Di horror non ce n'è in "Regression", è inutile girarci intorno, i riti satanici di cui si fa sponsor posti al centro dello spunto sono solo uno specchietto per le allodole, siamo più al cospetto di una pellicola indirizzata sul thriller (psicologico) e sui suoi impianti prettamente classici nonché scricchiolanti.
Parte dagli anni novanta Alejandro Amenábar, dall'avvento del satanismo e dall'abbondanza dei casi orribili che questo portò verso la giustizia, condizionando la mente dei cittadini e non solo quella. Scrive e dirige un caso da risolvere che vede coinvolta una ragazza violentata da suo padre (ma non c'è certezza), con una madre suicida, un fratello in fuga e una nonna tutta da interpretare e scoprire. Elementi messi a disposizione del detective Ethan Hawke, agnostico, ma tentennante, e dello psicologo David Thewlis, più cinico e refrattario di lui verso ciò che risulta dai fatti: i quali tirano in ballo la possibilità di un male superiore, non umano, che ha preso il controllo dei responsabili in questione facendoli agire privi del loro senno e della loro volontà, servendosi della giovane ragazza, traumatizzandola. Ritorna quindi alle tinte dark Amenábar, quelle di "The Others", con un lavoro che pur essendo molto distante, si pone l'obiettivo di ripercorrere i passi simili della falsa pista, per andare a sfociare, poi, in quella rivelazione sconcertante, degna dei migliori salti della poltrona disorientanti per lo spettatore. La lucidità però a quanto pare non è ai massimi in questo frangente, e quello che doveva essere un lavoro colmo di mistero e di tensione, con momenti di terrore puro, misti a riletture sconvolgenti degli indizi, si trasforma nel più semplice e scontato degli enigmi, risolvibile con netto anticipo rispetto alla corsa contro il tempo, disperata, attuata dai protagonisti.
Verrebbe da dire, allora, che la regressione del titolo sia toccata prima di tutto ad Amenábar in persona, alla sua attenzione registica e di narratore, se non fosse che proprio attorno a questa scienza, applicata ai sospettati dell'indagine, ruota il meglio e la forza maggiore di una pellicola, in sé leggermente svogliata e non irresistibile. Adiacente alle terapie dello psicologo Thewlis e a quella regressione, appunto, che avrebbe dovuto portare i suoi pazienti, indietro con la mente, a ricordare chiari i momenti più scuri e annebbiati, viene allestito perciò tutto un discorso riguardante la suggestione umana, le sue influenze e quanto queste possano miscelarsi in qualcosa di incontenibile nei momenti di grande paura, collegati ad una realtà opaca ed imprecisa. Risvolto psicologico fondamentale, di cui "Regression" fa un uso quasi cronistico e documentale, suggerendo un disinteresse addirittura palese, nel finale, per una storia marginale, montata un po' superficialmente magari più per urgenza tematica che per volontà di intrattenimento.
Discorsi su Satana, chiesa e abusi non ci sono infatti a fare da sfondo o ad alterare le atmosfere della pellicola, qualche battuta, libro o consulto breve, basta e avanza per accendere l'argomento ed onorarlo. A vincere la sfida dello spazio e della rilevanza contro di loro è il subconscio, quel mistero, per molti, e per Amenábar in primis, più grande del diavolo, che a quanto pare può condizionarci e confonderci più di una mente posseduta e accecata dal male.
Tesi a cui tuttavia si poteva dare più lustro, specie perché collegata fortemente con i tempi moderni.
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