Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, Mondadori, 1991, pp.241.
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di Francesco Sasso
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Giorgio Bassani, nato a Bologna nel 1916 da famiglia ebrea ma vissuto fino al 1943 a Ferrara, intraprende gli studi classici, poi conclusasi con la laurea in Lettere all’Ateneo bolognese. Subì, come molti altri intellettuali di origine ebraica, a persecuzione del Regime.
Poeta e romanziere, una delle sue opere più bella è Il giardino dei Finzi-Contini (1962), che qui ricordiamo a oltre cinquant’anni dalla pubblicazione. In questo libro il prevalere della componente intimistica non esclude l’impegno etico-civile, che, precisandosi nella condanna della violenza razzistica, fa qui da sottofondo al racconto della vicenda ambientata in una comunità israelitica al tempo della dittatura fascista. Per questo motivo, Ermanno e Olga Finzi-Contini, ebrei ricchi e da tempo estraniatesi dalla vita comunitaria ebrea di Ferrara, decidono di aprire il proprio parco, con annesso il campo da tennis, ad alcuni giovani scacciati da un circolo tennistico dopo le leggi razziali. Fra questi giovani c’è l’io narrante e i figli del padrone di casa, Alberto e Micòl.
Lo stile chiaroscurale e prezioso del romanzo disegna un mondo pervaso di un doloroso sentimento d’impotenza e di sconfitta. I protagonisti de Il giardino dei Finzi-Contini sono pervasi dall’amara consapevolezza dell’agonia di una cultura e di un’epoca, straziati dalla percezione della solitudine e condannati dalla Storia e dalla vita. Essi partecipano ad una medesima e allo stesso tempo diversa condizione di estraneità, cui soltanto la morte può porre rimedio.
f.s.
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