Recensioni a basso costo: The Giver - Il donatore, di Lois Lowry
Creato il 25 agosto 2014 da Mik_94
Buon
lunedì, amici. Oggi, la recensione di un romanzo che, velocemente,
ho letto nel weekend. In wishlist da un po', ho voluto recuperarlo
prima che – a settembre – arrivi al cinema il film, che sarà
intitolato The Giver – Il mondo di Jonas. Prima di
lamentarvi, sappiate che quello era il titolo
originario dell'edizione italiana, al tempo degli Oscar Mondadori! Io so tutto, ebbene sì! Il
libro, come tanti prima di me avranno detto, merita, ma il film, che
ha sette di media e commenti positivi, mi lascia ben sperare. E'
tutto diverso – i protagonisti sono più adulti, si respira un'aria
di fantascienza qui assente, ci sono gli effetti speciali e gli
intrighi da thriller – ma il cinema ha un altro linguaggio, e
riportare scolasticamente quello della Lowry, così semplice e fiabesco,
non avrebbe funzionato molto. Pare, tra l'altro, che sia in uscita anche una ristampa del romanzo, con la solita cover del film (qui), anche se le informazioni sono scarse, al momento.
Tu
hai i colori. E il coraggio.
Io ti aiuterò dandoti la forza.
Titolo:
The Giver – Il donatore
Autrice:
Lois Lowry
Editore:
Giunti Y
Numero
di pagine: 256
Prezzo:
€ 9,90
Sinossi:
Jonas
ha dodici anni e vive in un mondo perfetto. Nella sua Comunità non
esistono più guerre, differenze sociali o sofferenze. Tutto quello
che può causare dolore o disturbo è stato abolito, compresi gli
impulsi sessuali, le stagioni e i colori. Le regole da rispettare
sono ferree ma tutti i membri della Comunità si adeguano al modello
di controllo governativo che non lascia spazio a scelte o profondità
emotive, ma neppure a incertezze o rischi. Ogni unità familiare è
formata da un uomo e una donna a cui vengono assegnati un figlio
maschio e una femmina. Ogni membro della Comunità svolge la
professione che gli viene affidata dal Consiglio degli Anziani nella
Cerimonia annuale di dicembre. E per Jonas quel momento sta
arrivando...
La recensione
Nel
mondo di Jonas non c'è nulla che non vada; niente che sia lasciato
al caso. Non esistono disparità sociali, razze differenti, guerre,
divorzi: regna l'Uniformità. Non si hanno motivi per cui lottare o
ribellarsi. Puri, anestetizzati, sognanti, si vive in un futuristico
Eden che l'antico peccato di Adamo ed Eva non ci ha strappato del
tutto dalle mani. Le famiglie hanno due figli a testa: un maschio e
una femmina, a cui altri assegnano il nome. Non esistono gemelli, non
esistono individui con lo stesso nome di battesimo. Si è unici. I
neonati, partoriti da donne ai margini e assegnati secondo piani
precisissimi, sono concepiti senza fare l'amore. I bambini, divisi
per età, aspettano per tutto il tempo il sopraggiungere dei dodici
anni: allora, piccoli ma già adulti, conosceranno lo scopo della
loro esistenza. Anno per anno, una festosa celebrazione pubblica
regala piccole soddisfazioni, e li ringrazia per la loro preziosa
infanzia. Man mano che crescono, permette loro di tagliare i capelli,
di indossare una divisa coi bottoni sul davanti, di inforcare una
bicicletta e giocare, di avere un fratellino o una sorellina con cui
crescere. Jonas è il ragazzino perfetto nella famiglia perfetta: non
ha segreti. Deve raccontare a tavola le sue emozioni, le sue paure, i
suoi sogni... perfino quando, una notte, emozionato, sogna di fare il
bagno tutto nudo con l'amica di sempre, Fiona. Il desiderio lì ha un altro nome: Impulso. Ma niente paura:
gli ormoni, i turbamenti, il calore nel petto si curano ingoiando
un'innocua pillola giornaliera. Gli effetti collaterali – non detti
– sono che ammazza l'amore: e che cos'è l'amore, tanto? Jonas
impara quella e altre parole - “neve”, “sole”, “collina”,
“gioia”; ma anche “guerra”, “abbandono”, “morte” -
nel suo duro apprendistato presso il Donatore: un uomo vecchio e
saggio, che gli regala millenni di ricordi passati. Per non
dimenticare e non commettere gli stessi, crudeli errori. Il suo
destino, da grande, sarà essere un contenitore di memorie: una
biblioteca vivente, con libri fragili e impalpabili che nessuno può
consultare. Ci sono cose che nessuno, a parte lui, dovrà sapere. Egoista, potrà serbare per lui la sensazione del gelo sulla punta
del naso o sui polpastrelli sensibili. In silenzio, solo, potrà
essere tormentato da rivelazioni che, com'è successo a una fanciulla
di cui nessuno pronuncia più il nome, potrebbero spezzargli il cuore
o, peggio, farlo morire dentro. The Giver è
un romanzo stampato e ristampato, sotto altri nomi e altre vesti
grafiche. Probabilmente, tanti ricollegheranno il titolo a un film di
prossima uscita, con un cast in cui spiccano mostri sacri di
Hollywood (la mia amata Meryl Streep; Jeff Bridges) e volti giovani e
nuovi. Io, pur consapevole degli scandali e dei tagli, delle
manomissioni della censura e delle controversie più disparate, mi ci
sono avvicinato tardi, complice, al solito, l'uscita della
trasposizione cinematografica che, per ragioni pienamente condivisibili, presenterà non poche differenze. Necessario, infatti, rinnovare un romanzo che invecchia indubbiamente bene, ma che porta i segni dell'età.
Mi avrebbe dato fastidio guardare il
film senza sapere cosa c'era prima; il resto: l'approccio delicato e
lieve di Lois Lowry, il colore degli occhi del Jonas che da vent'anni
vive tra le pagine, le fattezze di un mondo distopico, forse,
direttamente successivo a quello di Orwell e Bradbury. The
Givery c'era prima,
semplicemente. Prima che le mode spingessero esordienti di ogni dove
a cimentarsi con il genere, e quando alcuni argomenti, esplosivi, non
potevano essere trattati. Non in un libro per bambini. Non potrei
definirlo diversamente, pur volendo: il primo volume di questa
fortunata tetralogia, spacciato per young adult alla moda, per
quello che non è, è pensato come un libro per l'infanzia. Una
lettura che è un rito d'iniziazione, un'agrodolce perdita
dell'innocenza. Una narrazione dai tempi stringati, vicina alla
dimensione del racconto per via dei suoi capitoli brevi e delle
strutture sintattiche quasi elementari, che – tirandoti per il
bavero della giacca – ti porta in basso, alla sua altezza.
Per
duecento pagine, ti ritrovi alto (o basso) come quando avevi dodici
anni: alcune cose non le vedevi, certo, ma ne vedevi altre. Il
romanzo, tra colpi di scena e brividi, è una riflessione dal sapore
etico, incorniciata per bene in una prospettiva originale e vagamente
spiazzante. L'unico problema del romanzo, ai nostri giorni, è
trovarsi in presenza di un pubblico smaliziato, ormai assuefatto.
Niente sembra nuovo, anche se il romanzo è attuale, bello, aperto a tante diverse interpretazioni e tutte giuste; il finale, frettoloso, è una pecca, anche se la sua totale incertezza lascia in pace con se stessi...
L'importanza delle dissonanze,
il terrore della perfezione, perfino l'eco del nazismo. Il mio
consiglio, quindi, è quello di leggerlo guardando alla linea del
tempo; con il senso della prospettiva storica: uscito nel 1993,
quando io non ero ancora nato, ha rappresentato il punto di partenza
per saghe valide come quella di Matched,
Divergent, Delirium.
La Lowry, oggi anziana, è un'autrice che ha fatto scuola. Nel modo
più velato possibile in cui si possa essere onesti con un bimbo
ormai sulla soglia dell'adolescenza, in uno scenario da leggenda che
inquieta, lei parla – tra le righe e non – di infanticidio,
razzismo, fanatismo, eutanasia. Dove dovresti inziare a vedere il
marcio, però, il mondo si riempie inaspettatamente di colore. E che
cos'è il colore, chiederebbe un membro qualsiasi della Comunità?
Quello che, da bianco e nero, fa diventare quel mondo cupo in
Technicolor. Solo allora, alla luce spietata della conoscenza, vedi i
pregi e i difetti; prima, a causa di quel basilare contrasto, tutto
si limitava ad essere pura ombra. La verità rende liberi e, spesso,
è necessario scappare via, per esserlo; quando nessuno ti è amico, i neonati difettosi hanno bisogno di una seconda opportunità,
una casa non è una casa.
Il
mio voto: ★★★½
Il
mio consiglio musicale: OneRepublic – Ordinary Human ("The Giver" Soundtrack)
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