo spinoso discorso delle torture (waterboarding e altro) a Guantanamo non si tira indietro, conferma di essere stato lui a stabilire regole e limiti degli interrogatori. “Quando mi chiesere se era il caso di acconsentire a misure come quella di costringere i prigionieri a stare in piedi per sei ore risposi che io di ore in piedi al giorno ne passavo dodici, e diedi l’ok”. Certo, gli indignados avranno molta materia di cui indigrarsi vedendo questo film, ma l’onore delle armi a Rumsfeld bisogna concederlo, anche perché nel 2006 ha pagato con le dimissioni il caos iracheno post-bellico. C’è da chiedersi, di fronte a questo Lo sconosciuto conosciuto (“sono le cose che credi di sapere e invece non sai”, chiosa Rumsfeld), quale sia la qualità filmica dell’operazione al di là dell’evidente caratura e interesse del personaggio documentato. Morris è efficace nel raccontare la sua storia e il suo mattatore, a incalzarlo con domande dure (su Abu Ghraib per esempio), e non ci annoia neppure per un secondo. Strafà quando spettacolarizza con immagini tipo le cascate di neve di carta (per illustrare gli snowflakes, i memo che incessantemente e quasi compulsivamente Rumsfeld inviava al suo staff). O quando chissà perché ci mostra vedute aeree di atolli e mari blu e quant’altro, con effetto kitsch da cartoline (virtuali) dalle Maldive. Meglio funziona con le gigantografie dei lemmi dei dizionari, essendo proprio la parole, la precisione verbale, una delle ossessioni massime di Rumsfeld.