La notizia poco edificante odierna, riferita dall’agenzia-stampa Misna, è la presenza di mine antiuomo disseminate nei territori di frontiera tra Sudan e Sud-Sudan, dove continuano violenti e insensati attacchi militari e dove la popolazione civile, inerme, rischia per questo ogni giorno la vita.
Ad essa si aggiunga lo specifico che le mine impiegate per le azioni di disturbo (sarebbe meglio forse dire azioni di morte) sono nientemeno che di fabbricazione italiana.
E, secondo fonti attendibili e relativa documentazione fotografica inerente, si tratterebbe delle TS-50 e delle VS-50, mine fabbricate dalla Valsella Meccanotecnica.
Non ci scandalizziamo perché certi guadagni stentano ad avere fine, nonostante trattati e accordi internazionali,ricchi di bei paroloni, specie quando si tratta di fare affari e molto lucrosi. Ma, in termini di vite umane, non possiamo tuttavia far passare sotto silenzio la gravità della notizia quanto piuttosto vorremmo che essa, una volta appresa, sia l’occasione per molti, quella porzione “sana” e ragionevole della società civile, di continuare senza stancarsi mai la lotta contro la corsa agli armamenti, specie di nazioni emergenti come India, Corea del Sud, Cina, Singapore.
Non si vendano, insomma, almeno per quel che ci riguarda, più armi a questi governi.
E che, soprattutto in casa nostra, la si smetta d’avere la classica fetta di prosciutto sugli occhi.
In alto loco queste cose (parlo sempre di casa nostra) si sanno e anche molto bene. Spesso con tanto di nomi e cognomi di fabbricanti ed esportatori.
Le mine antiuomo sono state in passato ( i due conflitti mondiali ) e lo sono, ancora oggi, una grossa vigliaccata nei confronti della popolazione civile in quanto,se non si muore perché colpiti in pieno, si resta mutilati e storpi per tutto il resto della vita, tirando avanti un’esistenza difficilissima e drammatica.
Con un aggravio, oltre il danno al singolo, anche in termini di costi elevatissimi per il Paese vittima, che non sempre ha poi in seguito i mezzi sufficienti, come può essere per il Sud-Sudan ad esempio, per aiutare a rimettere in piedi e reinserire nella normale quotidianità uomini, donne e bambini.
Ma il grosso del problema non è solo quello delle mine antiuomo, dannosissime e deprecabilissime comunque, quanto di tutti gli altri armamenti in circolazione, che sono certamente un affare in moneta sonante per i fabbricanti più di qualunque altra riconversione, e naturalmente lo strumento di aggressione, ben accetto, di chi intende fare guerra al suo vicino con l’intento di sopraffarlo come purtroppo accade quando l’interesse ha la meglio su di una qualsiasi possibile convivenza pacifica.
I numeri sul commercio delle armi (Rapporto di Amnesty International) parlano chiaro e ,quanto alla vendita di armamenti, è noto che nel solo 2010 essa ha superato la cifra di 400 miliardi di dollari, destinata per il 2011 di certo ad aumentare.
I maggiori venditori sono stati e sono gli USA (35,9%),la Russia (15%), la Germania(7%),il Regno Unito(6%), la Cina(6%) e la Francia (4%).
E, sempre lo stesso Rapporto recita anche che almeno 500mila persone muoiono ogni anno per guerre, uso della forza dei governi di stampo autoritario, gruppi di opposizione e criminalità.
Allora in vista dei negoziati relativi al Trattato internazionale sul commercio delle armi (Arms trade trae-Att), che si terrà a New York dal 2 al 27 luglio, sarà bene, come Italia o meglio come italiani, arrivarci tutti con le idee molto chiare. Informati sui fatti.
Diversamente continueremo a leggere statistiche e a fingere di scandalizzarci per l’assenza di pace nel mondo in luogo di agire, e presto possibilmente e con ferma convinzione.
La piazza può essere nostra anche per protestare per “cose” del genere, che offendono la vita umana a qualunque latitudine.
Marianna Micheluzzi (Ukundimana)