Ha aperto a Torino una mostra ambiziosa che racconta la cucina dal punto di vista del bello: non ci sono assaggi, ma ci troviamo dentro tutta la nostra Italia del gusto.
Si chiama Regine e re di cuochi ed è allestita nella Palazzina di Caccia di Stupinigi fino al 5 giugno prossimo. Un viaggio che celebra il passato, ma soprattutto il presente della cucina italiana attraverso sette sezioni che si sviluppano su 2 mila metri quadrati. La prima è dedicata alla cultura del cibo, alla varietà e qualità dei prodotti agroalimentari ed enogastronomici italiani con rapidi accenni alla storia della cucina del nostro Paese, necessaria e indispensabile premessa per la filosofia dell’esposizione.
Il corpus centrale della mostra è dedicato ad alcuni grandi cuochi moderni e contemporanei (indicativamente dal 1960 ad oggi), scelti fra i più significativi protagonisti dell’evoluzione da cucina di trattoria a cucina d’avanguardia. Analoga importanza è dedicata al “back stage” dell’alta cucina e all’analisi del processo creativo e organizzativo attraverso le “voci narranti” dei cuochi: dalla ricerca e ideazione all’analisi delle diverse tecniche di cucina più innovative, dal rapporto con il team alla ricerca del prodotto alla creatività nel design, testure, abbinamenti. Un affascinante viaggio nel “dietro le quinte” dei cuochi, alla scoperta delle fasi meno note della loro produzione artigianale e artistica; una narrazione dei momenti salienti di queste esperienze di vita e di impresa, con l’obiettivo di far percepire al pubblico quali siano gli elementi attraverso i quali il talento passa da singolare a plurale, da individuale a collettivo.
Ma il cuore della mostra sono loro: le Regine e i re di cuochi selezionati dal Comitato Scientifico e Curatoriale (Marco Bolasco – coordinatore, Elisia Menduni, Bob Noto, Nicola Perullo, Fabio Rizzari e Massimiliano Tonelli, Erica Battellani). Di qui passa la storia della cucina italiana; ognuno di loro, abbinato a una parola, testimonia un tassello del grande mosaico culinario chiamato Italia: Massimiliano Alajmo, Guido e Lidia Alciati, Matteo Baronetto, Heinz Beck, Massimo Bottura, Antonino Cannavacciuolo, Giuseppe e Mirella Cantarelli, Moreno Cedroni, Enrico e Roberto Cerea, Antonello Colonna, Carlo Cracco, Enrico Crippa, Pino Cuttaia, Gennaro Esposito, Alfonso Iaccarino, Antonia Klugmann, Paolo Lopriore, Valentino Marcattilii, Gualtiero Marchesi, Aimo Moroni, Norbert Niederkofler, Davide Oldani, Angelo Paracucchi, Piergiorgio Parini, Fabio Picchi, Valeria Piccini, Fulvio Pierangelini, Niko Romito, Nadia Santini, Davide Scabin, Salvatore Tassa, Mauro Uliassi, Gianfranco Vissani.
E, a parer mio, la sfida di questa esposizione che nel corso dei mesi sarà arricchita da dibattiti e presentazioni, è quella di riuscire ad avvicinare i grandi chef, la loro cultura e la loro stessa natura al pubblico (anche di massa). Perché per conoscere (anche la cucina) occorre essere curiosi. Vincere la suggestione dei grandi e spettacolari cilindri neri che racchiudono il cuore della mostra è fondamentale per scoprire. Per imparare. Perché anche in questo caso, come nella vita, occorre guardare dentro le cose e non fermarsi all’apparenza. E allora si capirà il perché, per esempio, a Matteo Baronetto è associata la parola avanguardia, mentre a Davide Scabin provocazione. E leggendo, ascoltando, guardando ciò che gli chef hanno voluto esprimere all’interno del loro singolo spazio anche la cucina italiana sarà meno mediatica e più vicina a ognuno di noi.