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Ubukata Keiko, trentacinquenne scrittrice di successo nota con lo pseudonimo di Koumi Narumi, scompare lasciando un’unica traccia dietro di sé: un manoscritto intitolato Una storia crudele. È la scioccante confessione del rapimento subito da bambina. A dieci anni, infatti, Keiko fu rapita nel quartiere a luci rosse in cui s’era maldestramente avventurata, e restò nelle mani di Kenji, il rapitore, per un anno intero stabilendo con lui un rapporto agghiacciante, ambivalente, la cui natura le è rimasta sempre oscura. Quando fu ritrovata, non rivelò niente di ciò che era accaduto, né alla polizia né agli psichiatri che avrebbero voluto aiutarla. Soltanto Miyasaka, un misterioso detective con un braccio solo, non si stancò d’indagare, forse innamorato della verità o forse di Keiko, oppure curioso di venire a capo di una vicenda dai dettagli morbosi. Opera in cui ne va della sottile linea che separa i fantasmi della scrittura da quelli della realtà, Una storia crudele è uno dei maggiori successi di Natsuo Kirino, «l’unica vera voce innovativa della letteratura giapponese degli ultimi venti anni» (Daisuke Hashimoto). L'autore: Natsuo Kirino è nata nel 1951 a Kanazawa, un’antica città del Giappone centrale. Autrice di Le quattro casalinghe di Tokyo (Neri Pozza 2003) Grotesque (Neri Pozza 2008) Real World (Neri Pozza 2009) L’isola dei naufraghi (Giano 2010) Una storia crudele (Giano 2011) è tra le migliori scrittrici giapponesi contemporanee. La recensione di Miriam:
Una famosa scrittrice scomparsa, il suo ultimo manoscritto pronto per essere spedito all’editore, la lettera ricevuta di recente dall’uomo che l’ha rapita quando era solo una bambina e che adesso è tornato a piede libero. Sono questi gli ingredienti della storia crudele narrata in questo libro, crudele e insolita aggiungerei. A rendere unico questo romanzo, infatti, non è tanto il tema trattato, quanto il modo e gli aspetti su cui Natzuo Kirino decide di soffermarsi. Superato l’incipit in cui il marito di Ubukata Keiko prende atto della scomparsa della moglie e trova il plico destinato all’editore, entriamo nel vivo del manoscritto che si rivela essere un resoconto dettagliato e senza veli del sequestro subito dall’autrice all’età di dieci anni. A distanza di tantissimo tempo, la donna rompe il silenzio ostinato, in cui si è rifugiata anche durante il processo, e riversa sulla carta l’inferno dei ricordi che si è trascinata dentro. La sua è una vera e propria confessione che colma le lacune con cui hanno fatto i conti anche gli inquirenti svelando, una volta per tutte, cosa è successo durante l’anno della sua prigionia, senza trascurare i particolari scabrosi che non sono mai venuti alla luce. Fin qui, la storia crudele con cui siamo chiamati a confrontarci è l’agghiacciante cronaca di un rapimento. Senza mezze misure, veniamo letteralmente catapultati nella stanzetta buia e maleodorante in cui la piccola Keiko è stata segregata per un anno intero. La descrizione di tutto ciò che avviene è così vivida, e connotata da uno stile quasi cinematografico, che si ha davvero la sensazione di essere lì al suo fianco. Sembra di udire il terrificante miagolio con cui Kenji – questo il nome del sequestratore – annuncia il suo ritorno ogni sera e i rumori assordanti dell’acciaieria sottostante che riempiono le ore di solitudine; si ha l’impressione di sentire il dolore provocato dalle percosse, l’umiliazione, la paura… finanche il sollievo che contrassegna la pausa notturna, quella in cui il mostro diurno sembra trasformarsi in una creatura fragile, regredita allo stato infantile. Mentre l’incubo prende forma in questo processo di rievocazione, si fa strada tuttavia un dubbio che, dall’inizio alla fine, rimarrà a serpeggiare fra le righe: quanto di ciò che scritto corrisponde a una fedele ricostruzione dei fatti realmente accaduti e quanto è stato romanzato dalla scrittrice di successo? La Keiko che mette nero su bianco la sua storia crudele, è semplicemente l’ex bambina che si racconta senza filtri o è l’autrice che ha imparato a plasmare la realtà ricorrendo alla magia della narrazione? Il semplice racconto di un sequestro si trasforma in qualcosa di molto più complesso e più crudele quando i riflettori si puntano sulle contorte dinamiche psicologiche che investono la vittima e il suo carnefice, sul controverso sentimento di amore/odio che inevitabilmente li lega, visto il tempo prolungato della loro convivenza. Ma questo non è che l’inizio del vero incubo. La parte più difficile per Keiko arriva proprio con la riconquista della libertà. Come si torna alla normalità dopo un anno trascorso all’interno di una stanzetta buia, senza avere alcun contatto umano se con uno sconosciuto dal comportamento schizofrenico? Come si riannodano i fili di un’esistenza dirottata bruscamente su binari disumani? È proprio su questi aspetti, sulla crudeltà e le difficoltà del dopo che l’autore si sofferma, scegliendo appunto di narrare l’altra faccia di un rapimento, quella che solitamente rimane in ombra e che si associa al lieto fine, mentre non è che il principio di un nuovo brutto sogno, dal quale è impossibile svegliarsi. Una storia crudele ha tutte le sfumature di un thriller angosciante e mozzafiato e, nello stesso tempo è un romanzo introspettivo che sorprende per la sua profondità, non mancando di porre l’accento sul potere salvifico della scrittura . Un vero e proprio tuffo nel pozzo più nero della psiche umana da cui si riemerge disorientati, ma nondimeno appagati .
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