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Il suo "Relatos Salvajes (Wild Tales)" è infatti l'eccezione alla regola, la conferma che si può fare del cinema mainstream che sappia accontentare trasversalmente sia il pubblico dalle poche pretese e sia quello che di pretese ne ha, eccome. Il trucco - ci spiega Szifron - è concentrato unicamente nell'imprevedibilità, nell'intelligenza di saper andare a pescare in quelle situazioni ordinarie o tipiche l'assurdo più estremo, e poi alzarlo a livelli caricaturali che tendenzialmente nemmeno calcoliamo perché vincolati e aggrappati a pieghe ben precise ma assolutamente smantellabili e ricomponibili. Non fa altro che questo dunque la sua pellicola, si fa forza delle sei mini-storie da cui è composta e delizia lo spettatore con un umorismo nero e grottesco, dei risvolti taglienti e personaggi brutti quanto decisamente familiari. Il filo conduttore è la vendetta, un'amica affatto nuova al cinema, ma che serve a Szifron per legare quello che è l'unico suo intento serio ad un resto che vuole esclusivamente intrattenere e deliziare. I titoli di testa - con foto di animali selvatici in sequenza - assume allora un senso nell'esatto istante in cui capiamo con certezza che di animali selvatici nella sua pellicola non ci sarà traccia, visto che quegli animali, in quella che è la giungla della quotidianità, sono sostituibili senza alcun rimpianto da una società come la nostra, sempre più arrabbiata, frustrata e diffidente, desiderosa, appunto, di mettere apposto con le sue mani sostituendosi a una giustizia di cui non si fida più.
E questo è l'unico, grosso, spunto riflessivo e di denuncia mosso da "Relatos Salvajes (Wild Tales)", tra l'altro, neppure troppo urlato, ma anzi, tranquillamente ignorabile da chi ha la preferenza di volersi accomodare e rilassarsi nella pura leggerezza dell'intrattenimento. Perché il paragone uomo/animale suggerito dal regista per quanto sia netto ed evidente non è assolutamente indispensabile per fruire della visione della sua opera, e pertanto addirittura trascurabile e sfuggente. Ciò che però non è sfuggente è il rovescio della medaglia che inevitabilmente, a lungo andare, va a colpire il pregio principale della sua pellicola, ovvero l'imprevedibilità, costretta a calare e a svanire man mano, raffreddando ciò che era nato inizialmente come lava bollente.
Questa è una pecca alla quale forse si poteva mettere mano, accorciando la durata eccessiva, o addirittura tagliando, una delle sei storie (tutte in crescendo). Un'altro colpo di genio che avrebbe potuto rimettere tutto in discussione, non solo giovando ma addirittura elevando l'opera di Szifron, sarebbe stato inserire un ultimo filo, abbastanza solido e in grado di legare tutti gli eventi narrati nelle circa due ore in maniera più netta e corrosiva. Ci fosse stato, a quest'ora staremmo parlando con entusiasmo ancor maggiore, purtroppo non è così, ma resta il fatto che la giostra piacerà molto, e a tutti, ugualmente.
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