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Reietto – una storia vera XVII pt

Da Parolesemplici

Reietto2E’ noto che tutto ciò che non si conosce, a cui non è possibile attribuire caratteristiche riconoscibili genera nella maggior parte dei casi paura, repulsione e derisione.

La derisione è una reazione alla diversità generata da processi d’ignoranza o semplicemente da ludici giudizi di valore osservabile facilmente, ad esempio tra compagni di scuola, colleghi d’ufficio o semplicemente facendo caso ai commenti che noi stessi facciamo quando osserviamo chi ci sta in torno.La paura, di contro, genera meccanismi più complessi, essi danno vita a reazioni le quali si realizzano anche in diversi passaggi.

La paura si genera proprio quando l’interazione con ciò che è diverso ci trasmette un input che non siamo in grado di collocare in nessuna delle categorie presenti.

I meccanismi messi in moto dalla paura non sono facilmente riconoscibili al momento dell’esordio, ma guidano il soggetto verso azioni evidenti e catalogabili secondo connotati ben delineati.

La repulsione, invece, è forse la reazione che più può inficiare la stabilità di un individuo diverso, essa sopraggiunge dopo che in una prima fase d’interazione intersoggettiva sembrava essersi instaurato un rapporto d’interscambio fondato sull’intesa e la comprensione reciproca.

Queste reazioni dimostrano che non abbiamo alcun tipo di conoscenza circa le informazioni che riceviamo e che dobbiamo elaborare.

La non conoscenza, o meglio come i latini ci hanno trasmesso; ignoranza, ci pone ad assumere atteggiamenti ostili, poiché questo qualcosa d’ignoto, che si presenta d’improvviso, mette in azione ogni sorta di meccanismo di difesa, primo fra tutti l’allontanamento e l’emarginazione “dell’eso-oggetto”, se non la sua eliminazione.

Tutto ciò accade proprio perché la presunta categoria aperta alle diversità, nella quale collocare eso-input e considerarli fonte di conoscenza, non esiste. Meglio, esiste solo in una mendace fase teorica, scevra da contatti ed esperienze dirette.

Alla luce di quanto affermato è necessario cominciare a ridefinire alcuni concetti.

In questo quadro è imprescindibile, difatti, l’analisi del concetto di “diverso” e di “altro da noi” che conducono ad uno degli aspetti che possiamo considerare all’origine delle problematiche legate alla attuazione di quei comportamenti ostili; la mancanza di una adeguata conoscenza da parte degli individui delle eso-culture che inficia l’organizzazione di categorie soggettive adeguate ad affrontare la diversità.

E’ bene partire proprio dal concetto di diversità.

Questo concetto ha perso il suo significato originario, per acquistarne uno che gli fa assumere un’accezione negativa, quasi dispregiativa.

In una società del terzo millennio in pieno regresso culturale, sempre più etnocentrica, nella quale la ghettizzazione è l’unica risposta a chi non assume o non si assoggetta pedissequamente a standardizzazioni abilmente studiate che coinvolgono troppo spesso anche la sfera dei valori e dei sentimenti, perfino le parole sono spesso snaturate e tendono ad assumere significati differenti rispetto all’etimologia originaria.

Diversità, diverso, con queste parole s’indica qualcuno o qualcosa che non presenta le caratteristiche endomorfe del soggetto agente.

La definizione sembrerebbe giusta se la disposizione egocentrica di chi la adopera  non aggiungesse una seconda parte del tutto implicita, nella quale il diverso non presentando tali caratteristiche d’eguaglianza non è degno di occupare il gradino più alto di un’ipotetica piramide gerarchica e di conseguenza viene spostato in un piano inferiore.

Questa definizione non tiene conto del fatto che un soggetto il quale non annovera tra le sue peculiarità culturali o fisiche determinate caratteristiche, ne possiederà certamente delle altre, diverse, ma non di minor valore rispetto a quelle del soggetto agente.

Sembrerebbe più giusto, allo stato attuale delle cose,  fare uso del concetto “Altro da noi” quando ci si riferisce a qualcuno che si colloca in un’eso-sfera che fa riferimento ad un endo-mondo differente dal nostro.

L’uso di questo concetto ci consente di far riferimento a processi psichici scevri da barriere o limitazioni di qualsivoglia natura.

Parlare di “Altro da noi” significa presupporre, già in fase d’elaborazione delle categorie cognitive, che si affronta un’interazione di livello paritario con un mondo il quale presenta una differente multidimensionalità.

In questo caso non si attribuisce all’analisi della diversità nessun giudizio di valore.

E’ proprio questo assunto che si trova alla base originaria di taluni vocaboli e concetti. Essi sono stati stravolti e modificati nella loro natura dal repentino imporsi di una società che rende impliciti giudizi di valore, negativo, in qualsiasi interazione con soggetti che mostrano caratteristiche non congruenti con le linee guida dettate da culture presunte dominanti.

“L’altro da noi” rappresenta un crogiolo ricco d’informazioni e d’insegnamenti dal quale poter estrarre linfa vitale che alimenti la nostra conoscenza, nonché la nostra esperienza quando abbiamo la possibilità di affrontare dei processi d’interazione diretta.

L’incontro con tutto ciò che si mostra come “Altro da noi” non deve avvenire seguendo un movimento che guidi i due poli in un incontro-scontro frontale.

Il cammino deve essere parallelo, di conoscenze ed interscambio, attraverso il quale diviene possibile comprendere a pieno le diversità, consentendo in tal modo alle incongruenze di assottigliarsi e non divenire mai fonte di scontri ricchi di un inarrestabile regresso della civiltà.

Ad esempio, diverrà conseguenza logica giudicare un individuo per le azioni che compie e non il suo agire legato a quello che un individuo è, o a ciò che un’artefatta stigmatizzazione figlia d’analisi quantomeno affrettate può fargli rappresentare.

L’impatto con l’altro da noi, spesso portatore di tratti culturali agli antipodi rispetto a quelli delle culture autoctone, è avvenuto e continua ad avvenire in una società oramai soffocata da quei caratteri d’etnocentrismo e cecità cognitiva che non consentono di aprire uno spiraglio, seppur minimo, a quella civiltà del terzo millennio tanto auspicata e anelata dagli individui dei secoli precedenti.

Le spinte invasive, per portare un esempio che si leghi alle macro-diversità, che hanno caratterizzato e continuano a caratterizzare i flussi migratori tengono lontani sia i popoli autoctoni, sia quelli stranieri dalla conoscenza di quelle peculiarità culturali che contraddistinguono un gruppo etnico.

Diviene inevitabile, in questa situazione, che la non conoscenza conduca a non prendere in considerazione il credo religioso, le credenze, gli usi, i costumi e quant’altro fa parte della cultura di un popolo, ma anche di un singolo individuo. Tutto ciò alimenta mendaci standardizzazioni, favorendo la nascita di rigetto e contribuendo al peggioramento dei problemi esistenti o addirittura alla creazione di nuove situazioni di difficoltà.

In tutte le culture i diversi ambiti della vita della comunità, se non tutti, sono più o meno legati a doppio anello con i dogmi dettati dalla religione, con le credenze o con figure carismatiche.

La multidimensionalità delle organizzazioni sociali che tali aspetti fanno emergere rendono alcuni gruppi intrisi di taluni caratteri che imbrigliano l’articolarsi delle azioni dell’intero gruppo, ma anche dei singoli individui, qualora essi vogliano manifestare medesimi valori ma attraverso espressioni ed azioni differenti .

Tutto ciò rende evidente quanto sia complesso l’incontro tra gruppi etnici e singoli individui che spesso sono agli antipodi.

A rendere la questione ancora più ardua si aggiunge il fatto che molte interazioni, oggi, avvengono in situazioni di confronto non paritario.

Continua…


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