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Reggae National Tickets Part 3: La Isla, un ritorno alle origini

Creato il 31 agosto 2012 da Scribacchina

Come non v’è due senza tre, soliti lettori, è chiaro che non v’è uno senza due.
E dunque, dopo l’intervista numero uno (luglio 1998) a Stena, ecco l’intervista numero due che feci al vocalist dei Reggae National Tickets, datata giugno 1999.
A conti fatti, esattamente un anno dopo.
In quel periodo i Tickets eran pronti ad affrontare una nuova stagione di concerti, armati d’un brano
(Suono, dall’album La Isla) che colorò quella lunga estate colle sue belle sfumature reggae.

***

Giugno 1999

A luglio dell’anno scorso avevo incontrato Stena, il cantante dei Reggae National Tickets; la band aveva appena pubblicato l’album Lascia Un Po’ Di Te. Ora, a soltanto un anno di distanza, i R.N. Tickets hanno dato alle stampe il terzo lavoro per BMG Ricordi, La Isla: è un lavoro piacevole da ascoltare e che promette grandi consensi di pubblico. Eccomi allora di nuovo in compagnia di Stena, al secolo Alberto D’Ascola, per parlare del nuovo cd e dell’attività del gruppo bergamasco.

Stena - Alborosie - Alberto D'Ascola, Reggae National Tickets

- La Isla è un lavoro molto più vicino al reggae tradizionale rispetto al precedente Lascia Un Po’ Di Te. Alberto, perché questo ritorno alle origini?
«Diciamo che l’anno scorso c’era voglia di cambiare aria, di fare qualcosa di nuovo; c’era anche allora l’influenza reggae, ma l’avevamo indirizzata verso le nuove sonorità. Con La Isla abbiamo fatto un piccolo passo indietro: le radici non si abbandonano mai, anche se il reggae che facciamo è il ‘nostro’ reggae, personalissimo, che fa intravedere le radici del reggae tradizionale».

- Da dove è nata l’idea di registrare il cd in Jamaica?
«Dovevamo suonare al Reggae Sunsplash, un festival internazionale di reggae che si tiene proprio in Jamaica; sarebbe stata la prima partecipazione nella storia del festival di un gruppo reggae italiano. Purtroppo è saltato tutto, il festival non si è fatto. Noi R.N. Tickets abbiamo in ogni caso deciso di fare questo viaggio: ci siamo autofinanziati e abbiamo realizzato il disco e il primo video, quello che accompagna il singolo Suono. E’ stato un grande sacrificio: il budget della casa discografica serviva soltanto a coprire le spese di registrazione del disco. Abbiamo lavorato duramente, ma alla fine abbiamo ottenuto quello che volevamo. Diciamo che, in questo senso, siamo un ‘gruppo da battaglia’, sempre in prima linea per affermare le proprie idee e per realizzarle. Sono onorato di essere un guerriero, anche se non posseggo armi: ho soltanto quello che mi suggerisce il cuore. Ed è questo quello che voglio comunicare, quello che si può e si deve trasmettere con il reggae; c’è bisogno di reggae nel mondo, c’è bisogno di amore».

- Nell’album ci sono parecchie collaborazioni: Bunny Selassie, Lisa Dainjah, Bobo, Aston ‘Family Man’ Barrett, Manuel Stain, Quizz, Francesca Touré…
«Siamo sempre stati un gruppo ad impostazione famigliare; le collaborazioni sono una parte di noi. Considera poi che il mio personale motto è ‘Peace & Love’, pace e amore: non odio nessuno, considero tutte le persone come degli amici. Non ho nemici, anche se può darsi che qualcuno mi consideri tale. I pezzi di La Isla erano concepiti in maniera tale da far venire in mente nuove idee; io, per esempio, volevo inserire qualcosa di alternativo al mio stile canoro, e l’ho fatto chiamando chi reputavo fosse in grado di farlo. Una collaborazione che ci ha insegnato parecchio è stata quella di ‘Family Man’ Barrett, il bassista del grande Bob Marley, che ha suonato il basso nel brano La Isla ed ha prodotto alcune canzoni. Un’esperienza flashante, bellissima».

- Suono, il primo singolo estratto da La Isla, è passato da quasi tutte le radio, mentre il video che lo accompagna è in programmazione su Tmc2. Nel testo dici “Ho giurato a me stesso che io canterò alla radio”: ora che sei riuscito a cantare alla radio (e anche in televisione), qual è il prossimo obiettivo?
«Il desiderio che ho adesso è costruire qualcosa che possa essere d’aiuto agli altri e che serva a farmi ricordare dalle altre persone. La memoria è quello che lasci alla gente, e a me piacerebbe lasciare qualcosa di concreto: una struttura funzionante, un piccolo studio di registrazione, magari una piccola etichetta discografica. Fare qualcosa per la musica, insomma, aiutare i ragazzi a coltivare i propri sogni».

- Nel retro del booklet si legge una frase: «1999 Kosovo: i pensieri ed i suoni contenuti in questo disco sono totalmente incompatibili con gli ideali di chiunque attenti alla libertà o alla vita di qualsiasi essere umano». Chi è l’autore di queste parole?
«Ce l’hai di fronte… sono parole mie; voglio che si sappia la mia opinione su una guerra che considero, oltre che assurda, disumana e disgustosa. Certo, La Isla rimane pur sempre un disco solare, che comunica voglia di vivere e gioia, le sensazioni che si provano in Jamaica. Ma anche lì, durante la registrazione del disco, aleggiava lo spettro della guerra nella ex-Jugoslavia; ed è ovvio, perché i Reggae National Tickets sono italiani, quindi vicini di casa dei profughi. Vorrei che questo mio messaggio fosse considerato un cenno storico, una pietra che segna il nostro passaggio, che indichi quello che accadeva nel mondo mentre noi camminavamo».

- Qual è il brano del nuovo cd che vi rappresenta di più in quanto raggamen?
«Non c’è un brano specifico, tutti rappresentano un particolare nostro aspetto. C’è il brano più ibrido e quello più reggae, quello dalle sonorità più originali e quello più classico. Se dovessi scegliere un brano che mi piace più degli altri, tuttavia, sceglierei Anansie: è un pezzo che mi sta particolarmente a cuore dal punto di vista affettivo. Mi dà i brividi ogni volta che lo riascolto; è come un viaggio mentale, un scossa elettrica che mi percorre».

- Una curiosità: state già pensando al nuovo cd?
«No, siamo impegnati con l’attività dal vivo e con altre cose…».

- … tipo progetti paralleli ai Tickets, come i Royalize, formati da alcuni componenti dei Casino Royale?
«No, non intendevo i progetti paralleli. Io, per farti un esempio, in questo periodo sto producendo il disco di un cantante jamaicano».

- Per il futuro, il nome del gruppo rimarrà questo o, come suggerisce qualcuno, cambierà in Reggae International Tickets?
«Mi piace dire che i Reggae National Tickets suoneranno nel Reggae International Ticket! Noi speriamo di poterlo fare in tutto il mondo: siamo giovani, pieni di ormoni, di voglia di fare, di esprimerci. Ripeto, La Isla è un disco che merita di essere ascoltato; noi ci abbiamo messo l’anima e ci stiamo adoperando attivamente per cercare di farlo conoscere sia in Italia che all’estero».

- Pensate di fare qualche puntata nella Bassa bergamasca per concerti o manifestazioni (come Fara Rock, alla quale ricordo che l’anno scorso hai partecipato come special guest-solista)?
«Faremo solo una serata, giovedì 29 luglio, a Boltiere; suoneremo proprio di fianco a casa mia. Sarà una cosa simpatica, avremo accanto a noi un gruppo di amici musicisti reggae: si chiamano Vicolo D; chissà, forse un giorno diventeranno i nuovi Reggae National Tickets…».

- Come ultima cosa, Alberto, ti chiedo un favore: potresti mandare un messaggio ai miei lettori?
«Un fratello jamaicano mi ha detto una cosa molto bella: nel quotidiano bisogna pensare un po’ a noi stessi e un po’ a quello che ci circonda. L’energia per cambiare le cose che non funzionano è in noi. Insomma: l’uomo, se vuole (ma solo se vuole), può».


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