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“Se il digitale sveglia la stampa”
Le nuove tecnologie aiutano la stampa? E il digitale cambia il modo di fare informazione? Le risposte dovevano arrivare dalla tavola rotonda “Se il digitale sveglia la stampa”, organizzata dal Master in giornalismo dell’Università di Bari, dall’Ordine dei giornalisti di Puglia e dall’Associazione “M. Campione” per la formazione al giornalismo. Il seminario si è tenuto lo scorso venerdì 10 giugno alle 9.30 nella sala Conferenze dell’Ordine dei giornalisti in strada palazzo di città, 5 a Bari vecchia.
Nonostante gli interventi di altissimo livello, ed essendo il tema così ampio e variegato, è stato trattato – a mio avviso – solo parzialmente. E’ stato, tuttavia un evento di portata epocale per la realtà pugliese, e non solo. Ora si spera nell’approfondimento: “sveglia digitale 2.0“, magari con terzo giro di interventi su questo blog. Lo si può sperare anche con un allargamento ai Professori di questo splendido parterre?
Anche gli studenti potrebbero scrivere, oltre che leggere.
Sono intervenuti:
- Anna Matteo, Vice Presidente del settore digitale edizioni Condé Nast
- Giuseppe Smorto, Condirettore di Repubblica.it
- Lino Patruno in sostituzione di Carlo Bollino, Direttore della Gazzetta del Mezzogiorno
- Paolo Rastelli, Responsabile del Corriere.it (assente)
- Marco Pratellesi, Direttore Editoriale per il Digitale Edizioni Condé Nast
- Maddalena Tulanti, Vicedirettore del Corriere del Mezzogiorno
- Stefano Costantini, Capo della Redazione Barese di Repubblica
- Franco Giuliano, Caposervizio de Lagazzettadelmezzogiorno.it
- Modera l’incontro Pino Bruno, giornalista Rai
- Marina Castellaneta, Direttrice del Master in giornalismo e docente in Diritto Internazionale e Comunitario presso l’Università di Bari
- Paola Laforgia, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Puglia
Intervenuti con post sul presente blog:
- Intervento dal Blog di Antonio Conte sul tema: Se il digitale sveglia la stampa - Domenica 12 giugno 2011 – (Scarica in formato PDF per la stampa)
- Per altri interventi su questo tema, e sua pubblicazione qui, scrivere ad: [email protected]
In foto: da sx Pino Bruno, Marco Pratellesi, Franco Giuliano, Giuseppe Smorto, Anna Matteo, Maddalena Tulanti, Stefano Costantini
Gli interventi:
Dott.ssa Paola Laforgia, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Puglia
Il benvenuto ed il saluto ai relatori della tavola rotonda è offerto dalla Presidente dell’Ordine dei Giornalisti Paola Laforgia, che per aprire il dibattito ha lanciato una provocazione-verità: “L’informazione sul web è spesso affidata a inesperti giornalisti senza una testata di riferimento?”
Dott. Giorgia
Ha parlato della geografia della comunicazione e degli strumenti che permettono di superare le testate fornendo supporto alla pubblicazione come i blog. Ma, – dice – la qualità della notizia è fondamentale e certamente farà la differenza nella promozione della persona e, quindi dell’uomo stesso. Tocca poi il tema degli emarginati digitali, e la forbice definita dal “Digital Divide”.
Lino Patruno, Editorialista della Gazzetta del Mezzogiorno
Attingendo alla sfera dei ricordi, – dice – che la professione si imparava sul campo, e grazie a capi redattori più esperti. Distingue quindi i giovani come nativi digitali e che non hanno difficoltà di sorta nell’uso delle tecnologie. In effetti non devono rimodellare i propri comportamenti in funzione dei nuovi media.
Pino Bruno, giornalista Rai
I nuovi media non sono più nuovi; sotto intendendo che ormai sono invecchiati anche loro. Bisogna prendere coscienza dei progressi della rivoluzione digitale. Lui stesso ne rimane affascinato, eppure spiega viene dal ‘piombo’ e dall’inchiostro’, – ad aggiunge – che non è rimasto a guardare ma è andato oltre verso le novità. Infatti dal suo nuovissimo iPad appoggiato ad una cartuccella per tenerlo su, legge dei dati sul crollo della editoria a stampa riferiti al 2009 e del crollo, sia pure in calo ma molto più contenuto del 2010. Fatto l’assist, lo porge alla Dott.ssa Anna Matteo, di origini pugliesi.
Dott.ssa Anna Matteo, Vice Presidente del settore digitale edizioni Condé Nast
Il discorso della Dott.ssa Matteo va subito dritto al problema, ponendo l’attenzione sull’interesse della propria testata per il business del digitale e per l’impiego delle nuove tecnologie.
D’altra parte, non poteva fare altrimenti, come si può facilmente leggere in rete l’Ingegner Anna Matteo è director of digital business development & technology della casa editrice Condè Nast, oltre ad assumere anche l’incarico di chief technology officer con l’obiettivo di garantire la sostenibilità tecnologica dei piani aziendali e di operare le scelte più funzionali al business digitale. Infine, ha svolto per anni attività di consulenza su progetti innovativi e internet-based e dal 2008 è a capo del marketing strategico delle attività digitali di Mondadori, nonché responsabile di donnamoderna.com.
Come si diceva, in capo al suo intervento, sgombra subito il campo dal pregiudizio secondo il quale la rete danneggi il business dell’editoria a stampa, anzi secondo la sua esperienza la rete rilancia il business del brand a stampa. E spiega che se l’utente ha facoltà di scegliere se leggere i contenuti sul web o quelli a stampa, l’editore ha modo di allargare la propria base di lettori, in modo da affiancare a quelli classici i lettori della rete.
Ma, avverte, le condizioni sono tre: primo, essere rilevanti, ovvero con un alto numero di visitatori unici, e considerare meglio gli intermediari, ovvero Facebook, Apple Store, il Mobile con i suoi device, gli aggregatori di feed, ecc..; ed ancora, i contenuti devono essere di qualità. Ma non è tutto, occorre anche mediare tra l’utente ed il contenuto, ovvero portare il contenuto all’utente, magari sulla sua bacheca di facebook, o fare in modo che l’utente trovi e raggiunga il contenuto. Secondo, pensare al web, mobile, ed ai device, ‘pensare digitale’, cita i casi di successo di Vogue, Look, Wired e Glamour, infine il suo affondo finale è una riflessione innovativa e al tempo stesso strategica, ovvero il successo viene nel fornire contenuti diversi al web rispetto alla stampa. Ecco quindi che i lettori pagano i contenuti sul web oppure quelli a stampa.
Pino Bruno, giornalista Rai
Il moderatore si aggancia ad una frase della Dott.ssa Matteo, ovvero il come pagare i contenuti, in abbonamento, o in modo singolo? Poi provoca la riflessione spronando le testate ad essere diverse e ad innovarsi preparandosi a entrare nel web.
Marco Pratellesi, Direttore Editoriale per il Digitale Edizioni Condé Nast
Compie una rapidissimo volo tra le gazzette del settecento e ottocento citando le innovazioni del “penny press” e della pubblicità che hanno consentito un abbattimento del costo di acquisto della copia del giornale da parte dei lettori. Poi cita l’arrivo della radio e, quindi si parla dell’evoluzione della stampa, ma forse solo della compresenza di questi due media, la stampa , si dice, avrebbe più vocazione all’approfondimento. Non è finità, a far tremare la stampa nel ‘900 arriva ancora la TV che saprà conquistarsi il suo ambito, mentre la Stampa ancora si interroga sull’arrivo dei nuovi media e del suo nuovo ruolo. Oggi la stampa torna a chiedersi cosa sarà di se nel futuro con l’avvento della rete. Pratellesi sembra non avere dubbi. Ama i periodici più che il quotidiano, ed il web come le riviste patinate. E, di giornali ne compra molti ma la gaffè ormai è fatta, e molti degli interventi concorderanno che il giornale è utile anche se dura solo 24 ore e la sua carta non è tra quelle patinate. Infine, vuole dissentire con chi cita difficoltà sugli acquisti e sui metodi di pagamento in voga per gli abbonamenti in rete. Cita Amazon come affidabile ed il Finacial Times che lancia la sua web apps based.
Giuseppe Smorto, Condirettore di Repubblica.it
Afferma subito un enunciato “Il quotidiano è una forma indispensabile di garanzia, si ritiene per i diritti dell’uomo e della libertà. Ma non nasconde i problemi legati alle resistenze al cambiamento, di tipo interne ed esterne. Non ultime le difficoltà di aggiornamento del giornalista all’uso della tecnologia. Fenomeni di digital devide, ma anche di strenua difesa della tradizione e contro le innovazioni, al punto di riuscire a creare corporazioni di refrattari alla tecnologia. Cita addirittura casi limiti di barriere e boicottaggi tesi al fine di opporsi al progresso tecnologico. Riconosce insomma gli ‘ultras”: gli innovatori tecnologici ed i conservatori intransigenti. Ma, da ottimista ammette che per ogni settore web o stampa, vi deve essere futuro a patto che ognuno sappia fare profitto da se. Di fatto se una notizia è stata già consumata sul web, con testi, foto e video, rimane ben poco al quotidiano in stampa, e dunque quest’ultimo deve trovare il modo di diversificarsi, pur dovendosi affermare un unico brand ed un unico team. Non, come precedentemente – fa intendere – con due redazioni, due badget, due aziende, con due marchi diversi pur di proprietà dello stesso editore.
Pino Bruno, giornalista Rai
Di tempo trascorso ve ne è tanto. E, tanti eventi, come gli scioperi contro la macchina da scrivere, ricorda. Ma allerta: ogni media vuole il suo linguaggio: la radio, la tv, la stampa. Infine la provocazione sul tema del “Glocale”.
Maddalena Tulandi, Il Corriere del Mezzogiorno
Si sta vivendo una rivoluzione. Ad esempio se il lettore volesse la sua copia la sera, allora che glie la sia dia la sera. Riconosce che la comunità della rete non vuole un prodotto riciclato e con i contenuti clonati dalla edizione a stampa. Se la rete è diversa per tipo di lettore, fascia di età, modo di fruizione, si deve anche avere una redazione specifica per il web. Non come può accadere che gli editori chiedono il secondo articolo per il web in modo gratuito. Fare giornalismo sul web non è, e non deve essere certamente gratuito. Fare notizie per il web è una nuova impresa e diverso e distinto deve essere l’impegno degli investimenti, della ricerca di un modo per riscrivere l’esperienza del giornalista.
Stefano Costantini, di Repubblica, Redazione di Bari.
Ricorda la vecchia macchina da scrivere che il giornalista teneva vicino al suo nuovo video terminale, come una ‘ruota di scorta’, “se si rompe – dicevano – torno alla cara macchina da scrivere”. Ma poi, ironizza sul sito “Local”, che fa rima con “Social” e fa più ‘figo’, pur senza badget per realizzarlo. Gli editori non credono che sia necessario pagare un esperto di informatica, un grafico, ed un nuovo impaginatore, ammettendo che siano disponibili i contenuti, altrimenti servirebbe anche altri giornalisti, o anche che sia pagato il compito per il web, che è un extra, a coloro che sono assunti per la stampa. Altrimenti, dice, si fanno le ‘nozze con i fichi secchi’. Il rischio possibile è di intraprendere la strada senza obiettivi precisi, senza programmazione. In modo pionieristico si può sbagliare e di farne poca di strada, si rischia di dover tornare sui propri passi. Diversificare quindi va bene, ma servono investimenti e nuove professionalità.
Franco Giuliano Caposervizio de Lagazzettadelmezzogiorno.it
Bene il web, ottime le statistiche di lettura, di gradimento dei contenuti altrimenti impossibile su carta. Abitudini nate sulla carta sono difficili da sradicare, così come è difficile cambiare abitudini è complesso pensare in modo digitale. Fa notare l’assente di rilievo, l’editore stesso. Costoro, spesso hanno una certa età e sono legati al proprio core business, come fanno ad immaginare un nuovo modo di fare giornalismo in cui l’articolo è slegato dal supporto che lo veicola? Ricorda infine che agli albori del web si diceva che non sarebbe durato molto, ed invece.
Pino Bruno, giornalista Rai
Ritorna sul concetto di “Glocale” e spiega. Può il web portare le notizie locali alle comunità di italiani all’estero? Il giornalismo religioso locale sia narrativo ed audiovisivo sembra essere molto apprezzato dalla comunità di emigranti all’estero. Può essere di un certo interesse economico per gli editori?
Anna Matteo, Vice Presidente del settore digitale edizioni Condé Nast
Non vi è nulla di male se l’editore consideri anche il suo interesse economico. Per decollare una testata nel web dovrebbe ancora aspettare circa due anni in Italia, si stima infatti che l’utenza iPad raggiungerà la quota del 20% in USA, e l’anno prossimo e tra due anni in Italia.
Lino Patruno, Editorialista della Gazzetta del Mezzogiorno
Proseguendo in un rapido secondo giro sostiene che il web non è adatta ad un approfondimento della notizia, e che il giornalismo vero è quello delle inchieste in cui si consumano le scarpe, fatto di ricerche condotte in prima persona sui luoghi della notizia.
Marco Pratellesi, Direttore Editoriale per il Digitale Edizioni Condé Nast
Facendo quasi, il verso al precedente intervento, si schiena sulla poltroncina, ed allude al piacere leggere le notizie condite di dettagli, aggiunte narrative dell’ambiente e di contorno al concetto principale, che ritiene, sostengono e danno colore e piacere alla notizia. Non so, aggiunge, il colore degli occhi, il tipo di acconciatura di chi parla o la descrizione del come viene riferita una notizia, ad esempio con uno scuotimento della testa, ecc. Ma poi con un affondo autocritico, ammette che forse aver concesso gratuitamente i contenuti nel 1998-99 con decisioni prese a seguito di confronti con il Today di New York. Oggi, afferma, pubblicarli gratis in rete sarebbe un errore. Poi rispondendo ad un precedente intervento spiega che un’uscita sera del quotidiano non avrebbe senso, in quanto quelle edizioni erano legate ai turni dei metalmeccanici, che uscendo da lavoro compravano la loro copia.
Pino Bruno, giornalista Rai
Chiama il suo blog e parla di alcune notizie in voga del momento legate alla cronaca, ma forse più propriamente alle ‘distrazioni’ di palazzo.
Giuseppe Smorto, Condirettore di Repubblica.it
Non esclude che la presenza del giornale sull’iPad sia di fatto una sfida interessante, ma non ritiene di dover pubblicare gratuitamente “grandi reportage e grandi firme”. Poi risponde ad una domanda di una stagista – del Master in giornalismo dell’Università di Bari, dell’Ordine dei giornalisti di Puglia e dell’Associazione “M. Campione” per la formazione al giornalismo – secondo la quale dove e come va pubblicata una notizia di rilievo. Non ha dubbi a dire che la precedenza è per la stampa, ma che se il contenuto è è di tipo audiovisivo il web va bene, forse meglio per l’impatto sicuramente maggiore.
Marina Castellaneta, Direttrice del Master in giornalismo e docente in Diritto Internazionale e Comunitario presso l’Università di Bari
Chiude il la tavola rotonda ricordando che in Inghilterra, notoriamente contraria a riprese e fotografia nei tribunali, ha ammesso invece la possibilità di commento attraverso Twitter.
Pino Bruno, giornalista Rai
Chiude salutando e ringraziando tutti per la presenza e l’interesse dimostrato al tema.
Antonio Conte (Intervento dal blog)
Il tema, di certo attuale e molto interessante ha attirato molte persone. Peccato che un ritardo aero abbia dilatato i tempi iniziali e compresso alcuni interventi e purtroppo, anche le conclusioni. Ma su può utilizzare il web per continuare il dialogo e compiere un giusto approfondimento.
Nell’attesa, foriera di nuove amicizie o conferme, si sono potuti porgere i saluti di rito. I quali sono stati piacevolissimi e graditi: con la Prof.ssa Marina CASTELLANETA, Direttrice del Master in giornalismo e docente in Diritto Internazionale e Comunitario, con il Prof. Vito Gallotta, dell’Università degli Studi di Bari, e docente del corso di Storia del Giornalismo nel corso di Scienze della Comunicazione della Facoltà di Formazione, con il Prof. Giuseppe Mininni, Ordinario nella stessa Facoltà barese di Psicologia e docente di Psicologia della Comunicazione e dei Nuovi Media, nel Corso di Scienze della Comunicazione. Infine con altri colleghi o amici intervenuti a partecipare a questo l’importante evento.
Si è dovuto, purtroppo constatare l’assenza dei colleghi studenti del corso di Scienze della Comunicazione, ma finalmente, arrivano gli ultimi relatori, in ritardo a causa di un ‘giusto impedimento’, che come si è già anticipato, è stato proprio il ritardo aereo proveniente da Milano.
Ed eccoci, dopo tanta attesa, – nessuno è andato via – e un così ampio parterre, con interventi certamente di altissimo livello, che possiamo aggiunge al “dado” l’aggettivo di “tratto”. Ma, “tratto” vuole essere anche il tratto d’unione tra web e stampa.
Le questioni introdotte per far scaturire il dibattito in questa tavola rotonda, sono state davvero ampie e diverse, ad esempio, si è parlato di una disposizione delle autorità francesi tese ad impedire di poter pronunciare in TV (ed anche in stampa?), l’uso di alcune parole-brand, come “Facebook” e come “Twitter”. Forse – si poteva aggiungere al dibattito – i francesi ritengono sia una forma di pubblicità, un po’ troppo diretta? Tale citazione favorirebbe la legittimazione d’uso, specie nei giovani, di questo Social Network? In effetti appartiene ad una società privata ed opera con fini di lucro, in quanto il suo scopo finale è vendere pubblicità. Ma, per estensione, se passasse tale principio, forse bisognerebbe anche vietare anche l’uso di parole-brand come “Le Monde”, “New York Times”? E, magari anche i nomi delle banche o assicurazioni che invece sarebbe doveroso farlo per dovere di cronaca? La soluzione francese appare quindi, anacronistica e forse anche un po ingenua, se non addirittura utopistica, se non sostenuta da ulteriori motivazioni.
Ma cercando di dare una risposta al tema, “Se il digitale sveglia la stampa”, lanciato da questa interessante giornata di riflessioni, si avverte che si è su un blog di studenti di un Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione. E, tra gli esami previsti ci sono oltre alla Storia del Giornalismo anche la Psicologia dei nuovi Media. Per cui, nella visione 3D dei contenuti di questa tavola rotonda, le lenti per i monocoli che si prenderanno in uso, saranno appunto la psicologia dei media e le competenze tecnologico scientifiche, necessarie e sufficienti a poter trattare il tema con una certa disinvoltura.
Approccio Teorico
Tra le teorie prese in esame per approcciare a questo tema, si citeranno quelle di James William sul “Costruttivismo sociale”, come dire che la comunità può evolvere l’uso e la forma dei artefatti culturali o tecnologici. Le teorie sugli artefatti, offerta dalla Psicologia Bioculturale ed i contributi di Anolli [2004] e Cole [2006]. Il giornale può essere considerato un artefatto sia culturale e tecnologico al tempo stesso, infatti, sia per i suoi caratteri materiali e per quelli immateriali. Ed ancora sarebbero utili considerazioni delle teorie dell’Agenda Setting nel definire priorità, ed ancora nella definizione delle sfide nella definizione degli ambienti di fuizione e di contatto con il lettore, ovvero, le interfaccie d’uso del giornale digitale, ed i concetti di Affordance, Presenza e Presenza Sociale. Ma si potrebbe anche approfondire il tema con le teorie alla base delle comunità virtuali, in quanto il lettore web non è da considerarsi un singolo individuo, ma parte di una sistema di intelligenze con le quali si misura e confronta, ed in definitiva con il quale compie il suo progresso digitale e cognitivo personale.
E’ stato anche sollevato la questione degli “ultras”, “conservatori” da un lato e “innovatori digitali”, a tal proposito sarebbero utili alcuni cenni sulle teorie dell’impatto sociale ed individuale che i media producono alla loro immissione nel mercato. Wilhelm (2000) distingue, sul piano sociale i futuristi, i distopici ed i tecnorealisti. Ma, è l’impatto sul piano individuale che mostra più propriamente come si collocano gli individui di fronte all’innovazione. Il prof. Giuseppe Mininni (2002), citato in “Psicologia dei Nuovi Media” di Giuseppe Riva, così li distingue: tecnoutopici, tecnoutilitiaristici, tecnoutilitaristici, tecnopluralisti. Infine se prendiamo in esame l’inclinazione delle persone nell’approccio all’uso delle innovazioni di Rogers (2003) abbiamo: innovatori e pionieri, una maggioranza anticipatrice ed una ritardataria, infine i ritardatari.
Inoltre un chiarimento, a monte di tutto andrebbe fatto. Ovvero che per la parola “digitale” usata nel titolo di codesta Tavola Rotonda, si vorrà intendere l’uso del Web e la pubblicazione dei contenuti su di esso, da parte delle Testate Giornalistiche delle edizioni a stampa. E’ facile inoltre convenire, che anche se la testata non pubblica nulla sul web, nulla toglie che usi le tecnologie digitali. Non potrebbe, d’altra parte essere diversamente. Ma vediamo alcuni aspetti salienti emersi nei lavori svolti presso la sala dell’Ordine dei Giornalisti di Bari.
Il web è adatto per l’approfondimento dei contenuti? Ovvero occorre disambiguare “Web” e “web”.
Il lettore mi perdonerà la lunghezza del mio testo, ma proprio stampane si è dibattuto anche su questo. Ovvero se il web sia o no, un terreno di approfondimento della notizia.
Non è chiaro nei parlanti un aspetto del loro discorso, che in effetti andrebbe ‘disambiguato’, per usare una terminologia wikipediana. E, pertanto ci si chiede: “Ma di quale web si sta parlando? Va detto che, se si dice “web”, si parla di un sistema complesso, ognuno, ovvero ogni testata, ha, o può avere il suo frammento. Ciascuno dovrebbe parlarne dunque, per quanto gli compete (ovvero per quella quantità di GigaByte o TeraByte che egli avrebbe a disposizione).
Temere il “Far Web”.
Se, quindi ora, si dichiara che ‘il web non è il terreno di approfondimento’, lo si dichiara per se, cioè riferito all’esperienza della propria testata, o lo si dice in generale, comprendendo in questo Web, anche il web altrui? O ancora, lo si dichiara dicendolo profeticamente ed induttivamente al fine di evitare di far credere che tale approfondimento sul Web sia possibile? Ponendo di fatto, l’approfondimento, esclusivamente possibile sulla carta? E’ quindi un arginare la falla, temere la perdita di lettori? Ovvero fermare la platea dei lettori dal credere tale cosa e limitare, dunque, i danni? Leggi: ‘minori vendite della testata su carta?”
I giornalisti non sono gli stampatori.
A tratti, ma solo a tratti, questa mattina, è sembrato di ascoltare, più che giornalisti l’editore stesso, o il loro tipografo. Traduco. L’idea di ‘liquidità della notizia’, non è di una mente non digitale, come è per antonomasia è quella di un tipografo, che non è, ne deve essere necessariamente un “immigrato”. Ovvero, si evince che vi sono prese di posizione economiche che legano – con un impegno ad oltranza – ancora la notizia al suo supporto. L’idea nuova invece, è che la notizia sia libera dal suo supporto, dal suo canale, come sta avvenendo per le canzoni grazie all’MP3 ed ai film grazie ai formati MPG e il DVX, ecc.
Per il web, nella fruizione quotidiana, sarebbe da prediligere la “forma liquida”, ovvero l’articolo in formato testo vettoriale, pubblicato con nome dell’autore e testata, e distribuito in vari canali a partire da una ‘root’ (radice) rappresentata dal dominio di partenza di primo livello del brand. Molti ridistribuiscono i contenuti via Apple Store, anche se alcune testate minacciano di separarsi, o l’hanno già fatto – dice Marco Pratellesi – Financial Times, che rompe con Apple, troppo costoso il 30%, per lanciare una sua applicazione web based.
La rivoluzione del digitale favorirà nuovi scenari.
Si può facilmente sostenere che in un immediato futuro, il giornalismo vero, quello più libero, sia quello del web! Nonostante la tradizione vorrebbe che rimanga, (e nei secoli avvenire), quello della carta stampata? Forse oggi, solo un tradizionalista, un sagace e fiero nobiluomo del vecchio ‘900, rimane legato alle idee delle sue “rivoluzioni industriali”. Ma, le cose passano e si evolvono, e non si può fermare il progresso, in tal caso quello digitale e tecnologico. E, bisognerebbe già pensare al dopo. E’ vero siamo in piena effervescenza e le strade sono moltissime, le Edizioni importanti e storiche non sanno dove buttarsi e sembrano navigare a vista, cambiando spesso la rotta. Affrontano con la loro mole da transatlantici il Web – anche io uso questa splendida metafora per il mio concetto – e navigano pionieristicamente, cercando di evitare gli iceberg e la povera fine del Titanic. I rischi della navigazione evidentemente non mancano. Ma anche Colombo affrontò i mari eppure scoperse un nuovo mondo.
Condividere! Ma, non necessariamente in forma gratuita
Nel 1998-99 si poté sperimentare la gratuità, dirà marco Pratellesi. Si offrirono cioè i contenuti in rete, dopo averli pubblicati su stampa. Era stata una iniziativa lodevole.
Infatti on rete, si possono trovare e leggere i pdf, di compie anastatiche di molte testate con edizioni a stampa. Altre testate offrono i PDF magari non più in modo del tutto gratuito (disponibili solo per pochi giorni, ecc). Ma il punto è, davvero che il web deve avere il suo contenuto, solo dopo che le notizie sono state passate alla stampa e raccolto il reso? Ovvero, che solo dopo la vendita e l’incasso della mattina si può pubblicare in rete? Tanto a non farlo il giorno dopo, non ci si perde nulla!
Purtroppo, – a mio avviso – non è questo un modo innovativo di comportarsi. Dov’è l’etica del servizio, la dignità professionale e l’urgenza di dare la notizia? Caro lettore del web ecco anche noi “Ti concediamo in lettura una notizia”. E, che sia scaduta o ‘bruciata’ non importa.
Ancora circa la copia anastatica avrebbe un maggior senso in un archivio storico, che so, tenuto aggiornato una settimana dopo la pubblicazione su carta, e con accesso illimitato all’utente pagante ai contenuti dell’ultimo secolo. Ecc..
Ma, a mio avviso la strada vincente è sempre la più nobile, innovativa e attraente. Prima di dare spazio ai contenuti degli intervenuti si vuole sintetizzare una visione possibile dello scrivente:
Il pannello utente, i preferiti, le classifiche e la stampa dei contenuti
L’utente dovrebbe poter gestire i propri contenuti, ovvero grazie ad una comoda interfaccia personale, ed accesso previa registrazione, dovrebbe poter individuare e quindi organizzare i suoi articoli preferiti in una sua rassegna stampa, dovrebbe poterli etichettare, e condividerli con la sua comunità di riferimento, senza costringerlo a copiarli magari in word per poterli inviare, ma il sistema stesso favorirà queste operazioni, mantenendo così il controllo sul contenuto, e quindi dei diritti, il più al lungo possibile. Da cui deriva il controllo dei diritti pubblicitari continuando a esporre i propri banner. Questo discorso va curato fino in fondo, ovvero fino alla stampa su A4, un layout prestabilito, con spazi pubblicitari pre assegnati (magari già venduti) e colonne standard, compreso di testata e loghi ufficiali. L’utente stamperà gli articoli con tutte le credenziali necessarie, pubblicità comprese. Ovviamente l’utente potrà inserire i propri gusti ed interessi, se non lo farà, sarà la scelta stessa dell’articolo che favorirà il tema e quindi la pubblicità attinente. Per cui facendo in modo che l’utente possa condividere la notizia, essa sarà a sua volte fonte di informazioni da parte del lettore per l’editore, che ne potrà sfruttare le potenzialità pubblicitarie con il marketing mirato. In sostanza l’utente potrà fabbricarsi una pagina del giornale con le sue notizie preferite, con tanto di logo della testata. Si solleciterà la sua sfera creativa, ludica portandolo di fatto ad impaginare la sua copia di “Repubblica” del “Corriere” o de la “Gazzetta”, ecc..
Inoltre una possibilità che offre il web è – ma questo è stato detto – quella di tracciare le visite al singolo articolo. Fatto di eccezionale portata, la notizia sul web ora, ha un suo peso, una certa visibilità, e questa, è misurabile esattamente. Ciò sarà noto all’editore, ma anche al lettore, e se può (cioè se il sistema gli lo permette) leggerà la classifica delle notizie maggiormente cliccate, comprenderà da ciò il trend sociale e culturale della sua società di rifermento, definita dal tema dell’articolo che egli sta leggendo e dai suoi tag. Da queste tendenze, l’editore favorirà i banner pubblicitari organizzati per tema, grazie proprio alle etichette (magari da quei tag già predisposte dal sistema).
La copia anastatica non rende merito al web
La necessità di slegare la notizia dalle colonne e dalla sua pagina, (per evitare la copia anastatica a video) sia quella che avrebbe, sia quella che ha avuto sulla copia stampata è quindi fondamentale. Alcune testate pubblicano la copia del quotidiano in modo anastatico pensando che il lettore che ha comprano la copia cartacea debba poi leggerla ancora in PDF. Ma questi quanti sono, quegli utenti che leggono due volte los tesso articolo? Oppure, perché insistere nel replicare su schermo un layout buono per la stampa, ma non per schermi sempre più piccoli? Ritenendo inoltre che ogni supporto vuole il suo linguaggio ed il suo modo di fruirlo ideale, e sempre a mio modesto avviso, Io si trova difficoltoso, oltreché farraginoso. Un lavoro inutile, solo dettato dalla emotività di perpetrare un format classico. Se si realizza una ulteriore interfaccia che emula l’anastatica, può complicare la navigazione, la fruizione del sito e la lettura della notizia, ed infine la sua eventuale stampa praticata con un brutale copia e incolla senza alcuna credenziale. Bene invece la sua pubblicazione in formato post di blog, con etichette e tag. Magari alcuni li potrà aggiungere il lettore, come accade per Flickr per le foto.
In conclusione la copia anastatica può avere senso in un archivio storico delle copie stampate, ma non certamente nella fruizione giornaliera della notizia.
Contenuti alternativi e complementari sul web venduti in forma liquida
Contenuti diversi ed alternativi tra web e carta, bene. Ma una parte non può non essere uguale. In fin dei conti, il fatto, stretto stretto, deve essere detto. Si può discutere su dove e come iniziare la pubblicazione. Ovvero, se a priori tutto il web, leggi le pagine pubblicata dalla redazione deve essere ad accesso pubblico gratuito o a pagamento. Da qui partono strategie organizzative. A mio avviso può essere tutto a pagamento, ma come pagare e a quali importi? Come per le foto il concetto è molto cambiato. Non esistono più come una volta le agenzie fotografiche che compravano il negativo della foto. Oggi le agenzie vendono foto in stock in abbonamento. I contenuti si possono comprare in abbonamento o in modalità singola. Un esempio può essere il caso Fotolia.
La distribuzione dei contenuti e gli intermediari
Altra questione sollevata è stare o meno nell’Apple Store. Banale, forse!. Intanto si dica che le testate italiane dovrebbe accordarsi per costruire un aggregatore di notizie distribuite in “forma liquida”, se non lo fanno loro lo fa già Google ed altri. Si lascia che continuino a farlo loro in esclusiva? Un aggregatore italiano di notizie sarebbe una svolta. Si potrebbero leggere gli articoli, comparandoli, per tema o per autore, anche di diverse testate. Nulla di più facile mettere il logo della testata accanto al nome del giornalista e del direttore responsabile. Gli articoli ‘concorrenti’ esistono già, perchè non distribuirli con un collettore nazionale. Una volta si parlava di canali televisivi europei, forse un aggregatore europeo non guasterebbe affatto. Oltre all’aggretatore ‘nazionale’ o ‘europeo’ si potrà continuare a stare su Apple Store, due canali è meglio di uno. La notizia letta su Apple Store ha maggiori costi, ma comunque va incontro ad un lettore con diversi device, e di una comunità virtuale diversa. Altra questione è il diritto di distribuzione in esclusiva, che sarebbe forse a monte della questione.
La notizia sul web favorisce l’accessibilità ai contenuti
Un vantaggio non citato del web, è il caso offerto dalla Gazzetta del Mezzogiorno che traduce il testo in audio, superando alcune barriere architettoniche relative ai non vedenti.
Conclusioni
Dalla giornata di lavoro è parso evidente che quasi tutti i relatori hanno aderito alla necessità del cambiamento verso lo sbarco al web, ma del come proporsi ancora vi sono delle incertezze. A mio avviso il tema va centrato e discusso meglio in altri incontri. Si propongo pertanto alcune idee per dei temi più mirati. Ad esempio. I sistemi dell’editoria libera e i blogger possono competere con le grandi firme delle più importanti testate? Il tema è ovviamente molto attuale, e vi è una assenza di regolamentazione della figura dei blogger da parte delle istituzioni e degli organi. Non si capisce ad esempio se il giornalista professionista può a sua volta essere un blogger o meno, in riferimento al un mandato di esclusiva per la propria testata. Oppure le grandi testate possono attingere figure giornalistiche moderne al grande vivaio dei blogger? O, al contrario le grandi testate possono concedere spazio web e visibilità, con il sistema dei blog, ad una nuovo fioritura del sistema comunicativo per la nuova generazione di giornalisti italiani?
Antonio Conte
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