Un dubbio ancor più forte mi è venuto quando più di una volta gli amici animali di Vitalis e Rémi venivano chiamati camerati. Allora ho quasi avuto la certezza di essere incappato in una traduzione un po' vecchiotta che però, in fin dei conti, data la scorrevolezza e la solidità linguistica, valeva i pochi euro spesi. Ovviamente sul libro non c'è nessun riferimento all'autore della traduzione né all'anno in cui è stata fatta.
Antonio Faeti di questo libro disse che "...è un libro tutto pervaso di etica, dall'inizio alla fine". E' un libro, quindi, che è stato lo specchio di una letteratura che faceva del dolore e delle difficoltà della vita il motivo portante. Una letteratura dalla lacrima facile che nell'Italia umbertina aveva attecchito senza troppi problemi, basta pensare a quante calde lagrime versarono i ragazzi di allora leggendo Cuore di Edmondo De Amicis. Questa Italia, fiera e nuova, produsse una letteratura per l'infanzia un po' retorica, fatta di pietismo e affettata solidarietà interclassista: era compito di chi era abbiente aiutare il povero; meglio sarebbe stato prendere coscienza della sua condizione e aiutarlo a migliorare, ma non era ancora giunto il tempo per questo, e anche lo stesso De Amicis se ne rese conto.
Alla fine del romanzo però c'è la redenzione sociale di Rèmi e tutti coloro che con lui sono stati cattivi pagano, chi con la morte chi con la povertà, che agli occhi di Malot sembra essere il destino più crudele, l'aprile dell'era industriale. E' una povertà che non risparmia neanche i buoni come Vitalis, lui che cocciuto com'era aveva deciso di abbandonare le corti europee e cantare per strada; lui che a differenza del suo connazionale Garofoli usava le buone maniere per ammaestrare i cani ed educare i bambini, non le percosse. Ma non sono stati i cattivi sentimenti a spezzarlo in quella gelida notte francese, stroncato dal freddo: è stato proprio il suo orgoglio. Infatti anche quando ebbe la possibilità di dichiarare chi fosse e come mai cantava così bene, non lo fece: il famoso tenore Carlo Balzani era morto da tempo e al suo posto adesso c'era il vecchio e fiero Vitalis. Un maestro che con poche parole e in poco tempo riuscì a insegnare al piccolo Rèmi come si viveva per le strade, come si riusciva a strappare qualche moneta agli astanti che riempivano le piazze per i loro spettacoli e come sfruttare ogni incavo della terra per trarne un rifugio per la notte e sopravvivere al freddo. Insomma, gli insegnò a guadagnarsi la pagnotta, stavolta non in senso figurato ma reale, perché proprio di pane questi saltimbanchi sembrano nutrirsi sempre. Un pezzo di pane e un buon giaciglio erano per loro il bene più prezioso, le mete da raggiungere a fine giornata.
I buoni propositi vengono premiati, le cattive intenzioni invece sono punite. Questo, più che un vero ritratto sociale della Francia, sembra essere una sua idealizzazione, ciò che Hector Malot vorrebbe che la Francia diventasse. Progresso sì, ma insieme ad esso anche un progressivo risanamento dei buoni sentimenti, una maggiore attenzione alle questioni dei lavoratori, in questo caso dei minatori. Malot se ne rese conto anticipando di sette anni (sto parlando del 1878) il Germinal di Émile Zola.
I buoni sentimenti e le lacrime non erano rare a quei tempi, sopratutto in Italia. Infatti non aspettarono molto a tradurre dal francese questo classico della letteratura per l'infanzia (cosa che avvenne presso l'editore Garroni nel 1890).
Da una parte, quindi, Senza Famiglia è un libro carico di etica e di morale che poteva andare bene in quegli anni in cui (forse) è stata redatta la traduzione che ho letto. Ma la poca attenzione verso questo classico straniero, prima che questi fossero apertamente osteggiati, non mi sorprende. D'altra parte però Vitalis rappresentava motivo di imbarazzo se pensiamo che il Regime non poteva tollerare un personaggio così anarchico, libertario, assolutamente contrario a ogni forma di prevaricazione autoritaria (basta vedere come viene trattato l'agente di polizia in uno dei primi capitoli). Malot stesso non intende giustificare questa guerra tra poveri (come in fondo era la politica coloniale italiana), e non giustifica altresì le prevaricazioni autoritarie. Peccato che questo grande autore è morto nel 1907 altrimenti avrebbe visto fino a che punto l'autoritarismo si sarebbe spinto.