Ci sono autori per cui perdo letteralmente la testa, e dei quali non posso fare a meno di leggere ogni singola riga pubblicata: sto pensando a Gianni Biondillo, Ugo Barbàra, Covacich, e soprattutto a Tullio Avoledo.
Abbagliato da “L’elenco telefonico di Atlantide” – romanzo che considero fra i cinque migliori della narrativa italiana dell’ultimo trentennio – non ho potuto fare a meno di inseguirne ogni produzione negli anni successivi: ricordo bene la faticaccia per riuscire a recuperare i suoi primi romanzi (la casa editrice Sironi non era distribuita in modo molto capillare…) e l’attesa per l’uscita de “La ragazza del Vajont” (siano benedette le librerie che chiudono alle 23 e che consentono di non passare un’altra notte a struggersi per non essere riusciti ad acquistare un romanzo che si aspetta da un po’).
Nelle quasi settecento pagine di “Un buon posto per morire”, Avoledo dimostra di essere perfettamente in grado di integrarsi con un altro autore: il romanzo esce a doppia firma con Davide Boosta Di Leo, tastierista e fondatore dei Subsonica e personaggio davvero poliedrico. Soprattutto, godiamo di una sensazione che era già stata avvertita nei romanzi precedenti e che qui si conferma: vi sono ancora voci italiane in grado di cambiare registro e non fossilizzarsi su un singolo stile narrativo.
Avoledo e Di Leo tracciano un plot che, partendo dall’inesorabile avvicinarsi di Sole Nero, gigantesco asteroide che minaccia di estinguere ogni traccia di vita sulla Terra, conduce verso un thriller “fanta-tutto”: va in onda la fantascienza, senza alcun dubbio, e vi si accosta la fantastoria, in una gradevole via di mezzo fra una ucronia e scenari non troppo ipotetici. In questo contesto, la trama assume rapidamente i toni del thriller: sarà un duplice omicidio a unire le vite dei due protagonisti ed a trascinarli in una storia di leggende millenarie, invenzioni futuristiche, agenzie para-governative e messaggi tracciati nell’antichità. Il tutto in un continuo susseguirsi di colpi di scena e di intrecci narrativi, apparentemente irrisolvibili, che troveranno una loro definizione coerente nel corso delle ultime, serratissime, sanguinose cento pagine.
Gli amanti di Avoledo rimpiangeranno forse quella sottile vena malinconica che attanaglia spesso il personaggio forte della vicenda e lo rende infinitamente attraente perchè simile al lettore: una mancanza compensata da una galleria di protagonisti assolutamente godibili e da una narrazione che fa rimpiangere le ore necessariamente dedicate al sonno.
Un romanzo sul tempo che non fa percepire lo scorrere del tempo: difficile immaginare combinazione più felice.