Una nuova amica (Une nouvelle amie), un film di François Ozon. Con Romain Duris, Anaïs Demoustier, Raphaël Personnaz, Aurore Clément, Isild Le Besco. Liberamente ispirato a un racconto di Ruth Rendell. Distribuzione Officine Ubu. Al cinema da giovedì 19 marzo.
Il meno convincente dei film di François Ozon. Un giovane vedovo ha una passione segreta. La scopre per caso l’amica della moglie, ma non sarà scandalo, anzi sarà complicità tra i due. Ozon racconta le strane traiettorie del desiderio e la labilità delle identità sessuali, peccato che lo faccia con la freddezza di una lezione teorica e quando ormai il dicorso pubblico sulla gender-culture è saturo e inflazionato. È che queste cose le ha già fatte meglio, e al momento giusto, Pedro Almodóvar. Voto 5
Che delusione, signori miei. Io che amo François Ozon e lo reputo tra i meglio registi europei della sua generazione, che ho visto tutti i suoi film (tranne Angel, l’unico che mi manca per completare la collezione) e tutti li ho trovati belli, bellissimi o perlomeno interessanti, non sono proprio riuscito a farmi piacere questo suo ultimo Una nuova amica. Più che un film, un algido teorema – che non si fa mai narrazione vera e convincente – sull’autonomia del desiderio e dei ruoli sessuali da ogni substrato biologico, una messa in cinema delle gender-culture ormai dilagante per cui l’identità sessuale è disancorata dal corpo fondandosi e legittimandosi solo sull’autopercezione di sé. Non sono (sessualmente) quello che il mio corpo mi detta, ma quello che io sento di essere (io, io, io!: è la definitiva vittoria dell’ego, come profetizzava Christopher Lasch). Non sto a discutere sulla fondatezza o meno di questa visione e teoria, ci mancherebbe (ci sono delle questioni in cui è saggio non entrare), riconosco come qualche decennio fa abbia contribuito a destrutturare certe autoritarie architetture culturali e patriarcali allargando l’area dei diritti e della necesaria disobbedienza, dico solo che oggi si è capovolta in retorica e perfino in dogma. Adesso che anche la pubblicità, vedi quella di una birra, o la serialità televisiva e web, vedi Transparent prodotto da Amazon, tratta di padri tansgender, mi chiedo quale carica davvero critica possa più avere un film come Una nuova amica. Dove (se avete l’infantile paura degli spoiler, è meglio che smettiate di leggere qui) assistiamo a un giovane padre (nome: David) di una bimba poco più che neonata, rimasto precocemente vedovo, che ha la passione di travestirsi. Lo scopre per caso Claire, la migliore amica delle defunta, ed è comprensibile choc. Tenete conto che ci troviamo in una zona residenziale suburbana in una qualche parte imprecisata della Francia, in uno spazio-tempo che è l’oggi, il qui-e-ora, ma talmente astratto e immutabile e fissato in cliché da media borghesia bon ton da poter essere gli anni Cinquanta o Sessanta. Lo faccio per il bene della piccola Lucie, si giustifica lui, perché non le manchi la figura materna, perché voglio esserle padre e madre. Giustamente Claire non la beve, convicendosi che David lo faccia per il piacer suo e cerchi solo un facile alibi. I due diventano presto complici e amici (è uno dei passaggi meno spiegati e convincenti del film), Claire aiuta David a truccarsi e vestirsi da femmina seducente ed elegante, lo/la ribattezza Virginia, lo/la accompagna a fare shopping. Solo loro due sanno, nessun altro sa né deve sapere (a David/Virginia potrebbe venire tolta la figlia). Ma l’amicizia segreta avrà sviluppi imprevedibili. Tra David, che ama sì mettersi in abiti femminili ma non ha mai desiderato gli uomini (“sono un travestito, non un omosessuale”) e Claire comincia un qualcosa che somiglia all’attrazione. Succederanno molte cose, e un finale solo in apparenza imprevedibile, che suona come un inno a quelle che si chiamano nuove famiglie. Ora, il problema è che, sotto il racconto, si intravede troppo il teorema di cui sopra, sicché ogni svolta, ogni passaggio drammaturgico è indirizzato verso la dimostrazione dell’inevitabile tesi, come succedeva in certi vetusti film realsocialisti-rivoluzionari rigidamente militanti. Ozon nel comminarci la sua lezione non si ferma davanti a niente, rischiando il paradosso e l’inattendibilità. Per dire, la scena d’amore tra David travestito da Virginia, e Claire. Di suo, niente di particolarmente nuovo. Xavier Dolan nel meraviglioso Laurence Anyways ci raccontava qualche anno fa l’indistruttibile amore di una donna per il marito, anche quando costui decideva di cambiare sesso. E Pedro Almodóvar, fin dai tempi di Labirinto di passioni, per non parlare del suo iperclassico Tutto sua mia madre, ci ha abitutati a transgender e travestiti variamente amanti e amati e accoppiati, anche con signore e signorine. Il problema, al solito, non è il cosa, ma il come. Semplicemente, Dolan e Almodóvar, mossi da autentica necessità interiore, riuscivano a convincerci, Ozon, nella sua glacialità e programmaticità, nella sua artificiosità, non ci riesce mai. Il regista sbanda vistosamente anche nel tono, nel registro del suo film. Che all’inizio, la parte più faticosa, si situa tra il mélo alla Sirk, il giallo hitchockiano e, ahinoi, Il vizietto, con quella scena tremenda di David che cerca di nascondere, come in una cattiva pochade, le tracce di trucco ai suoceri arrivati inaspettatamente in visita. Circola un’aria da commedia o dramma borghese assai datato, e non si tratta, temo, di una voluta citazione, di un anacronismo per scelta (di forma e di sostanza). Ti viene da rimpiangere l’autentica selvaggeria del primo Almodóvar, che queste cose le faceva quando era il momento giusto, quand’erano davvero necessarie, e ai suoi pazzi e magari improbabili amori ci credeva, riuscendo a convincere anche noi. I suoi film, soprattuto quelli più lontani, erano un inno all’imperscrutabilità dell’eros e al libertinaggio, all’anarchico divagare del desiderio, cose che Una nuova amica, arrivato in irreparabile ritardo, vorrebbe ma non ce la fa ad essere. Romain Duris, uno dei miei attori preferiti, qui smagrito in un modo che impressiona, trova il primo personaggio en travesti della sua carriera (sì, in 17 fois Cécile Cassard di Christophe Honoré rifaceva la Anouk Aimée di Lola di Jacques Demy, ma non è la stessa cosa) e ci mette dentro l’anima, in una performance notevole che risente però delle fragilità del film. Un trans visivamente perentorio, anche se si fa fatica a crederlo donna con quel metro e novanta, quel mento e i segni resistenti di barba che neppure il make-up riesce a mimetizzare. Anaïs Demoustier, già vista nel bellissimo e mai arrivato in Italia Bird People di Pascale Ferran, si ritrova alle prese con il personaggio di Claire, il meno risolto e convincente nelle sue evidentissime contraddizioni, e se la cava come può navigando a vista. Raphaël Personnaz, che è Gilles, il marito di Claire (anche lui attratto da David, non si capisce bene se nella sua versione maschile o femminile), è un morphing tra due bellissimi degli anni Sessanta, Sacha Distel e Jean Sorel, e con la sua faccia dà un contributo decisivo all’atmosfera retrodatata di Una nuova amica - atmosfera, peraltro, incongrua con il finale così assolutramente contemporaneo. Come suocera di David si rivede la bellissima anni Settanta Aurore Clément. Compare, in un cameo alla Hitchcock, lo stesso François Ozon: è il signore che nel buio di un cinema allunga le mani su David/Virginia.