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Recensione: Una pedina sulla scacchiera di Irène Némirovsky

Creato il 22 aprile 2013 da Girasonia76

Recensione: Una pedina sulla scacchiera di Irène Némirovsky


Recensione: Una pedina sulla scacchiera di Irène Némirovsky
Recensione: Una pedina sulla scacchiera di Irène Némirovsky Trama: «I padri hanno mangiato l'uva acerba e i denti dei figli si sono allegati» è scritto nella Bibbia. All'èra dei pirati della finanza e dell'industria, degli imperi economici costruiti sui campi di battaglia è succeduto lo scenario desolante degli anni Trenta: la borsa in caduta libera, la crisi, la disoccupazione – e «tutti quegli scandali ignobili, quei processi, quei tracolli privi di grandezza»... Come molti della sua generazione, Chris­tophe Bohun non ha né ambizioni, né speranze, né desideri, né nostalgie. È un modesto impiegato nell'azienda che suo padre – il Bohun dell'acciaio, il Bohun del petrolio, l'uomo del quale si diceva: «Dove passa lui crescono solo rovina e guerra» – è stato costretto, dopo un clamoroso fallimento, ad abbandonare nelle mani del socio. Si lascia svogliatamente amare da una moglie di irritante perfezione e da una cugina da sempre innamorata di lui. «È la pedina» annota la Némirovsky sulla minuta del romanzo «che viene manovrata sulla scacchiera, che per due o tremila franchi al mese sacrifica il suo tempo, la sua salute, la sua anima, la sua vita». Alla morte del padre, però, Christo­phe trova in un cassetto, bene in evidenza, una busta sigillata: dentro, un elenco di parlamentari, giornalisti, banchieri a cui, nel tentativo di evitare il crac, il vecchio Bohun aveva elargito somme ingenti affinché spingessero il governo ad accelerare i preparativi bellici. Riuscirà questo bruciante retaggio, questa potenziale arma di ricatto, e di riscatto, a scuotere Christophe dal suo «cupo torpore»? Difficile trovare un romanzo così puntualmente applicabile a temi e fatti di ottant'anni dopo.
Recensione Di fronte alla Némirovsky non riesco a far altro che inchinarmi.  Prima ancora di aprire un suo libro, prima ancora di conoscerne la trama.  Nei suoi confronti mi sento minuscola ma al contempo immensamente riconoscente. Confesso di aver letto solo due dei suoi romanzi (ma di possederli tutti), perciò queste mie parole potrebbero sembrare chiacchiere a vuoto, e confesso di non essere stata d'accordo con la sua visione della vita e dell'uomo che ho trovato in Due, ma non è bastato un disaccordo di idee per far calare la mia ammirazione verso di lei.  Il suo stile è superbo, la sua indagine nella natura umana non è da meno e le storie che ci fa leggere colpiscono sempre forte, come se fossero schiaffi diretti ad aprirci gli occhi per farci guardare ciò che ci rifiutiamo di ammettere.  Così Una pedina sulla scacchiera.  Un romanzo breve, centosettanta pagine che però noi lettori non ci troveremo a finire nel giro di qualche ora. La Némirovsky non permette di essere letta ad alta velocità: richiede del tempo, delle pause, delle riflessioni. L'autrice ci chiede di soffermarci sulle sue storie e sui suoi personaggi. Ci chiede di provare delle emozioni cui preferiremmo rinunciare: indifferenza, noia, vuoto. Ci ritroviamo a dover vivere tutto ciò che non desideriamo. Uomini e donne senza sogni né ideali, senza speranze né affetto, che tirano a campare per abitudine.  Così il protagonista di questo romanzo, la pedina del titolo: un uomo che si limita a sopravvivere: a un lavoro ottenuto nell'azienda del padre, a un matrimonio senza sentimenti, a un rapporto extra-coniugale senza trasporto, a un figlio che non gli ha mai ispirato l'amore paterno, a un anziano padre nell'attesa che muoia e gli lasci il suo patrimonio. Intorno a Christophe, protagonista passivo del romanzo e della sua stessa vita, un paese in crisi. Siamo negli anni '30, il mondo è stato colpito dalla Grande Crisi, col crollo della borsa e le disastrose conseguenze nell'economia e nella politica. Non c'è prospettiva di futuro se tutto quel che si può ottenere dal presente è disoccupazione e povertà. Christophe potrebbe considerarsi fortunato, per il suo lavoro, ma in queste pagine non c'è spazio per considerazioni positive. Il nostro protagonista non ha voglia di far nulla, non vuole mettersi in gioco, non ha nessun desiderio di costruire un futuro migliore per sé e per la sua famiglia: ambizioni e desideri sono spenti. Tutto ciò che resta è l'attesa della morte. O forse la possibilità di andarle incontro. Solo un gigante della letteratura può cimentarsi in un tema del genere, difficile e duro, e uscirne vincente. Le visioni pessimistiche della vita, del mondo e della realtà sono quelle che preferisco evitare nei libri, perché in disaccordo o semplicemente perché poi mi lasciano insoddisfatta, amareggiata. Eppure questo romanzo l'ho trovato impeccabile, nei contenuti e nella forma. L'ho trovato duro, triste, ma l'ho sentito vero. Sarà per l'attualità della situazione politico-economica italiana, sarà per la capacità dell'autrice di descrivere l'animo umano, sono riemersa dalla lettura più consapevole e più... sì, più matura. La Némirovsky ti apre gli occhi e ti costringe a crescere, anche se hai la mia non più giovanissima età.
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