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Recensione: Ti prendo e ti porto via, di Niccolò Ammaniti

Creato il 26 agosto 2015 da Mik_94
Questo ti volevo dire.  Ho rotto il nostro patto ma forse è stato meglio così Ora basta, non ti voglio rattristare Mia madre mi ha detto che sei bellissima e io lo sapevo.  Quando eravamo piccoli ero sicuro che saresti diventata miss Italia.  P.s. Preparati, che quando passo da Bologna ti prendo e ti porto via. Recensione: Ti prendo e ti porto via, di Niccolò AmmanitiTitolo: Ti prendo e ti porto via Autore: Niccolò Ammaniti Editore: Einaudi - Stile Libero Numero di pagine: 522 Prezzo: € 14,00 Sinossi: A Ischiano Scalo il mare c'è ma non si vede. In questa periferica maremma di paludi e zanzare, di bar e casette affacciate sul nulla di una strada provinciale si svolgono due storie d'amore. Pietro e Gloria sono due ragazzini. Lei è figlia di un direttore di banca, è sveglia, bella e sicura di sé. Lui è figlio di un pastore psicopatico, è introverso, sognatore, e la vittima preferita dei bulli del paese. Graziano Biglia è tornato a Ischiano, con la sua fama di chitarrista sciupafemmine e il cuore spezzato da una cubista. Qui conosce la professoressa Flora Palmieri, una donna sola e misteriosa che ha rinunciato alla propria vita per prendersi cura della madre. E tra i due, in apparenza lontani come i pianeti di due galassie, nasce un'attrazione. Una folla di creature strambe e grottesche si muove attorno ai protagonisti, come nella scia di un vento elettrico e vorticoso.                                          La recensione Recensione: Ti prendo e ti porto via, di Niccolò Ammaniti Così va. Ignoro qualcosa o qualcuno per tutta la vita, finché non torno sui miei passi e quel qualcosa o quel qualcuno finisce che non lo lascio più. Parlo di scrittori e romanzi, non di grandi storie d'amore. Anche se può capitare tranquillamente pure con le persone, no? Sei in fila alla mensa o nei corridoi dell'università, mettiamo caso; ti presentano uno sconosciuto, una persona mai vista prima di allora, e poi finisci che la incontri ovunque. E magari ti sta simpatica o magari sulle palle, fatto sta che ti ci imbatti, anche se non vuoi. Con certi autori, con certi libri, è un po' così e un po' il contrario. Me li presentano, piacere piacere, e io li evito. In libreria e al supermercato, cambio corsia. Poi succede che un giorno, non sai neanche tu come o perché, ti ritrovi un loro libro tra le mani. Succede che lo finisci e a sorpresa ti piace moltissimo. Allora provi quella storia della pausa di riflessione; dopo un incontro riuscito non richiami subito per vedere che fa, come va: regola base. Prendi tempo e fai passare i giorni. Dicendoti che c'è lo stile, c'è l'introspezione, che avrete un avvenire insieme, ma quegli intrecci mettono il magone. Il che è un bene oppure no. Intervalli con qualcosa di leggero, ma se hai mangiato tanto e da dio – e quella storia ansiogena e tremenda ti stava sullo stomaco, come il grasso cinghiale della pubblicità del digestivo – come puoi accontentari di un apertivo e due olivette stantie? Ho conosciuto Niccolò Ammaniti poco più di una settimana fa – c'eravate, e Io e te, anni fa, mica era un incontro vero; era un trillo in chat, una cosa così per dire sì, lo so che esisti, ma non ho capito chi sei – e, tempo tre libri, cose lievi che mi hanno fatto rimpiangere la neve sporca e le testate sui denti, sono ritornato al punto di partenza, forse con il romanzo più bello che ha scritto, da quel che mi giurano. Più mi tratti male, più io ti giro intorno. Succede con i cani randagi per strada e coi lettori masochisti che, d'un tratto, ne hanno fin sopra i capelli dei mondi di fantasia e di sentirsi dire una parola buona. Qual è l'ultima volta che avete visto la gentilezza intorno a voi, alla fine? Ti prendo e ti porto via è suburbano, indiscreto, maleducato. Ma ha sedici anni e viene venduto ancora come nuovo. Ammaniti non invecchia – dopo di lui, quanti romanzi sulla disperazione dei ragazzi di periferia e la perdita dell'innocenza -, non si smentisce, sfugge e ritorna. In questo romanzo c'è una urgenza che non è mai fretta. Un senso di incombenza inquietante che è per sempre. Tutto sta per succedere. In una pagina ridi, nell'altra ti si rizzano i capelli. Le pagine sono cinquecento in tutto, la giostra fila nella notte e, dopo l'ennesima sbandata, degli scossoni perdi il conto esatto. E no, non turba nel senso che si rivela un libro triste, e quindi resta presente – sul blog come nei pensieri - perché le cose tristi alla gente come me e voi piacciono un mondo. Ma turba nel senso che c'è il cielo sereno e poi grandina. Perturba Recensione: Ti prendo e ti porto via, di Niccolò Ammaniti Preoccupa come preoccupa Martin i suoi appassionati, per dire: nessuno è al sicuro quando un autore gioca a fare Dio; lui ha il coltello dalla parte del manico. Rieccolo, dunque, l'Ammaniti imperscrutabile come il Grande Capo; rieccolo, padre naturale di figli degeneri e sfortunati che non ti paragona a pezzi di cuore. Niccolò Ammaniti – con una laurea in biologia – ti intrattiene con similitudini animali e metafore da acquitrino. Deformazione professionale. I suoi sterminati personaggi, come rettili, insetti – creature viscide che strisciano, si arrapicano e nuotano: comunque, niente di poetico – studiati allo stato brado. In Ti prendo e ti porto via, tanti aspiranti camaleonti colti in flagranza di reato. Si mimetizzano, si appiattiscono contro i muri, ma Ammaniti possiede uno sguardo scanner. Li spoglia, ne conosce le frequenze del subconscio e le ossa nude. Ma la cosa davvero bella è che, anche dopo gli sbagli di troppo, non li rinnega. Non si abbandonano gli abitanti di Ischiano Scalo. La provincia più profonda che parla romanaccio, la mancanza di futuro, il bullismo, il miraggio del mare. Una landa con le terre desertiche del Texas, le sabbie mobili della Louisiana, gli uragani di Oz, le terrazze con vista autostrada. Una città immaginaria, per fortuna. Non esiste. Uno sfondo dei suoi – l'ho appena scoperto, ma già so dire cosa è suo e cosa no – per una muta di personaggi dickensiani con la bava alla bocca e la sete di vita. Puoi provare a spiegare cosa intendi dire quando parlando di Graziano Biglia – il chitarrista sciupafemmine, quintessenza della tamarragine, che si fa lasciare da una spogliarellista e, su due piedi, tornato a casa, decide di trovare un provvisorio rimpiazzo – è l'essere più abietto che hai incontrato in vita tua, vanaglorioso e meschino, ma gli hai voluto bene;  Recensione: Ti prendo e ti porto via, di Niccolò Ammaniti quando dici che la timida professoressa Palmieri – il rimpiazzo, la scommessa d'amore – l'hai sentita con queste orecchie sospirare; quando ti vedi tagliare la strada dal piccolo Pietro, con i prepotenti alle calcagna, e pedalare e pedalare, come la tartaruga che tenta di superare Achille piè veloce; quando fai due più due, tiri una linea tra Pietro e il protagonista di Grandi speranze, dici che sono due pippe sì, che hanno entrambi la loro inarrivabile lei - Gloria, Estella - e che dovevi aspettarti, da copione, anche una Miss Havisham. A mollo in una vasca che ha più pattume che acqua, come il fantasma nella stanza di Shining e la Berté, in cuffia, per farsi consolare con un sei bellissima. Puoi provare a spiegare, anzi potresti, dicevo, ma le contraddizioni di Ammaniti vanno testate e i suoi libri letti. Per vedere se piacciono o no – non sono per tutti – e scoprire che solo in minima parte sono composti da quelle brutte storie ben scritte sui sensi di colpa, il male che gli uomini fanno alle donne, i nuovi domani. Ti prendo e ti porto via infatti è tutto quello che è stato detto in tanti anni e molto di più. Fa un male sottile che però è anche bene. Perciò nella sua grotta degli orrori – confinante con la giostra dei cavalli e la ruota panoramica per gli innamorati e, all'orizzonte, eccole, le luci delle centrali elettriche – prendi posto. Porte sbattute in faccia, ma tu che ribussi. 
Perché in fondo finisce con una promessa romantica, nonostante il brutto, e una promessa è una promessa. Ammaniti le mantiene e quella specie di lieto fine in un post scriptum emoziona anche la gente come noi. 
Via con questo romanzo perciò, e non si torna indietro. Il mio voto: ★★★★★ Il mio consiglio musicale: Mannarino – Malamor 

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