È la sfida che l’Italia lancia nel suo semestre di presidenza Ue che inizierà il 1° luglio. Il premier medita sulla candidatura di Federica Mogherini (attuale titolare della Farnesina) al ruolo di commissario europeo per gli Esteri, stamani alla Camera ha presentato le linee programmatiche del semestre, anche in vista del Consiglio europeo del 26 e 27 giugno.
Il premier ha discusso su due piani: uno europeo, l’altro strettamente italiano, apparentemente scissi, ma intrinsecamente legati. Non a caso, Renzi ha insistito su un’Italia che lavora e che va in Europa senza paura delle raccomandazioni, ma anzi, che sia tanto capace da darne a sua volta. Il discorso si è poi allargato: oltre alle questioni legate alle manovre economiche, si è affrontata la difficile questione dell’immigrazione con chiari riferimenti a Frontex e Mare Nostrum, sottolineando che i problemi non possono essere più dei singoli Stati membri, “aiuti o l’Europa si tenga sua moneta”.
A discorso concluso, tuttavia, in aula si consuma lo scontro sulla risoluzione di maggioranza relativa al semestre europeo (un documento con cui Montecitorio dà il via libera all’intervento del premier).
Nella risoluzione, approvata dalla Camera con 296 sì e 169 no e firmata dai capigruppo Roberto Speranza (Pd), Nunzia De Girolamo (Ncd), Antimo Cesaro (Sc), Lorenzo Dellai (Per l’Italia) e Pino Pisicchio (gruppo Misto), manca qualsiasi riferimento all’allentamento del patto di stabilità, ipotesi rilanciata ieri dal portavoce di Angela Merkel e punto su cui preme in particola il Movimento 5 Stelle. Una circostanza che fa salire la protesta dei grillini che parlano a tal proposito di un “mandato in bianco” del parlamento a Renzi. A votare contro sono anche Forza Italia e Fdi.
Ambizione, una parola importante nelle idee politiche di Renzi. “Che tipo di Italia presentiamo in Europa e che tipo di Europa vogliamo?” chiede all’inizio del suo intervento. “Noi andiamo in Europa quando usciamo la mattina di casa, quando siamo nelle condizioni di guardarci allo specchio. L’Europa non è qualcosa di ‘altro’ rispetto a noi. Non è un insieme di richieste alle quali ci accostiamo con spirito preoccupato e sguardo terrorizzato. Facciamo di questo dibattito una opportunità. Indipendentemente dall’appartenenza politica, noi portiamo in Europa un’Italia forte, non per il risultato elettorale di qualcuno e non di altri, ma perché c’è un’Italia consapevole delle qualità dei propri imprenditori e lavoratori. Noi non accettiamo da nessuno lezioni di democrazia, qui o fuori dai confini nazionali. L’Europa non è il luogo delle autorizzazioni”. Ha aggiunto poi: “L’appuntamento europeo di giovedi e venedì prossimo deve essere inserito in una riflessione che tenga insieme il Consiglio europeo con l’inizio del semestre a guida italiana. Alziamo l’asticella delle ambizioni piuttosto che alzare la voce”.
Sulle nomine ai vertici dell’Ue, il premier dice: “Vive su Marte chi pensa che gap di democraticità si colma indicando Juncker”. Aggiunge “Quello che è accaduto è molto più significativo e grave: è accaduto che un pezzo intero della comunità civile non è andata a votare, che chi ha votato ha espresso spesso un voto profondamente ostile al modo in cui l’idea europea che è stata espressa in questi anni, sulle politiche economiche” che sono state attuate.
Proposta di un pacchetto di riforme. Il premier propone quindi un “pacchetto di riforme” atto non solo a rendere più efficiente l’operato del governo, ma anche a screditare quelle serpentine critiche mosse a quest’ultimo in questi primi 4 mesi. Si è paragonato l’ordinamento italiano ad una sorta di puzzle senza cornice, in cui si opera quasi senza criterio; “ma la cornice noi l’abbiamo molto chiara”, ribadisce Renzi ed è suo intento darle la forma e l’attuazione giusta. “Tuttavia, se non siamo riusciti a spiegare l’orizzonte di insieme vuol dire che la colpa è nostra. Ora ci prendiamo, dopo i primi 100 giorni più o meno scoppiettanti, un arco di tempo che sia sufficiente, di mille giorni: dal 1° settembre 2014 al 28 maggio 2017. Inseriamo cioè un arco temporale ampio sul quale sfidiamo il parlamento, perché la nostra legittimazione deriva dal parlamento, e se volete potete mandarci a casa domani mattina. Prima di settembre bisogna individuare come noi interveniamo sui singoli settori, come in questi mille giorni siamo nelle condizioni di ‘sfidare’ il parlamento a migliorare il Paese. Tre anni è un periodo ampio per poter riportare l’Italia a fare l’Italia, per far sì che non si faccia dettare tutte le volte l’agenda da un soggetto esterno”.
In materia di immigrazione, come precedentemente accennato, sono state pronunciate espressioni dure. Un’Europa che spiega al pescatore calabrese che non può pescare il tonno in un certo modo ma poi volta le spalle a quest’ultimo nel momento del bisogno, “quando in mare ci sono i cadaveri e volta le spalle dall’altra parte, l’Europa non è degna di chiamarsi Europa di civiltà. L’Europa dovrà avere la forza di gestire in modo unitario e condiviso ciò che sta accadendo nel Mediterraneo” e “internazionalizzare l’intervento umanitario con un investimento molto forte in Frontex”. Il premier ringrazia quindi la Marina italiana, le “donne e gli uomini che lavorano all’accoglienza e con professionalità straordinaria hanno gestito l’emergenza”. E ancora: se in Europa “di fronte alle tragedie dell’immigrazione dobbiamo sentirci dire questo problema non ci riguarda, allora tenetevi la vostra moneta ma ridateci i nostri valori”.
In materia di lavoro, Renzi comunica che è stato spostato da inizio a fine semestre, per motivazioni sia interne che esterne. Per quanto riguarda i motivi interni, “speriamo che il parlamento riesca entro la fine del semestre ad approvare il disegno di legge delega (Jobs Act) che è la vera sfida sul lavoro”. Per quanto riguarda quelli esterni: “fare l’appuntamento sul lavoro l’11 luglio avrebbe impedito di fare una verifica seria del programma garanzia giovani”. Da questo punto di vista, aggiunge il premier, “è chiaro e lo diremo giovedì al Consiglio europeo, la garanzia giovani non può rimanere appesa per aria. Nessuna stabilità possibile se l’Europa non si preoccupa della disoccupazione. Non c’è possibile stabilità se non c’è crescita in Europa. La stabilità senza crescita diventa immobilismo. Mi fa ridere chi dice che viola il trattato chi parla di crescita, viola il trattato chi parla solo di patto di stabilità. Il trattato ci impone di guardare alla stabilità e alla crescita come elementi che si tengono insieme. In questi anni le politiche economiche hanno fallito per questo”.
Profonda la critica nei confronti della nota “moneta unica”, concetto materiale ma non concreto, che lega gli Stati dell’Ue su carta, ma che in realtà genera un troppo spesso flebile sentimento di vera e propria unità. “Euro non basta”. “Si è affidato alla moneta il compito di costruire l’Europa in questi anni ma questo ragionamento non basta, non è sufficiente, non basta avere la moneta unica per condividere il destino insieme”. “Oggi viviamo un momento nel quale culturalmente abbiamo davanti un’autostrada, una prateria: si è convinti che la politica economica e finanziaria di questi anni se da un lato ha messo a riparo l’euro da situazioni difficili non ha consentito all’Ue di crescere e fortificarsi. Chi oggi facesse finta di non vedere il risultato delle elezioni non farebbe politica. Si è dato un campanello d’allarme alle istituzioni europee e i conservatori che non vogliono cambiare niente nell’Ue rischiano di bloccare l’integrazione e la crescita”.
Le parole del premier sono state in primis quelle di un cittadino che pretende considerazione e rispetto per uno Stato democratico, che non deve assolutamente farsi insegnare la democrazia da altri, che nella storia è stato troppe volte zerbino, sotto l’influenza di uomini stolti e forze politiche viscide.
Critiche veementi, impetuose, parole certamente crude e che per certo verranno manipolate dai più, nonostante la loro chiarezza, ma il messaggio è perentorio e resta nella mente dell’individuo che legge la notizia, che guarda il video o che ascolta la registrazione dell’incontro in Camera dei Deputati: c’è bisogno di riemergere sì come Stato, ma soprattutto come Unione e l’obiettivo, al di là dei tafferugli interni tra partiti, movimenti e forze contrastanti, è comune ad ogni italiano che si definisce cittadino d’Europa.
Il Consiglio europeo sarà una grande opportunità per dire la propria, mettersi in mostra e far cambiare direzione non solo all’Italia, ma all’Ue tutta, aprendo le porte ad nuovo periodo di crescita della Comunità.