RECENSIONE Innanzi tutto partiamo dal titolo: evviva! Come nel caso del mio adorato Blade Runner, è rimasto in invariato dalla lingua originale. Nessuno, fortunatamente, si è preso la briga di tradurlo in “Cavalieri del tempo”, titolo che sarebbe stato degno solo – senza offesa – di un cartone animato. Poiché, invece, si tratta di un libro sia adatto ad un pubblico giovane, ma apprezzabile anche da noi stra-maggiorenni e vaccinati, questo è già un piccolo punto a suo favore. Altro punto a favore, anche se non saprei se adottato involontariamente, lo fornisce la scelta del nome del “salvatore” dei tre ragazzi, colui che li ha reclutati: Foster. In inglese la parola si può tradurre in “affidatario” e comunque spesso indica il sostituto di un genitore (l’adottante o genitore adottivo) ed è proprio questo, in un certo senso, il ruolo che il simpatico ed enigmatico uomo anziano svolgerà nei confronti di questi tre ragazzi, che hanno delle caratteristiche particolari adatte a svolgere il compito di protettori del tempo.
Liam (appena sedicenne e mascotte del trio) ha capacità di gestione ed organizzazione, nonostante pensate, viaggiasse sul Titanic, nel 1912. Provate ad immaginarvi le sue reazioni quando, uscendo periodicamente dal “covo” dell’organizzazione, una sorta di magazzino a New York, si ritrova nel 2001 (il tempo è un fattore relativo, i personaggi viaggiano nel passato e nel futuro; quindi anche se è il protagonista della storia, non fate caso alle date, per ora). Assaggia il cibo di McDonald’s, vede le Torri Gemelle e via discorrendo. Lui che sembra un “piccolo gentiluomo d’altri tempi” come lo vedono le due ragazze. Maddy e Sal sono esperte di tecnologia e di informatica. Ad aggiungersi al pittoresco ed anacronistico trio, un Frankenstein creato in vitro, che loro battezzeranno Bob.
Come dunque nel famoso film La leggenda degli uomini straordinari, passato e futuro si mischiano in questa storia, e un compito viene affidato ad un eterogeneo (ed improvvisato) gruppo di eroi. Anche se Foster, i tre ragazzi, ed il gigante Bob non hanno le caratteristiche meta-testuali del film: non sono Dorian Gray, il capitano Nemo e il Dottor Jeckyll. Non hanno superpoteri, tranne Bob che si programma da solo di volta in volta per assimilare parole e compiti da svolgere. Ho citato un film famoso perché, senza scadere nel plagio e nel formato “minestrone fantascientifico”, in questo libro si ravvede l’ombra di Verne, lo spettro del Reich come nella saga di Indiana Jones, il teletrasporto di spockiana memoria, anche se, per esempio, Foster e lontano anni luce – metafora spaziale – dallo scienziato stralunato di Ritorno al futuro. C’è il cattivo di turno, il quale recupera una sorta di macchina del tempo che sembra un box doccia, smembrata e stipata nel magazzino di un museo (non è la cabina telefonica del dottor Who ma la forma è quella da manuale). C’è anche la nota commemorativa dell’11 settembre: i ragazzi riescono a vedere le torri intatte due o tre giorni prima dell’impatto. E c’è la tenerezza nei confronti di Foster che sta invecchiando e si preoccupa dei ragazzi, soprattutto di Liam, il più sprovveduto in quanto non avvezzo al ventunesimo secolo.
Lo stile di Scarrow è in perfetto equilibrio tra la narrativa classica e la fantascienza: non ci racconta di astronavi e di superuomini, riesce invece a trasportarci empaticamente a spasso nel tempo. E’ “il primo di una straordinaria serie”, si legge sulla quarta di copertina: diamo il benvenuto ad una nuova saga. L’AUTORE Ex chitarrista rock, poi artista grafico e successivamente progettista di giochi per il computer, prima di diventare scrittore. Vive a Norwich con la moglie ed il figlio