Atom Egoyan porta in concorso al Festival di Venezia un'interessante parabola sul discernimento inconsapevole ed istintivo tra bene e male, attraverso la storia di due deportati di Auschwitz.
Serena Catalano Figura mitologica metà umana e metà pellicola, ha sfidato e battuto record mondiali di film visti, anche se il successo non l'ha minimamente rallentata. Divora cortometraggi, mediometraggi, lungometraggi, film sperimentali, documentari, cartoni animati: è arrivata addirittura fino alla fine della proiezione di E La Chiamano Estate. Sogni nel cassetto? Una chiacchierata con Marion Cotillard ed un posto nei Tenenbaum.
In ebraico, la parola Zev significa "lupo", ma il Zev novantenne confinato in una casa di riposo ha ormai il pelo grigio ed il respiro affannato. La moglie Ruth è morta da una settimana, anche se a lui serve che ogni giorno qualcuno glielo ricordi, perché quel dettaglio così doloroso viene spazzato via da una demenza senile che lo confonde e lo allontana dalla sua realtà. È il suo amico Max ad essere lucido per tutti e due: in comune hanno un passato da deportati ad Auschwitz segnato da dei numeri tatuati sul braccio sinistro, un continuo promemoria di un orrore che entrambi sentono il bisogno di vendicare. Zev ( Christopher Plummer) ha ancora il corpo ma la nebbia nella mente, mentre Max ( Martin Landau) è debole in un corpo costretto dalla sedia a rotelle e tubi d'ossigeno ma lucido nel suo piano, scritto a mano in una lettera che funge per l'altro da continuo risveglio. Nelle parole dell'amico l'uomo trova uno scopo, un motivo: vendicarsi dell'ufficiale delle SS che ha sterminato la sua famiglia e quella del compagno all'interno del campo di concentramento. In questa sacra missione Zev trova lucidità e coraggio, sembra non volersi arrendere fino all'ultimo dei quattro nomi, identici, di quattro ex tedeschi rifugiati tra America e Canada. Max lo segue a distanza, tracciando il suo percorso e lasciando che finalmente i tasselli del puzzle si ricompongano da soli, senza però mostrare il disegno che ci si aspettava: "I Remember", le ultime parole del protagonista, suonano infine come una sentenza.
Tra la rimozione e l'aggiunta, la stratificazione del ricordo
La struttura di Atom Egoyan sembra essere disegnata appositamente per sconfessare lo spettatore: come da tradizione, si viene infilati in un labirinto fatto di prove incriminatore che portano verso una direzione, la stessa che Zev prova con costanza ad intraprendere, nella speranza di poter raggiungere la sua vendetta. Una vendetta che lo spettatore sente nel cuore e nella mente, considerato il tema (uno dei pochissimi che rende unanimemente concorde una platea nell'additare il nemico comune). Il protagonista diventa così simbolo di una vendetta collettiva che si esprime negli occhi di Christopher Plummer e Martin Landau, straordinari performer che regalano due interpretazioni intense e sentite. Nel momento in cui la stessa impalcatura di Egoyan viene sconfessata però anche lo stesso spettatore subisce una battuta d'arresto, un momento di indecisione che costituisce il vero elemento interessante del film. Un effetto che per rispetto dell'esperienza è impossibile raccontare né descrivere, ma che contribuisce all'avventura filmica e fa di Remember una pellicola indubbiamente particolare e con uno spunto unico, che offre un nuovo punto di vista proprio su quel nemico collettivo che si è immediatamente portati ad additare.
V per Vendetta
Non solo una vendetta quindi, ma anche un modo peculiare per ritrovare se stessi ed accettare il proprio passato e le proprie scelte - un significato che si nasconde dietro un significante fatto di pochi ed impossibili indizi per tre quarti di film, e che irrompe con la violenza di uno sparo solo nella scena finale. L'unica sbavatura all'interno della struttura è rappresentata probabilmente dalla doppia spiegazione con cui termina il film, che finisce per diventare eccessivamente didascalica e sicuramente superflua - se non per regalare un ultimo momento ad un già brillante Martin Landau. Nel complesso, Atom Egoyan porta in concorso al Festival di Venezia un'interessante parabola sul discernimento inconsapevole ed istintivo tra bene e male, che convince e finisce per regalare allo spettatore un film esteticamente pregevole ed intellettualmente stimolante.
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