Renato Vallanzasca entra quasi nel guinnes dei primati in fatto di degenza nelle carceri italiane e in nome di quella sana giustizia che con lui continua a far scalpore a dispetto di altri nomi e nomignoli in vendita allo Stato per dire o tacere. Protagonista in bilico tra il nero ed il rosa, resta in silenzio. Dichiarandosi colpevole per i delitti commessi da lui e dai suoi ex soci, sconta la giusta pena che, per tutti i criminali del suo calibro, dovrebbe essere inflitta, e non infranta, sempre. Ma è anche sotto questo profilo che il “Valla” diventa un’icona, un “mito” nel bene e nel male. A non far più notizia ormai è anche il suo profilo dall’ego un po’ troppo pronunciato, sempre più spesso utilizzato per indicarlo o indicizzarlo sui motori di ricerca del colpevole a tutti i costi. Colpevole lo è. Lo ha sempre detto. Le richieste di santità non sono mai pervenute né ai piani alti né a quelli più bassi.
«E’ un narciso, un uomo molto impulsivo con un’intelligenza vivacissima. Un uomo colto. Un uomo che legge, che sa parlare in italiano. E’ molto severo con se stesso, molto rigoroso. Non l’ho mai sentito autogiustificarsi, questo, probabilmente, ha a che fare anche con la sua componente narcisistica così spiccata. questo se da un lato lo ha avvantaggiato, dall’altro lo ha molto svantaggiato. Svantaggiato perché se avesse avuto una psicologia appena meno spigolosa, meno tagliente, probabilmente Vallanzasca sarebbe libero da molti anni. Il fatto che questo uomo, a torto o ragione, una volta “deposte le armi”, dichiarata chiusa la sua carriera criminale, abbia deciso di non fare l’ultimo passo, quello di una richiesta pubblica di perdono, o del pentimento giudiziario (cosa che ha pagato), lo rende diverso. Se avesse seguito le orme dei suoi “illustri contemporanei” sarebbe libero da anni e penso ad Andraus:Andraus è libero da anni, è l’uomo che mangiava il fegato di Turatello, che apriva le pance dei detenuti con i punteruoli. Anche lui aveva scavato in profondità, era uno dei più terribili killer delle carceri italiane di fine anni ’70 primi anni ’80. Però, ad un certo punto, Andraus ha chiesto pubblicamente perdono. Vallanzasca questo non l’ha mai fatto e trovo tale atteggiamento in qualche modo dignitoso. Lui dice “non posso chiedere perdono per una cosa che non posso restituire. Io ho tolto delle vite e chiedere perdono non riporterà quelle persone che ho ucciso in vita. Piuttosto che apparire ipocrita agli occhi di un figlio, di una vedova preferisco tacere e preferisco ascoltare dal carcere”. Questo è stato Vallanzasca. Questo è ciò che lo ha reso il detenuto a più lunga degenza nelle nostre carceri. Credo che pochi altri detenuti come lui abbiano scontato un numero di anni di carcere quanti ne ha scontati Vallanzasca » così Carlo Bonini, autore insieme a Vallanzasca de “Il Fiore del Male”, edizioni Tropea, (dal quale è stato tratto il film “Gli angeli del male” di Michele Placido) rispondeva ad una delle nostre domande durante “L’intervista“.
Renato è stato e continua ad essere uno strumento, più o meno consapevole, per: far ricordare il male fatto, denunciare il suo comportamento, descrivere la sua sbruffoneria. Anche qui, non trovo nulla di nuovo. Se proprio ad una strumentalizzazione dobbiamo necessariamente arrivare, allora sarebbe più opportuno, secondo me, ricordare come le forze dell’ordine (tutte) siano sottopagate; come giornalmente rischiano la vita per poco più di mille euro (senza contare gli straordinari a rischio vita, salute, relazioni e conti- perché spesso non retribuiti-) in tempi, poi, assolutamente diversi.
Che le forze dell’ordine fossero a quei tempi mal viste, lo scriveva pure l’ormai Senatore Achille Serra nel suo libro “Poliziotto senza pistola” edizioni Bompiani. Oggi un agente rischia molto di più.
Oggi la criminalità, non ha uno scopo. La gente spara per un nonnulla ma nessuno è in lotta con le forze dell’ordine.
Del “suo” bandito diceva durante una nostra intervista:
«Posso permettermi di dire tante cose in merito a Vallanzasca alcune delle quali, sono state anche fraintese dai parenti delle vittime come quando affermai “Quel criminale di Vallanzasca- e la parola criminale viene prima di tutto- era anche un uomo coraggioso. Questo significa che era il primo ad entrare nei luoghi da rapinare, il primo ad offrire il suo corpo in un eventuale conflitto a fuoco… Si può essere criminali e coraggiosi: l’una cosa, non esclude l’altra. Devo rilevare che Vallanzasca grazie all’attività di polizia e carabinieri è stato arrestato tanti e tanti anni fa e, credo, che sia uno dei pochi, in Italia, che abbia fatto circa trenta, trentacinque anni di carcere. Trentacinque anni di carcere cambiano la vita di una persona come è immaginabile. Trentacinque anni fa la televisione mi pare che era ancora in bianco e nero, non esisteva internet forse, se non altro a questo livello. E’ cambiato il mondo in trentacinque, trentasei anni. Vallanzasca uscendo, non potrebbe più svolgere la sua attività criminale, perché diventerebbe un peso per la malavita e se ne libererebbe per prima la malavita, io ne sono convinto.»
E, a torto o ragione, ne sono convinta pure io. Può piacere o non piacere ma Vallanzasca, non credo riuscirebbe a rientrare nel circolo vizioso della mala. Quindi, non è vero che sotto sorveglianza e pedinato durante le sue ore di lavoro fuori dal carcere, abbia incontrato la gente sbagliata o addirittura appartenenti al suo “vecchio giro”.
Un’altra cosa, poi, ritengo importante. Ci sono delle leggi scritte ma anche quelle non scritte appartenenti a diverse realtà o gruppi sociali. La famiglia, la scuola e, ad esempio, il carcere. Lì un regolamento a decodifica del carcerato impone di non farsi mettere i piedi in testa. Possiamo fingere di stupirci, restare allibiti e dichiararci addirittura indignati quando leggiamo (solo per Vallanzasca) ha risposto male alle guardie oppure ha dato uno schiaffo a…ma…seppur pensato e mai o quasi mai palesemente detto, sfido chiunque a giurare di non aver mai, una sola volta, goduto o trovato un ulteriore supporto alla giustizia quando ha appreso in modo diretto o indiretto (parlo anche di pellicole o interpretazioni di criminalità sopra i palcoscenici) che ad esempio un pedofilo è stato pestato a sangue dagli stessi carcerati casualmente lasciati soli per 5 minuti (ma ne bastano anche meno) dalle guardie.
Beh il problema è allora davvero il soggetto.
A spiegare il cambiamento di Renato Vallanzasca ci ha pensato Leonardo Coen che, insieme al “vecchio bandito” della Comasina, ha scritto “Renato Vallanzasca. L’ultima fuga” ,Dalai editore. E mai come adesso, il sottotitolo dice molto più di quel nome tritato e ritritato da molti, forse troppi.
Coen oltre a quanto ha scritto con Renato, che si recava nel suo studio –previo permesso – ha spiegato più volte come è davvero cambiato. E’ oltremodo vero, però, che non ha mai omesso come la sua fosse una personalità particolare. Il carattere, lo stile ed il modo di fare irritante, arrogante ed indisponente a volte tornano a far capolino quando ricorda, come se qualcuno lo avesse dimenticato, che lui è Renato Vallanzasca. Quasi obbligato a rammentarlo proprio perché diverso dall’uomo che era. Ed allora l’ultima fuga, sembra proprio essere stata da quel vecchio “se”.
Spostare i riflettori del suo nome per scandire il tempo troppo lontano o quello più vicino ma di “normale amministrazione” per il codice dei detenuti, allora, serve a ben poco. La giustizia, e non solo in questo caso, lo sa bene. Oggi l’”ego-man” resta sospeso dalle sue attività lavorative.
Marina Angelo
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