Magazine Cultura
Autore: Amos Oz
Editore: Feltrinelli
Collana: Narratori
Pagine: 131
Prezzo: Amazon, LaFeltrinelli, inMondadori versione brossura/tascabile a €6,80, mentre in versione digitale a €9,99
In questo libro, di non molte pagine, Amos Oz riesce a ricreare quell'atmosfera da Kibbutz che molti di noi poco conoscono ma che attraverso la sua scrittura avremo l'occasione di assaporare. Un vero tuffo nel passato, forse il suo, ricordi di un'infanzia che proprio il bravissimo Oz ha passato all'interno di un Kibbutz.Si impara molto di questo piccola galassia. Le relazioni tra i suoi abitanti sembrano essere le cose più difficili da digerire e capire per noi occidentali. Figli cresciuti da tutti, sì, perchè i ragazzi sono del Kibbutz e non dei genitori, famiglie che vivono in alloggi più che in case, una "comune" dove tutti contribuiscono al benessere della comunità, un fattore chiave per la convivenza in questi luoghi.Io, dopo aver letto le parole di Amos Oz, mi sono creato la mia idea. Immagine di un luogo che ho avuto la fortuna di visitare e di conoscere un pochino, attraverso i racconti dei miei amici in Israele. Il kibbutz mi risulta come un microcosmo perfetto fondato sugli errori di una società imperfetta, in quanto fatta di uomini.In questo romanzo, Oz, ha disegnato il Kibbutz utilizzando le persone che lo abitano, rendendolo vivo. Una serie di storie, legate tra loro attraverso i protagonisti, uomini e donne, con un passato e un presente che deve essere raccontato. Una normalità che riesce a sorprendere per la forza dei sentimenti che sprigionano le parole così ben sistemate in fila l'una dopo l'altra.Amos Oz, già dalle prime righe mi ha aperto i cancelli di quel Kibbutz. Descrizioni che non si perdono in lunghe liste di colori, forme e spazi, ma un concentrato di situazioni lontane, per cultura e per tempo, dal nostro universo. Ogni persona descritta nel romanzo sembra che esca dalla memoria dello scrittore piuttosto che dalla sua penna.Quel che si nota immediatamente è come la vita in Kibbutz era caratterizzata da una certa devozione verso quel luogo, che niente avrebbe dovuto contaminare.C'è un passaggio significativo a riguardo dove David Dagan, carismatico personaggio molto attivo nella vita del Kibbutz, dopo aver dato il permesso ad un abitante per recarsi a far visita ai parenti dice: "...questi viaggi dai tuoi parenti ti allontanano da qui. In fondo ormai sei quasi uno di noi...".Moshe, il ragazzo in questione, è la figura che più mi ha interessato. Pensoso, educato, rispettoso delle regole, anche quando non gli sembra che favoriscano la libertà dell'individuo ma che, al contrario, lo costringano in una gabbia per difenderlo da un nemico inesistente.Prima di recarsi a trovare i parenti, incontra Zvi Provizor, il giardiniere con il quale Amos Oz apre questa serie di racconti.Zvi vedendo che il giovane stava andando da qualche parte, domanda dove si stesse dirigendo e alla risposta "...in città..." Zvi replica: "Perchè? Che c'è lì che non c'è qui?". Senza rispondere Moshe dentro di se pensa "Estranei...".Penso che il punto di vista dell'autore passi attraverso il personaggio di Moshe. Un inviato speciale nei ricordi di un'infanzia che l'autore cerca di riportare in superficie. Ancora una volta, lo scrittore israeliano di enorme talento ci regala un racconto che ci permette di conoscere un'altro pezzo di Israele, poche pagine ma di un'intensità incredibile.
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