C'è qualcosa, in me, che forse c'era anche all'inizio dei tempi e ci sarà alla fine. E' una luce che splende dentro di me. Forse è una luce che splende dentro ognuno di noi, ma non tutti sono in grado di vederla.
Titolo: Utopia – Multiversum Autore: Leonardo Patrignani Editore: Mondadori “Chrysalide” Numero di pagine: 390 Prezzo: € 17,00 Data di pubblicazione: 25 Febbraio 2014 Sinossi: Quella in cui Alex, Jenny e Marco vivono da diciotto anni è una realtà confortevole, una nuova vita lontana dal drammatico ricordo del 2014, sepolto nelle loro anime. Ma il rifugio sicuro in cui sono cresciuti è solo una delle infinite facce del dado, una delle molteplici realtà del Multiverso. Altrove, i loro corpi sono invecchiati e il mondo si trova sotto la nefasta guida di qualcuno che teme il loro potere. Hanno attraversato le dimensioni parallele, hanno varcato i confini del tempo scavando nel passato. Il senso del loro viaggio sta per svelarsi. La loro memoria è l'ultima speranza rimasta. La recensione Sono seduto a una scrivania che un tempo è appartenuta a qualcun altro, ma davanti al portatile che è sempre stato mio. Ero al computer anche allora, ero seduto anche allora: in questa recensione parlerò di ciò che è rimasto uguale e di ciò che è cambiato. E' giusto così. Era il 2012 e non era ancora primavera. Il mio blog aveva un mese di vita appena e lettori che, quasi, si potevano contare sulle dita della mano. Ero sbucato dal nulla, insieme al nuovo anno, con un angolino virtuale in cui non credevo, fino in fondo, neppure io. Avevo fatto amicizia, quindi, con tutti i nuovi arrivati, un po' come si fa all'università. L'ambiente sembra inizialmente ostile, estraneo, ma poi ti guardi intorno e riconosci nelle parole di un altro, nello sguardo di un altro, le tue stesse paure, le tue stesse incertezze, i tuoi stessi complessi d'inferiorità. Dubbi, dubbi ovunque: quelli che ci accomunano e non ci rendono mai soli per davvero, quelli che ci fanno stringere belle alleanze, quando abbiamo bisogno, be', di dubitare tutti insieme - con compagni d'avventura salpati per un viaggio talora salvifico, talora incerto. Con compagni di dubbi. Tra questi aspiranti avventurieri, tra questi naufraghi persi con la testa tra i libri e i pensieri nella rete, autori esordienti, qualche volta. Autori pubblicati, autori in attesa di pubblicazione, autori spaventati dalla parola autore: poca spavalderia, grande fragilità. E' stato allora che ho conosciuto Leonardo Patrignani e ho scoperto il Multiverso: mia la fortuna di pubblicare la prima intervista, mio il tempismo perfetto di pubblicare per primo – e per ben due anni di seguito – le recensioni dei suoi romanzi. Capirete che, sentimentalmente, sono molto legato a questa trilogia. Ci ho tenuto e ci tengo ancora. Non posso parlarne senza pensare a quel Michele che, in una dimensione parallela, ha ancora diciassette anni o a quel Leonardo che, prima che il dado mostrasse una nuova faccia, non confidava troppo nella meritata fortuna che, di lì a poco, avrebbe avuto. Non posso scriverne senza pensare all'oggi. Io ho finito il liceo (anche se sembrava infinito), ho già due esami nel mio curriculum universitario (anche se non ci speravo), sono andato leggermente lontano da casa (anche se pensavo di non avere abbastanza coraggio). Leonardo Patrignani, nel frattempo, si è sposato, è diventato due volte papà, ha completato la sua trilogia e ha venduto i diritti di Multiversum in non so quanti paesi: parecchi, quello è certo. Sono certo anche di un'altra cosa: avete imbrogliato, ammettetelo. Lo so, perché lo faccio sempre anch'io: un'occhiata alle stelline assegnate alla fine, poi un'occhiata al resto. L'ultima cosa che un recensore appunta, ma la prima a cui l'occhio corre: è naturale, è una cosa da lettori. Proprio come non prendere mai il primo romanzo della pila, in libreria; proprio come controllare, prima di iniziare a leggerlo, la lunghezza dei capitoli, la grandezza del font, il numero complessivo di pagine. Tre stelle: voto sicuro; voto che amo e non amo. Ce ne sono di due tipi, per l'esattezza: le tre stelle di quei libri che sono così, carini e basta, e quelle che trasmettono una certa amarezza, indicando il mancato raggiungimento – alla fine – di un obiettivo che davamo come certo, assodato. La valutazione di Utopia, nel bene e nel male, lo rende parte della seconda categoria di romanzi. Nel bene, perché non è uno di quei romanzi piccini, che definisci carini in mancanza di altre parole. Nel male, perché mentre Multiversum e Memoria hanno saputo entusiasmarmi, quest'ultimo l'ha fatto di meno. Forse la verità è questa: quando una storia ti piace, quando una storia la aspetti, nella tua testa la immagini come puoi e vuoi, in attesa di scorgerla sullo scaffale di una libreria o nella buca della posta. La scrittura di Patrignani è cinematografica. Crea immagini, e le immagini parlano. C'è ritmo, concitazione, e i capitoli sono sequenze e sottosequenze. Il passato e i ricordi sono come vivide visioni. Mi è mancato, perciò, qualche sano momento di stasi narrativa. Una pausa per pensare. Una bolla – nel tempo – in cui rifugiarsi per raccontarsi un po'. Stilisticamente c'è stato un assestamento: ho letto più convinzione, più fiducia; passaggi che univano l'acerba freschezza del primo romanzo ai toni più ispirati e poetici del secondo. I ritmi sono vertiginosi, da action movie: una sosta nell'intimità dei protagonisti non è quasi mai concessa. Gli intrecci di voci rompono le dighe, il liquido della vita straripa e annienta gli argini, lo tsunami non puoi contenerlo in un bicchiere di vetro. Ripensi a com'era all'inizio e a com'è ora. Tutto è cambiato, tutto è cresciuto, invecchiato; tutto si è complicato. Questo, nello specifico, valeva principalemente per il bel Memoria: cervellotico, machiavellico, ispirato da scienza e immaginazione a momenti alterni. La storia appartiene talmente tanto a Leonardo che in essa converge tutto ciò che gli piace, tutto ciò che conosce, tutti ciò che lo affascina. E' diventata altro da quel che era, perciò. Muore e rinasce. Vive mille storie, mille imprese, mille vite. Mancano tutti i modi in cui ama o ha amato, secondo me: l'amore di un padre, di un figlio, di un compagno di vita o di un migliore amico li ho percepiti assai debolmente. Eppure Multiversum aveva proposto, inizialmente, una storia d'amore tra l'talia e l'Australia. Si basava su un appuntamento e su una ragazza che non c'era. Non per il ritardo di treni, tram, taxi: la vita era arrivata tardi, la morte presto. Troppo. Jenny era al di là dello specchio. Viva, ma in un altro altrove, in un altro mondo. Lei e Alex erano i protagonisti, erano giovanissimi, si volevano bene come si vuole bene chi pensa di avere tutto il tempo del mondo. Tra Milano, Melbourne e Barcellona, il romanzo di Patrignani era un'autentica novità... già un passo nel futuro. Era il 2012, eppure parlava del 2014: sopravvissuti all'apocalisse Maya, i lettori erano stati spettatori di una nuova catastrofe scoppiata nel cielo, sul Duomo, la Sagrada Familia, Altona Beach. Jenny ed Alex erano diventati i novelli Adamo ed Eva di un nuovo, distopico Eden, ma anche personaggi secondari. Marco, invece, si era scoperto, da semplice comparsa, protagonista assoluto. E in una dimensione parallela potremmo esserlo anche noi; passare da nerd a re del ballo, o – meglio – da nerd ad aspiranti salvatori del mondo. Salvati dal mare, salvati da Marco, Alex, Jenny e mucchi di cose preziose. Cose antiche. Il mare ha custodito persone, oggetti, manufatti. Non la musica. A Gea è toccato in sorte un futuro senza musica e un avvenire senza speranza, in cui il Benessere è una gabbia, la scienza è un'arma, i media un'arma di distrazione di massa. Utopia parte da lontanissimo. Tutti hanno fili grigi tra i capelli, rughe sul volto, piaghe nell'anima. Vessati dai segni del tempo, loro che l'hanno esplorato, esaminato, temuto. Loro che l'hanno perfino venduto. Camminano lungo un labirinto di infinite direzioni, che fa tappa per le distopie “minimal” di Lois Lowry, i faticosi viaggi e le omeriche peregrinazioni di una parabola sacra, lo spionaggio. Contenitori di storie, esperienze e ricordi da strappare via come organi vitali, i personaggi esplorano anni che non puoi contare e che non potrai vivere, nemmeno se l'immortalità ti avesse benedetto. All'inizio li conti sulle dita. Un anno, due anni, tre anni... poi nemmeno due mani bastano più. Le linea del tempo, come un tatuaggio nella memoria, continua a snodarsi nella tua testa. Quella raccontata nella trilogia è una storia lunghissima, sterminata, apparentemente senza controllo. Una storia che, quando si scopre più concreta, quando abbandona “l'iperuranio” per la terra e l'astratto per il concreto, si fa anche più imperfetta. L'ho trovata composta da due parti nette, questa volta. La prima è permeata da una lieve confusione che avvince, intriga, ipnotizza. Ha, infatti, quel qualcosa di misterioso che ti spinge a farti tante domande, a chiederne ancora e ancora. L'ho preferita di gran lunga, anche se, pure io che con la fantascienza non ho molta familiarità, qualche forzatura di troppo e qualche falla l'ho individuata. Nella seconda parte, invece, le nebbie iniziano a diradarsi, il quadro ad apparire chiaro. E' stato allora, quando la verità era lì, a un passo da me, che ho capito cosa voleva dire Lessing. L'attesa è piacere. Quel velo sottile e invalicabile è affascinante. Quel fumo magico, soffiato generosamente negli occhi, ti brucia e ti seduce. Oltre il fumo, non ho trovato quello che aspettavo. Ci avevo pensato per un anno esatto, e scoprire che la soluzione era molto più ovvia, semplice, immanente di quanto pensassi è stato un grande e sonoro “ma”, dopo due libri che avevo consigliato e lodato senza riserva. Mi aspettavo il meglio. Qualcosa che fosse il meglio per il sottoscritto, almeno, che scrive dall'alto – o dal basso - del suo personale punto di vista. Una conclusione da fuochi d'artificio in cui, lontano da dimensioni deformate, reiterate, dispersive come in una sala degli specchi, tutto il molteplice avrebbe trovato l'unità sperata. Come in Cloud Atlas, ad esempio. Tante vite, tanti episodi, destinati a incrociarsi in un finale emozionante, forte, indimenticabile. Il capitolo conclusivo debole non lo è stato, effettivamente, ma non ho apprezzato molto il modo in cui ci sono giunto. Alcune dimensioni non ne sfiorano altre, alcune vicende si accontentano di rimanere a sé stanti. Ci sono piani e livelli che non si toccano. Né delicatamente, con una carezza contro lo spazio e il tempo, né con l'improvvisa irruenza di un terremoto che li porta alla definitiva collisione.
di Roberto Oleotto
Ho capito poco del Multiversum, meno ancora dei suoi personaggi. Tratti essenziali, una linfa vitale poco potente. Dovrebbero essere tra le persone più interessanti del cosmo, dopo tutto ciò che hanno vissuto sulla loro pelle, ma invece sono statici. Hanno un cervello che lavora come una macchina perfetta, ma il loro cuore è sordomuto. Non mi sono legato a loro e, anche nelle situazioni più toccanti, non li ho sentiti vicini. Distanti tra loro, lontani da me. Utopia, nell'ultima parte, diventa un film d'azione e loro diventano i personaggi di un film d'azione, debitamente messi in ombra quando a essere richiesti sono la forza fisica, il coraggio, la tenacia. Intervengono, allora, nuovi comprimari, dei quali ho trovato poco astuta, personalmente, la scelta dei nomi e, in alcuni casi, il loro stesso inserimento. Sono intagliati con poca cura, fungono talvolta da evidenti espedienti narrativi, fanno sì – involontariamente - che l'attenzione sui vecchi Jenny e Alex vada scemando ulteriormente. I più deludenti, forse, sono gli antagonisti. Mi hanno ricordato i villains di 007 – stesse smanie, stessi moventi, stessi momenti. Tutti neri, tutti cattivi, tutti senza sfumature, in una dimensione distopica che nemmeno l'essere ormai adulto di Patrignani riesce a colorare con riferimenti all'attualità o con tonalità non contemplate già negli altri libri di un genere – il distopico – che ormai, per me, è a digiuno di novità. Anche Marco, insieme al suo nome originario, ha perso una certa dose di carisma e genuinità, ma ad avere la peggio è la coppia già citata. Dopo tre libri, dovresti sapere come sono fatti, perché si amano, quanto si amano, cosa pensano l'uno dell'altra, con quali gesti dimostrano il loro sentirsi anime gemelle. A dirci che tra di loro c'è una storia d'amore è la diretta voce dell'autore, ma di quel mancato appuntamento sul molo – due libri fa – resta solo il romantico ricordo.Che il romanticismo non fosse tra gli obiettivi di Patrignani l'ho capito dall'inizio, ma una storia tra essere umani e una storia pubblicata dalla collana Chrysalide – che, oltretutto, ha un target spiccatamente adolescenziale – dovrebbe avere una giusta componente sentimentale. Se non altro, per far scattare il brivido davanti a quell'ultima paginache segna la fine di un percorso bello, ma non esente da alcune (im)previste instabilità. Mi piace pensare di aver fatto un po' da baby sitter – passatemi la metafora – a questa serie e Utopia è sinceramente il più debole tra i figli d'inchiostro dell'autore. Quello che avrebbe avuto, forse, bisogno di più tempo, cura, attenzioni. Io non amo gli addii. Non amo quasi mai come mi dicono addio, e non l'ho fatto nemmeno questa volta. Perchè ogni ritorno a casa vuol dire sempre lasciarsi persone care alle spalle e perché – a volte – manca quella carica emotiva che renda l'addio dei più indimenticabili e sentiti. Quella di Patrignani era una storia potenzialmente infinita, grazie a una teoria che – tra scienza, superstizione e fede – affascinava e scavalcava muri di limiti e mari di allettanti supposizioni. Ma doveva avere una fine, sì, e, francamente, ho percepito una certa fretta. Come se il treno volesse raggiungere la sua meta nel minor tempo possibile. Senza curarsi della gente rimasta indietro, col biglietto già obliterato in mano, o dei ritardatari che, invano, tentavano di richiamare l'attenzione del capotreno, dall'esterno, e di fermare ciò che era ormai in movimento continuo. Leonardo ha regalato tante vite ai suoi personaggi, non il tempo. La storia è guidata dai fatti, non dalle persone che la popolano. E' solo il Multiverso ad avere vita propria. Una saga composta da tre libri, questa, in cui è possibile individuare, per ampi tratti, una bellissima crescita di fondo. Nonostante tutto, messi puntigliosamente in evidenza i problemi ora grandi e ora piccoli dell'ultima tappa, non posso fare a meno di consigliarne la lettura. Sia per quello che ha significato per me, sia per l'audacia e l'assoluta originalità delle tematiche trattate. Era materiale completamente nuovo, ma anche potenzialmente esplosivo. L'ultima tappa del viaggio non mi ha pienamente soddisfatto, ma non significa che non ne sia valsa pienamente la pena. Un libro è fatto di scelte e, questa volta, si ci affida maggiormente alla memoria del cervello che a quella del cuore. La più duratura, tra le due solo, solo il tempo saprà decretarla. L'errore comune a tante saghe è uno solo: sapere come hanno inizio, non sapere come finiscono. Leonardo Patrignani, invece, è lucido, metodico; segue il flusso e lo doma. Avrei preferito, tuttavia, se qualche volta si fosse perso anche lui. L'avrei apprezzato anche di più se, davanti a un tentennamento, si fosse affidato alle sue creature e pensato: “Vediamo che mi dicono; vediamo dove mi portano. Ascoltiamo e basta.” Perso lungo un crocevia di tempi, ere, esistenze, in un infinito viaggiare che più si scopre spericolato, più si rivela improvvisato, più si manifesta meraviglioso. Il mio voto: ★★★ Il mio consiglio musicale: Within Temptation – Utopia