L’universo è pieno di misteri che sfidano le nostre conoscenze. Nella sezione ‘Ai confini della realtà: Viaggio nei misteri della Scienza’ Epoch Times raccoglie storie che riguardano questi strani fenomeni per stimolare l’immaginazione e aprire possibilità ignote. Se siano vere o no, sei tu a deciderlo.
Se un bambino vi desse informazioni dettagliate sulla vita di un uomo deceduto di cui non può sapere nulla, credereste che sia la reincarnazione di quell’uomo?
Il dottor Erlendur Haraldsson, psicologo e professore emerito alla University of Iceland, a Reykjavik, ha studiato a lungo la reincarnazione. Ha evidenziato un caso su cui ha iniziato ad indagare nel 2000, in cui un bambino di nome Nazih Al-Danaf ha fornito dettagli corretti sulla sua cosiddetta vita passata. Gli ha chiesto: «Chi ha costruito le fondamenta di questo cancello all’entrata di questa casa?» Nazih ha risposto: «Un uomo della famiglia Faraj». Ed era corretto.
Il dottor Haraldsson ha lavorato con Majd Abu-Izzeddin, ricercatore del libanese, per intervistare i membri della famiglia del bambino e la famiglia del deceduto di cui Nazih dovrebbe essere la reincarnazione. Tutti i testimoni sono stati intervistati più volte a distanza di alcuni mesi e le storie sono rimaste più o meno sempre le stesse. La testimonianza che ha colpito di più è quella della moglie del deceduto, che ha testato la conoscenza del ragazzino sulla sua vita con suo marito.
PRIMI DIALOGHI DI UN’ALTRA VITA
Quando aveva un anno e mezzo, Nazih ha detto a sua madre: «Io non sono piccolo, sono grande. Porto due pistole. Porto quattro granate a mano. Sono unqabai (una persona forte e senza paura). Non lasciarti spaventare dalle granate, so come usarle. Ho molte armi. I miei ragazzi sono giovani e voglio andarli a vedere».
Ha utilizzato parole che i suoi genitori non si aspettavano conoscesse a quell’età, ha mostrato uno strano interesse per whiskey e sigarette, ha raccontato di un amico muto che aveva una sola mano, ha detto di possedere una macchina rossa e di essere morto quando alcune persone sono venute a sparargli. Ha raccontato di essere stato portato all’ospedale con l’ambulanza, dove gli hanno fatto l’anestesia attraverso il braccio. Ha chiesto di essere portato a casa sua in Qaberchamoun, un piccola città a circa dieci chilometri di distanza.
Nazih ha dei parenti vicino Qaberchamoun, ma non è mai stato nella città e lì non conosceva nessuno. Dopo anni di capricci, i suoi genitori l’hanno finalmente portato a Qaberchamoun all’età di sei anni, nel 1998. Con lui sono andate anche alcune delle sue sorelle.
TROVARE LA CASA, PARLARE CON SUA ‘MOGLIE’
Sono arrivati a un incrocio di sei strade a Qaberchamoun. Nazih ha indicato una delle strade e detto di seguirla. Poi ha detto a suo padre di aspettare fino al prossimo bivio e poi di andare verso casa sua. Suo padre, Sabir Al-Danaf, ha eseguito gli ordini di suo figlio. Alla fine è stato obbligato a fermare la macchina, perché la strada era bagnata ed era difficile guidare. Nazih è saltato fuori e ha iniziato a correre. Suo padre l’ha seguito e le donne sono uscite per parlare con un uomo del posto mentre aspettavano il ritorno di Nazih e Sabir.
Mentre le donne gli raccontavano cosa Nazih gli aveva detto, l’uomo è rimasto di sasso. I dettagli combaciavano con la vita di suo padre. Il dottor Haraldsson ha intervistato quest’uomo, Kamal Khaddage, il cui padre, Fuad Assad Khaddage, era morto alcuni anni prima.
Nazih non era in grado di riconoscere nessuna delle case che aveva davanti, quindi lui e suo padre sono tornati alla macchina. Khaddage ha chiesto a sua madre, Najdiyah, di poter parlare con il bambino. Avendo ascoltato che il bambino poteva essere stato la reincarnazione di suo marito, lo ha testato.
Gli ha chiesto: «Chi ha costruito le fondamenta di questo cancello all’entrata di questa casa?» Nazih ha risposto: «Un uomo della famiglia Faraj». Ed era corretto.
Gli ha chiesto se lei avesse avuto qualche incidente quando vivevano nella loro casa ad Ainab. Nazih gli ha risposto che si era slogata la spalla una mattina, di averla portata dal dottore una volta tornato da lavoro e che aveva dovuto portate il gesso per un po’. Anche questo era corretto.
Gli ha chiesto se si ricordasse di come di fosse ammalata loro figlia Fairuz. Lui ha risposto: «È stata avvelenata dai miei medicinali e l’ho portata all’ospedale». Corretto.
Nazih è andato in un armadietto specifico di sua volontà e ha detto che lì era dove teneva le sue armi, anche se al momento non ce n’era nemmeno una. Lì era dove Faud teneva le sue armi. Il bambino ha chiesto alla vedova di Faud se si ricordava di come la loro macchina si fosse fermata due volte sulla strada da Beirut e dei soldati israeliani che li avevano aiutati a farla ripartire. In effetti tutto ciò era accaduto. Il bambino ha menzionato un barile nel giardino che usava per insegnare a sua moglie a sparare ed è uscito fuori di corsa a vedere se fosse ancora lì. C’era ancora.
Najdiyah ha mostrato una fotografia di Faud a Nazih e gli ha chiesto: «Chi è quest’uomo?». Il bambino ha risposto: «Questo sono io, ero grande ma ora sono piccolo».