Che Renato Vallanzasca avesse delle doti manageriali, non è un fatto sconosciuto. A capo della mala milanese degli anni ’70, gestiva affari e profitti in guanti più o meno bianchi che immancabilmente sporcava.
Il conto della sua indole affaristica a fine carriera riportava: libertà. Un prezzo troppo caro per qualsiasi uomo. Una cifra che, sommata ai tanti “no” e all’ultima sospensione, appesantisce l’ammontare della pena.
Eppure, quegli occhi azzurri che tanto male hanno visto, a porte chiuse e finestre a strisce, non hanno mai smesso di guardare avanti. Nel marzo 2010 a Vallanzasca veniva permesso di poter uscire dal carcere insieme agli altri detenuti e andare a lavorare. La destinazione era la cooperativa Ecolab, una ONLUS costituita nel 2000 da un gruppo di detenuti del penale maschile e solo nel 2002 allargata alle donne. Dal 2006 la Ecolab CooperatvaSociale ha allargato il proprio raggio di azione mettendo a disposizione le proprie capacità di inclusione lavoro anche a detenuti, disabili e disabili deboli in collaborazione con gli Uffici per l’Impiego della Provincia di Milano.
L’attività della Cooperativa è incentrata sullo sviluppo della professionalità delle singole persone. Il lavoro si organizza per l’ideazione e la produzione di accessori moda e gadget firmati “Gatti Galeotti” il marchio gestito insieme alla cooperativa Alice. Lì Vallanzasca, insieme ai suoi colleghi, si è impegnato fino al novembre 2010 poi “ha investito” sul lavoro autonomo.
«Faceva parte di un progetto ambivalente. – spiega Massimo D’Angelo Presidente dell’Ecolab- La prima parte, sviluppata qui da noi, serviva per monitorare le sue capacità di cooperazione e verificare quelle di assimilazione delle regole all’interno di un gruppo. La seconda fase dello stesso programma – continua D’Angelo- prevedeva, invece, che il soggetto fosse più autonomo dal punto di vista lavorativo».
Problemi con Vallanzasca?
«No, non ha mai creato problemi»
Ne ha portati?
«Secondo me, lui avrebbe potuto portare le problematiche del carcere all’esterno, sensibilizzare un’opinione pubblica pronta a mettere dentro la gente e buttare via la chiave sul problema “carceri”. Questo -afferma Massimo D’Angelo- Vallanzasca, purtroppo, ma non l’ha mai fatto».
Da novembre, quindi, per Vallanzasca è cambiato qualcosa.
Superato il primo step del progetto educativo/rieducazionale, ha abbandonato l’Ecolab per dedicarsi alla sua passione di sempre: l’informatica (settore tra l’altro che, in un altro penitenziario e all’interno di un altro programma educativo, lo aveva fatto emergere fra tutti proprio per le sue spiccate capacità).
Il Carcere di Bollate, proprio per riuscire a rieducare motivando i suoi “ospiti” a migliorare, vanta una percentuale bassissima di recidivi. Solo il 17% contro il 70% di altri penitenziari, torna infatti dietro le sue sbarre. Una percentuale bassissima rispetto alla media, a cui non fanno di certo testo i pluriergastolani, che fa certo onore all’impegno degli educatori, della direzione e della struttura penitenziaria tutta.
Così, motivato da amore e passione per i cervelli elettronici, per Vallanzasca si prospettava una carriera con le macchine chiamate computer e simili.
Milano era fredda e grigia e la nebbia, spesso rotta dalla pioggerellina sottile, da dicembre ha cambiato il suono delle auto in corsa o in fila su un asfalto bagnato. In zona Certosa è arrivato anche il tempo della neve ma per Vallanzasca il tempo ha solo scandito il ritmo del suo impegno. Chissà cosa avrà pensato mentre cambiando abito da imbianchino a muratore, metteva a posto quel locale che da lì a poco, sarebbe diventato il suo posto di lavoro.
Sciolta anche l’ultima neve rimasta ai bordi di quell’arteria di viale Certosa per lasciare spazio alla primavera, proprio quando Vallanzasca stava mettendo a punto gli ultimi dettagli per inaugurare la nuova attività, non di certo sua si intende, è arrivata la sospensione.
Le regole non son fatte per essere trasgredite. Il “Valla” dovrebbe saperlo bene.
Eppure sarà capitato a tutti di parcheggiare in doppia fila, rispondere male dopo una giornataccia o di mangiare un dolce pur avendo il diabete. Già, sarà capitato. Ma noi siamo uomini liberi e la sanzione, quando e se applicata, non è mai tanto salata come il ritorno alla mancata libertà.
Renato, sebbene diverso da quegli anni di piombo, tanto dentro quanto fuori, lo sa ma, probabilmente, deve ripassare la lezione.
Forse, è proprio il caso di dire, la lezione dovrebbe impararla anche quel vizietto che si chiama donna e che stuzzicando rima facendo solo danno.
Marina Angelo
per la foto si ringrazia la redazione milanese de Il Giorno
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