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Recensione. THE UNKNOWN KNOWN: Donald Rumsfeld falco e mattatore

Creato il 17 gennaio 2014 da Luigilocatelli

Ripubblico la recensione scritta dopo la proiezione del film al Venezia Film Festival 2013.

The Unknown Known, un documentario di Errol Morris. Su e con Donald Rumsfeld. Presentato in Concorso al Venezia Film Festival 2013.Donald Rumsfeld

Donald Rumsfeld

Il primo documentario in concorso nella storia del festival di Venezia, ed è già una notizia. Ricostruzione (con intervista) degli anni cruciali di Donald Rumsfeld, il falco dell’era Bush (junior), colui che spinse per la guerra in Iraq e in Afghanistan e la lotta globale al terrorismo jiadista. Comunque lo si giudichi, un colosso. Soprattutto se pensiamo all’inazione e all’indecisionismo dell’attuale amministrazione americana. Erroll Morris, il regista, incalza con le domande giuste, ma impagina con qualche visualizzazioni al limite del kitsch. Voto 6 e mezzo

Il regista Errol Morris

Il regista Erroll Morris


Fa un certo effetto, nella soporifera era dell’elusivo e indeciso a tutto Barack Obama, vedersi e godersi un film con al centro un mastino superdecisionista come Donald Rumsfeld. L’uomo che passò per il superfalco e l’eminenza grigia, anzi nera, di George W.Bush, di cui è stato a lungo segretario alla difesa. Rumsfeld, considerato l’ispiratore occulto e dunque il responsabile primo dell’intervento in Iraq e in Afghanistan. Però, che gran personaggio. A vederlo lì sullo schermo, mentre proclama il suo verbo o viene incalzato dalle domande del regista-autore Errol Morris (sempre fuori campo grazie a Dio), anche un mattatore e un sublime entertainer. Capace di sfangarsela in conferenza stampa con i più risoluti giornalisti tirando fuori battute scintillanti humor e intelligenza. Lui, il signor Rumsfeld, ne ha tante da raccontare, essendo in politica da quando aveva trent’anni, essendo stato soprattutto nell’inner circle di Bush (junior) in una fase fatale per l’America e il mondo tutto, l’11 settembre, la successiva guerra al terrorismo, l’intervento in Iraq e la cacciata di Saddam Hussein, l’intervento in Afghanistan per far fuori il regime talebano protettore di Bin Laden. E Guantanamo, e la vergogna di Abu Ghraib. Lui le critiche le ha sempre prese in faccia, senza mai paraculeggiare, e di questo anche i suoi detrattori devono rendergli atto. Non rinnega niente di quella stagione, Rumsfeld. Con orgoglio ribadisce il dovere dell’America come superpotenza di mantenere l’ordine mondiale e di intervenire laddove necessario. Con il realismo, ma non il cinismo, del grande conservatore che sa come va il mondo e non si fa illusione: “Se vuoi la pace prepara la guerra” dice, citando un antico ma sempre fresco grumo di sapienza. Oggi, con Obama in ritirata dall’Afghanistan e dall’Iraq, con un Nord Africa e un Medio Oriente in preda alle convulsioni che sappiamo e vediamo, con un’America incapace di una qualsiasi politica estera e azione efficace, vien quasi da rimpiangerli, quei tempi e quegli uomini alla Rumsfeld. Quelli della stagione neocon dell’esportazione della democrazia e della guerra globale al jiadismo: con le ombre e le ambiguità che conosciamo. Rumsfeld sullo spinoso discorso delle torture (waterboarding e altro) a Guantanamo non si tira indietro, conferma di essere stato lui a stabilire regole e limiti degli interrogatori. “Quando mi chiesere se era il caso di acconsentire a misure come quella di costringere i prigionieri a stare in piedi per sei ore risposi che io di ore in piedi al giorno ne passavo dodici, e diedi l’ok”. Certo, gli indignados avranno molta materia di cui indigrarsi vedendo questo film, ma l’onore delle armi a Rumsfeld bisogna concederlo, anche perché nel 2006 ha pagato con le dimissioni il caos iracheno post-bellico. C’è da chiedersi, di fronte a questo Lo sconosciuto conosciuto (“sono le cose che credi di sapere e invece non sai”, chiosa Rumsfeld), quale sia la qualità filmica dell’operazione al di là dell’evidente caratura e interesse del personaggio documentato. Morris è efficace nel raccontare la sua storia e il suo mattatore, a incalzarlo con domande dure (su Abu Ghraib per esempio), e non ci annoia neppure per un secondo. Strafà quando spettacolarizza con immagini tipo le cascate di neve di carta (per illustrare gli snowflakes, i memo che incessantemente e quasi compulsivamente Rumsfeld inviava al suo staff). O quando chissà perché ci mostra vedute aeree di atolli e mari blu e quant’altro, con effetto kitsch da cartoline (virtuali) dalle Maldive. Meglio funziona con le gigantografie dei lemmi dei dizionari, essendo proprio la parole, la precisione verbale, una delle ossessioni massime di Rumsfeld.


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