La recensione di oggi è dedicata al racconto lungo di Victoria Echo dal titolo “Disordine” edito da La Mela Avvelenata per la collana Deadly Apple
Michael Shan è un uomo che sprofonda sempre più a fondo nell’oblio della memoria, verso un distacco da se stesso, un vero e proprio uomo a pezzi. E in Disordine di Victoria Echo tale metafora prende forma con una effettiva lacerazione corporea dello sfortunato eroe del breve racconto. Una perdita del proprio corpo e della propria identità. Una visione nichilistica e fatalistica a cui il suo difetto tragico lo ha crudelmente predestinato: una smemoratezza estrema.
Perché il racconto della Echo è soprattutto una riflessione sulla memoria. Non solo nel senso più convenzionale del termine, ma nel significato più esteso di memoria dell’Uomo. Michael verrà presto dimenticato, come dimenticato era stato il suo unico frammento corporeo, quel dito smarrito e mai ritrovato.
«A che pro morire d’amore se esso ci fa soffrire come bestie?» si interroga lo sfortunato dall’animo poetico. È il supplizio che condannerà lo smemorato ad un macabro declino, verso il progressivo sgretolamento e autodistruttivo annullamento del suo fisico e della sua persona.
Michael è uno smemorato che vive distaccato dalla realtà che lo circonda. Un alienato in una società violenta e sfruttatrice. Il suo animo puro ha la sola forza di conservare quelle nozioni astratte e conoscenze antipragmatiche. Immerso, quasi da autistico, in una realtà occlusa da “pile di fogli che trattano di letteratura”.
Nonostante un’analisi introspettiva del protagonista risulti ardua, se non impossibile, proprio per l’imperscrutabilità che caratterizza la narrazione, una forte empatia per lo sfortunato destino a cui è condannato lo smemorato poeta risulta inevitabile. Infondo egli incarna la condizione esistenzialista dell’uomo contemporaneo. Una sorta di scrivano Barleby di melevilliana memoria, di uomo dall’insondabile identità. Allo stesso modo, le comiche e singolari situazioni con le quali Michael si scontra, si smorzano in un tragico finale dall’effetto edulcorante.
Lo stile semplice e quasi fiabesco da “Mamma Oca” ne rendono la lettura veloce e piacevole.
Un racconto comparabile a quella letteratura americana trascendentalista e di grande efficacia ricreativa.
Un modo divertente e costruttivo per passare il tempo durante un breve viaggio in treno.
Da leggere.
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