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Recensione: Wolf, di Lavie Tidhar

Creato il 25 gennaio 2016 da Mik_94
Ci sono tanti tipi di verità, quasi tutti scomodi.
Recensione: Wolf, di Lavie Tidhar Titolo: Wolf Autore: Lavie Tidhar Editore: Frassinelli Numero di pagine: 300 Prezzo: € 20,00 Sinossi: Herr Wolf è un investigatore privato, tedesco. Viene assoldato per ritrovare una ragazza scomparsa. La ragazza è ebrea. Wolf accetta il caso perché ha un disperato bisogno di soldi, ma Wolf odia gli ebrei. È colpa degli ebrei, infatti, se nel 1933 ha dovuto lasciare la Germania; è colpa degli ebrei se i comunisti hanno preso il potere a Berlino e da qui in quasi tutta l’Europa; è colpa degli ebrei se il partito nazista, che avrebbe portato ordine e disciplina, è stato sconfitto e distrutto; è colpa degli ebrei se Wolf e molti dei suoi vecchi camerati sono finiti così, dispersi e braccati. L’indagine porterà Wolf a ripercorrere il suo passato e precipitare nelle sue nevrosi, e condurrà invece il lettore in un gioco di continui spiazzamenti. Niente è come sembra, in questo romanzo, che è a un tempo una grande prova di narrativa ucronica, un noir, un libro perversamente erotico, e un avvincente spaccato della psicologia «nera» e malata del Novecento.                                               La recensione Recensione: Wolf, di Lavie Tidhar Da qualche parte in lontananza una radio suonava Over The Rainbow. Wolf aveva visto il film. Ma se fosse stato lui a essere trasportato nella magica terra di Oz, avrebbe riunito un esercito di scimmie volanti, rinchiuso le streghe in un campo di concentramento, raso al suo la città di smeraldo e giustiziato il mago, con l'accusa di essere un simpatizzante comunista, un ebreo, un omosessuale, un ritardato mentale o tutte queste cose insieme. Tuttavia la canzone gli piaceva. In una Londra labirinto e in anni che hanno appena smesso di ruggire, tanto grande era la stanchezza, un omino anonimo, infagottato in un trench in stile Sherlock Holmes, si specchia nelle vetrine delle librerie prima di imboccare la porta del suo ufficio. Un quartiere in periferia, landa sudicia di malaffare e trasgressione, per un reietto come lui: ospite in terra straniera. Ama la lettura – si perde nei romanzi, nei volti dei suoi clienti in cerca di giustizia – e la compagnia dei cani. E, con tutto il suo essere, odia gli ebrei. La vetrina ci restituisce quindi il riflesso di un uomo di mezza età, austriaco, con i capelli scuri, gli occhi glaciali e il viso rasato di fresco. A lungo, ha portato i baffi. Dopo la Caduta, invece, non li sopporta più: la peluria leggera sul labbro ha fatto la stessa fine delle svastiche, dell'idea di un nuovo memoir, di un progetto futuro di gloria e caos. Auf Wiedersehen. Adesso, l'asilo politico in Inghilterra – è scappato, infatti, dalle catene di un campo di lavoro – e l'eco di un verso struggente, pieno di malinconia. L'ululato di un lupo in trappola, nascosto in un una città di pecore. Herr Wolf fa un cenno alle prostitute assiepate in un vicolo, sue vicine di casa, e si mette all'opera. Lavora in proprio, come detective privato. Nelle confessioni al suo caro diario leggiamo così delle difficoltà di un secondo libro che non riesce a terminare – senza tenere conto, poi, degli editori britannici che rifiutano ostinatamente il seguito del Mein Kampf – e di un caso che gli dà filo da torcere. Il pensiero della figlia scomparsa di un facoltoso banchiere ebreo gli toglie il sonno e le belle gambe di Isabella Rubinstein, sorella della vittima, lo tengono desto ed eccitato. Ha voglia un po' dell'amore incondizionato della fedele Eva Braun e un po' delle cinghiate di papà. Fuori, si incrociano ombre che vengono e ombre che vanno; ed è tutto un gioco di sguardi indagatori e piani enigmatici. Londra, nel novembre del 1939, è deformata e pericolosa. Il buio è affollato, pieno zeppo di occhi e sussurri: parlano, in coro, di un dittatore che non c'è mai stato. Ci sono gli uomini in doppiopetto dei servizi segreti americani e un assassino di donne che traccia sui cadaveri un simbolo il cui senso sfugge. Qual è il significato di una svastica per cicatrice? Cos'è stato dell'uomo che ammaliava i tedeschi, folle ma lucido a modo suo, che la fantasia indomita di Lavie Tidhar fa tramontare prima delle leggi razziali e del Patto d'Acciao? Wolf, sfrontato pamphlet e sopraffine noir, è un mirabolante esempio di narrativa ucronica, in cui un autore istraeliano che i grandi paragonano già a Dick e Vonnegut riscrive, con accuratezza, sangue freddo e un punta necessaria di pazzia, le pagine più cupe e tristi della storia del primo Novecento. Le librerie, in occasione della Giornata della Memoria, ci ricordano in questo periodo i bambini con i pigiama a righe, gli inganni delle docce, i comignoli che sputano ceneri umane. I toni a cui siamo abituati, di solito, sono dei più elegiaci e leziosi, e sapeste quanto mi danno fastidio i libri a tema, la speculazione senza sosta e senza cuore, i progetti costruiti a tavolino. Recensione: Wolf, di Lavie Tidhar Quando ero più piccolo, ho letto Il diario di Anna Frank e Primo Levi, per una recita scolastica. Lo stesso Tidhar, in un'opera immaginifica ma piena di storie reali, mi ha suggerito tra le righe di rimediare La casa delle bambole: l'orrore privato di un harem di donne ebree, schiave sessuali delle SS. La shoah, quest'anno, ho voluto rievocarla con un giovane autore che ha qualcosa da dire, e sa alla perfezione quali parole sia meglio usare: come puoi non vedere, se è appena giunto il momento di ricordare, l'originalità e il coraggioso affronto di un esperimento come Wolf? Lavie Tidhar, i cui nonni furono vittime dei campi di concentramento e della caccia di una belva selvaggia, ci parla di un altro Fuhrer, in un'altra realtà. In un mondo parallelo, dove le cose sono andate diversamente, Adolf Hitler era un giovane di belle speranze e dal discreto talento artistico, con un astio naturale verso il diverso e l'idea abbozzata di una razza perfetta – e fin qui, purtroppo, tutto vero. Ma nella storia secondo Tidhar, dopo una cecità passeggera e un impressionante ascesa politica, il suo astro si sarebbe eclissato in fretta: non gli resta che impacchettare le sue cose – il mito della stirpe ariana, la pulizia etnica, gusti sessuali morbosi – e trasferirsi lontano, in Inghilterra. L'uomo più spregevole che abbia calpestato questa Terra ha fallito. Sulla Germania brilla una stella rossa, il Comunismo; al 10 di Downing Street ci sono le camicie nere. 
Recensione: Wolf, di Lavie Tidhar Dietro l'angolo, comunque una guerra mondiale. La seconda, sebbene sia diversissima da quella che conosciamo. Ironia del caso: proprio il doppelganger del famigerato Hitler potrebbe evitare che il conflitto scoppi e faccia innumerevoli danni. Contemporaneamente, “in un altro tempo e luogo”, il prigioniero Shomer sanguina e scrive ad Auschwitz; scava tombe, costruisce maniglie, sogna la Palestina. Sperimenta, tema fondamentale in Wolf, l'infinito viaggiare e i monti impossibili della scrittura. Difficile parlarne con vaghezza. Da una parte, è un noir di rara raffinatezza: le vendette che van servite fredde, le ombre lunghe, i detective che non resistono alle belle donne, il fumo di mille sigarette. Dall'altra, è un fumettone profondamente pulp: rocambolesco, barbaro, futurista. Vietato ai minori. Per lettori con il pallino del politicamente scorretto e con il pelo sullo stomaco. In treno non ho trattenuto i sorrisi – amo l'umorismo, quando è sconveniente – e, qui e lì, le smorfie di puro dolore. E' delirante ma mirato, violento ma poetico. Cita Fritz Lang, il suo Metropolis, e il Tarantino retrò sulle tracce dei nazisti. Un romanzo di fluidi corporei, questo, e sangue copioso, e pulsioni basse, e metaletteratura. Il doppio di Hitler, segugio mondano e popolare, brinda alla salute – e alle disgrazie – dei suoi avversari politici in salotti signorili, in cui si possono incrociare Tolkien, Fleming, estimatori di Fitzgerald e vecchie glorie del muto. Tutt'intorno, sfilano le donne della sua vita e, negli spazi bianchi di un romanzo di spionaggio sui generis, scene di una vita sessuale su cui tanto e spesso si è detto: gatti a nove code, la pratica estrema del pissing, il dolore che porta all'orgasmo. E lui si sbraccia e ringhia, protagonista teatrale, isterico e solidissimo, come nella sequenza clou di La caduta – video che impazza su Facebook, nelle versioni più disparate, e che la Frassinelli ha usato a mo' di innovativo booktrailer. L'iracondo Herr Wolf alza la voce, spruzza fiotti di saliva e fa piazza pulita delle carte che ha sulla scrivania: la sua malvagità è inespressa, solo teorica, e la frustrazione gli gonfia le vene del collo. Nella sua lingua aspra e colorita ti ordina di leggere il primo romanzo pulp sugli orrori dell'Olocausto. Ti riporta le chiacchiere – la madre del Fuhrer avrebbe accarezzato l'idea dell'aborto e, ancora, un passante avrebbe casualmente salvato il piccolo Adolf dall'annegamento – e ti suggerisce di mettere da parte gli “e se?”. In Wolf, tra fatalismo ed eterni ritorni nietzschiani, meditiamo, e realizziamo che la politica si scrive con sangue e inchiostro e che, anche se per vie diverse, quello che deve succedere alla fine succede. Serve l'input, un politicante qualsiasi. Cambiando un singolo tassello, riscriveresti forse da zero la cronaca di un secolo breve? Il mio voto: ★★★★½
Il mio consiglio musicale: Falco – Der Kommissar

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