di Steven Knight
con Jason Statham
Usa, Gran Bretagna 2013
Genere, thriller, noir
Durata, 100'
Una delle caratteristiche del cinema di genere è
quella di riuscire a spiegarsi da solo, facendo leva sull'evidenza dei
fatti e sull'esemplarità dei personaggi. Da questo punto di vista
"Redemption" arrivato senza clamore sugli schermi italiani rischia di
confondersi con certi prodotti di routine fatti su misura per un
pubblico che ama divertirsi senza porsi troppe domande. Il suo biglietto
da visita sono infatti la faccia ed il corpo di Jason Statham, attore
che ha trasformato le premesse di una carriera all'insegna
dell'intrattenimento e dell'intelligenza ("Lock & Stock-Pazzi
scatenati", 1988 ) in una serie di prestazioni muscolari e monolitiche
per action movie di secondo piano. A rafforzare la sensazione
di un cinema usa e getta la presenza di un personaggio, Joey ex militare
delle forze speciali, abituato a ragionare in termini di reattività
fisica e prontezza operativa. Qualità che ad un certo punto la trama
mette a disposizione di una triade cinese potente e spietata, di cui
attraverso un escalation di violenza e sensi di colpa l'uomo
diventa una sorta di braccio armato. In realtà pur non perdendo di vista
le dinamiche di una spettacolarità che consente al pubblico di
parteggiare per una parte a discapito dell'altra, sottovalutando in
taluni casi azioni anche improbe da parte del proprio beniamino (le
estorsioni a cui Joey da man forte non si fermano davanti a nulla e
nessuno) "Redemption" si costruisce le sue differenze, e quindi la
distanza dai modelli più retrivi del genere, facendo passare la
redenzione del titolo attraverso l'amicizia particolare che si
stabilisce tra il laconico protagonista e Cristina, la suora che sfama i
barboni di un quartiere londinese. Una scelta che consente al regista
di spostare il baricentro della storia da una scontata esibizione di
potenza (in questo caso la parte meno interessante del film)
all'introspezione di due anime ferite che finiscono per riconoscersi nel
comune destino di outsiders dell'esistenza. A dargli vita dietro la
macchina da presa è nientemeno che Steven Knight, un nome conosciuto tra
gli appassionati per aver firmato le sceneggiature di lungometraggi
come "Piccoli affari sporchi" (2002) di Stephen Frears e soprattutto de
"La promessa dell'assassino" (2007) di David Cronenberg, e poi in veste
di regista per essere stato l'autore sorpresa dell'ultimo festival di
Venezia con "Locke" opera seconda interpretata da Tom Hardy.
Ed
è proprio alle rimembranze del secondo dei film appena menzionati che
Knight si affida per assicurarsi il risultato: dal mancato melting pot
della capitale inglese diventata territorio di conquista dei nuovi
arrivati (la mafia dell'est è sostituita da quella orientale)
all'incontro tra "la bella e la bestia" trasposto in una coppia
improbabile eppure possibile (Joey e Cristina sono la fotocopia di
Nikolai ed Anna del film di Cronenberg), dall'attenzione per l'ambiente
metropolitano visto come habitat virulento che contaggia gli uomini alla
questione morale che sta al centro di entrambi i film, e che secondo
Knight coincide con la visione di un mondo dove il bene non è mai
assoluto ma anzi si confonde spesso con il male. Anche in "Redemption"
infatti i gesti di solidarietà sono spesso viziati da azioni illecite ed
ambigue come quelle che consentono a Joey di trovare i soldi per
sovvenzionare la carità di Cristina, o permettere alla ex moglie ed alla
figlia di ricevere i mezzi per una vita dignitosa. Ma è proprio dal
confronto con "La promessa dell'assassino" che emergono i limiti di un
film solido ma quasi timoroso di dar seguito alle conseguenze che
scuotono le esistenze dei personaggi. Lasciando la morte fuori campo o
rendendola con soluzioni visive di didascalica semplicità - ci riferiamo
per esempio ai flashback della guerra in Afghanistan che
testimoniano i motivi della diserzione che costringe il protagonista a
nascondersi assumendo una falsa indentità - Knight al contrario di
Cronenberg preferisce non aprire le porte dell'inferno, arrestandosi
sulla soglia di una trasgressione - quella che permetterà a Joey e
Cristina di dimenticarsi per un attimo di se stessi - che rinuncia ai
sussulti della carne a favore di una rappresentazione equilibrata ma
poco coraggiosa nel rendere conto delle idee che il film mette sul
piatto. A suo favore c'è invece il merito di aver emancipato Jason
Stathman dal ruolo di duro a tutti i costi, presentandocelo con le
sfumature ed i colori di un'umanità tormentata ed afflitta. Un impresa
non da poco per un film che tra pregi e difetti rappresenta il prezzo da
pagare ad un apprendistato che sembra aver portato i suoi frutti.
Aspettiamo solo "Locke" per poterlo confermare. (pubblicato su ondacinema.it)

![[Rubrica: Italian Writers Wanted #12]](https://m22.paperblog.com/i/289/2897898/rubrica-italian-writers-wanted-12-L-cIVqIF-175x130.png)




