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Reddito minimo, di cittadinanza…o di partecipazione?

Creato il 10 giugno 2015 da Propostalavoro @propostalavoro

Reddito minimo, di cittadinanza...o di partecipazione?In Europa il reddito minimo è un diritto presente nella maggior parte degli Stati Membri. Anche la Germania, di recente, ha adottato questa misura. L'Italia no.

Nel nostro paese, la proposta di un salario minimo legale è però stata presa in considerazione dalla legge delega del Jobs Act (la legge 183 del 2014) come misura per garantire un «compenso orario minimo» ai lavoratori sbuordinati ed ai collaboratori (co.co.co. e co.co.pro) che non sono coperti dal contratto collettivo. Il "popolo delle partite IVA" resterebbe così escluso.

Altra cosa è invece il reddito di cittadinanza, vale a dire un sostegno universale ai cittadini di uno Stato, indipendentemente dalla posizione lavorativa e da ogni altra caratteristica. Dubbi su chi ne beneficia: cittadini residenti all'estero? Cittadini di altri paesi sul territorio? Tutti tutti? Anche chi non vuole lavorare, dunque, potrebbe beneficiare di questo introito pagato dallo Stato?

Sir Anthony Atkinson, che vedete nella foto, è un economista progressista che ha studiato a fondo le questioni di disuguaglianza acuite dall'economia moderna ed esplose con la crisi economica. Intervenuto all'ultimo Festival dell'Economia a Trento, la sua proposta è quella di istituire un reddito di partecipazione, pagato individualmente (e non alla "famiglia") che sia «legato al contributo nella società».

Un provvedimento di questo tipo avrebbe alcuni pregi: anzitutto verrebbe riconosciuto sia ai cittadini che ai residenti, e non creerebbe l'effetto disincentivante dei sostegni dati alla famiglia, l'effetto, cioè, di scoraggiare uno dei due coniugi dal cercare o accettare un lavoro. Sarebbe poi una misura aperta a stagisti, lavoratori atipici, autonomi, volontari, persone che si occupano della cura della casa, degli anziani, dei bambini e a chi cerca attivamente un lavoro. Chi non si attiva viene escluso.

Ma come individuare queste persone? E come distinguere, una volta per tutte, chi non vuole da chi non può lavorare? Come evitare che una misura pensata per redistribuire la ricchezza e riconoscere il valore (anche economico) di chi lavora senza un rapporto di lavoro vero e proprio? Per ora, nel Regno Unito, Tony Atkinson è sostenuto dal Green Party, mentre non trova seguito tra i sindacati.

Pare che la strada in questa direzione sia ancora lunga, lunga abbastanza da meritare un'esplorazione approfondita e costante.

Certamente è molto suggestiva l'idea che un reddito universale sia riconosciuto non tanto condizionalmente (cioè, lo stato paga solo se…) ma reciprocamente: nella misura in cui si contribuisce alla società, al benessere delle pesone, o magari anche dell'ambiente, della cultura e della vita umana, parte di questo benessere viene monetizzato e dato come sostegno al reddito.

Una suggestione che Proposta Lavoro terrà monitorata in attesa di ulteriori sviluppi.

Simone Caroli


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