Quando ero ragazzina, c’erano solo due supporti musicali: nastro magnetico e vinile. Per procurarsi o conoscere nuova musica, oltre al mainstream radiofonico, esistevano mezzi che oggi risuonano obsoleti e laboriosi: oscure riviste, per la maggior parte in bianco e nero, passaparola, un amico arrivato dall’America o dall’Inghilterra, piccoli negozi nascosti in vicoli negletti o viaggi in autobus, che si trasformavano in missione avventurosa, fino al negozio di import-export, all’altro capo della città. Attorno ai dischi ruotava una cultura che andava al di là delle note, e si nutriva di copertine d’arte, vinili colorati e in edizione limitata, formati diversi da collezionare, la proposta del momento a tutto volume, file di album da scartabellare come gigantesche figurine, il personale disponibile, che ti diventava amico e ti teneva gli LP da parte. L’acquisto di un disco assumeva i connotati emotivi di un cerimoniale, con il cellophane da aprire, il vinile lucido e nero da sfilare con cura e deporre sul piatto del giradischi, le note di copertina e, per prodotti più indie-underground, i graffiti da decifrare in controluce alla fine delle tracce. Ogni volta che la puntina agganciava i solchi per la prima volta, si restava in adorazione e ci si perdeva in un mini evento. Poi arrivò la musica del futuro, nel formato CD. Mi ricordo ancora dimostrazioni televisive surreali, che annunciavano come sul compact disc ci si potesse scrivere a pennarello, versarci la cocacola alle feste, mangiarci sopra e quello avrebbe continuato imperterrito a suonare, senza crepitii, senza lati A o B, fino al doppio dei brani di un disco tradizionale (scoprimmo, poi, che non era scevro da difetti e fallimenti). Adesso che siamo nell’era degli mp3, tutto questo fa un po’ sorridere. Un’intera discografia può risiedere comodamente nei circuiti di un computer; non si vede, non si tocca e, disponendo di una connessione internet ed una carta di credito, si acquista con un facile clic, rimanendosene in pigiama, sul divano di casa. Un cambiamento, che ha, ovviamente, non solo modificato le modalità di fruizione musicale, ma determinato la scomparsa e la chiusura di molti negozi di dischi. Per questo, da cinque anni, al terzo sabato del mese di aprile, in tutto il mondo si celebra Record Store Day, una giornata dedicata alla salvaguardia dei supporti fonografici e del rapporto fisico con il formato musicale. Per l’occasione vengono stampati vinili da collezione e artisti, dj e musicisti, si fanno trovare nei negozi per firmare autografi, mixare musica e suonare pezzi dal vivo. Tra i numerosi esercizi che hanno preso parte all’iniziativa, i 5000 metri quadrati di Rough Trade East, nel cuore di Brick Lane, sono stati presi d’assalto da fan del vinile, musicofili e gente comune, attratta dalla possibilità di passare un pomeriggio diverso, con l’occasione di ascoltare concerti a costo zero. La line up prevedeva infatti le performances di Johnny Flynn, Little Boots e Keane. Tra i vinili rimessi in circolazione, l’intera discografia dei Cure, mille edizioni dei singoli dei Clash e dei Sex Pistols, un cofanetto con i 45 giri dei Beatles e duemila stampe della raccolta di B-sides del gruppo di Noel Gallagher, High Flying Birds.
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