Le tensioni sociali delle ultime settimane non hanno nulla a che fare con il risultato elettorale: Matteo Renzi non le registra, non le vede, non le collega al tonfo dell'affluenza alle urne in Emilia Romagna, dove solo il 38 per cento è andato a votare, e in Calabria, dove la partecipazione al voto è scesa del 15 per cento. I suoi lo descrivono “baldanzoso”.
Al termine di una nottata a Palazzo Chigi dove ha seguito lo spoglio delle regionali insieme ai più fidati Luca Lotti e Maria Elena Boschi, il presidente del Consiglio non mostra segni di preoccupazione per il crollo verticale degli elettori Dem: rispetto alle europee, il Pd nei ha persi 677mila in Emilia Romagna e 82.700 in Calabria. "E' un elemento secondario rispetto al fatto che non tutti hanno perso", specifica Renzi in conferenza stampa a Vienna, approfittando della presenza del Cancelliere austriaco Werner Faymann per sfoggiare la vittoria del Pd in tutte e "cinque" le tornate elettorali regionali "degli ultimi 8 mesi". Il governo non c'entra, il governo va avanti con le riforme che, anzi, per Renzi sono state il motore della vittoria dei nuovi governatori Bonaccini e Oliverio. "Le forze politiche che hanno contestato le riforme possono vedere i risultati che hanno ottenuto”, provoca. E ci crede davvero. Chiunque gli abbia parlato oggi al telefono, si è sentito ripetere lo stesso concetto: se il Pd deve stare a lutto per il risultato delle regionali, allora gli altri partiti che dovrebbero fare: suicidarsi? Per Renzi dunque il cielo resta sereno sulle piazze. E' sui palazzi della politica che il premier vede nuvoloni: soprattutto sul nuovo Italicum. Perché dopo le regionali il Patto del Nazareno scricchiola sempre più e i malumori interni al Pd promettono tempesta.
E’ su questo che la baldanza cede il posto alla preoccupazione. E dunque anche se ufficialmente la linea non cambia (“Avanti tutta con le riforme”), anche se ufficialmente Renzi non fa a pezzetti il Patto del Nazareno, il tam tam impartito ai suoi dice di stare allerta per cogliere ogni minima occasione utile ad uscire dalle nebbie della palude che per ora copre l’Italicum. L’idea è sempre quella di allargare la maggioranza al Senato, portare a 10-11 senatori il livello di scarto tra maggioranza e minoranza ora fermo a quota 6. Come? Annettendo ex grillini, ex Gal e qualche altro del misto. Si tratta di un vecchio progetto che ha subito un’accelerazione ai primi di novembre, dopo l’ultimo incontro con Berlusconi a Palazzo Chigi, quando Renzi ha toccato con mano la difficoltà dell’ex Cavaliere a gestire Forza Italia sulle riforme. Ma naturalmente è un progetto di non semplice attuazione. Anche perché sulle regionali c’è agitazione nella stessa casa Pd, immancabile. Mentre il premier considera l’astensionismo “un problema secondario”, la minoranza Dem fa un’analisi diametralmente opposta. E qui la preoccupazione renziana diventa irritazione per l’ennesima guerra interna.
La speranza è che il disappunto della minoranza non si trasformi in vendetta anti-governo sul Jobs Act. E infatti la legge delega sul lavoro, ‘forte’ della mediazione raggiunta la scorsa settimana con Cesare Damiano, procede in aula alla Camera e potrebbe essere approvata entro mercoledì senza voto di fiducia. Addirittura, l’ok di Montecitorio potrebbe arrivare anche “entro domani”, prevede non a caso lo stesso Damiano. Ad ogni modo, la scelta del governo di non porre la questione di fiducia (almeno finora) è un segnale distensivo, se non fosse che proprio oggi ben 16-17 deputati della minoranza Dem hanno votato a favore di un emendamento di Sel sull’articolo 18. Uno sgambetto al premier. Il quale tuttavia resta concentrato e preoccupato non tanto sul Jobs Act, quanto sulla legge elettorale.
...modesti si nasce, ed Egli lo nacque...
Secondo i calcoli che si fanno nella cerchia del premier, è sull’Italicum che potrebbero scatenarsi i malumori della minoranza del Pd. Perché sulla nuova legge elettorale non c’è ancora un accordo con i non renziani. E poi perché su questo provvedimento il governo non può mettere la fiducia: mani libere per tutti, potenzialmente.
A Palazzo Chigi, per dire, non è per niente piaciuta l’analisi del senatore bersaniano Miguel Gotor sulle regionali. “Houston, abbiamo un problema”, sono le parole di Gotor che in sostanza invita Renzi a “non sottovalutare il significato politico di questo voto, come segretario del Pd e come premier. Il nuovo partito della Nazione non nasce sotto buoni auspici se rottama i suoi elettori in Emilia Romagna dove, rispetto alle europee, perdiamo 650mila voti”. Gli twitta contro il renziano calabrese Ernesto Carbone, deputato: “Che per Gotor sia un problema vincere è un dato di fatto che conoscevamo. Non è cattiveria, è che non è abituato”. Tra Palazzo Chigi e Senato, l’analisi di Gotor viene letta come un segnale di ‘risveglio’ anche da parte di quel pezzo di minoranza Pd che finora non ha dato battaglia sulle riforme, figurarsi come potranno reagire i civatiani. “L’astensionismo non è affatto secondario”, ribatte infatti Pippo Civati.
Fino a sera la minoranza si scatena sulle agenzie di stampa, critica col premier. “L’astensione in Emilia Romagna è impressionante. L’analisi su questa vicenda deve essere seria, non ci si può accontentare di risposte superficiali”, dice l’ex segretario Pierluigi Bersani. E ancora: “Sono mesi che dico che non bisogna accendere fuochi, che non servono a nessuno – aggiunge l’ex segretario Dem - Se si innervosiscono i lavoratori non si pensi che gli imprenditori son contenti. Non si pensi questo. In una situazione come l'Emilia Romagna non è così”. Per non parlare del commento acido di Romano Prodi: “Come ti fai il letto, così dormi…”.
Il rischio che vedono da Palazzo Chigi è che le critiche interne si trasformino in guerriglia parlamentare sul provvedimento che a Renzi serve per caricare la minaccia delle urne anticipate: la legge elettorale. O anche sull’elezione del prossimo presidente della Repubblica, dopo le dimissioni di Giorgio Napolitano. Anche se, c’è da dire, in questa giornata post-voto l’unico argomento che anche tra i renziani non viene agitato è quello sul possibile ritorno al voto in primavera. Oggi la bilancia pende sul no. Ma chissà (di Angela Mauro - Huffington Post)
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