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Renzi, asino che parla fa 18

Creato il 25 dicembre 2013 da Albertocapece

Matteo-Renzi-concorrente-della-Ruota-della-Fortuna-di-Mike-BongiornoLeggendo il carteggio tra il filosofo Slavoj Zizek e la pussy riot Nadia Tolokonnikova, recentemente liberata, si  rimane sconcertati, spiazzati e infine desolati: il livello della discussione è di una qualità ormai sconosciuta a quella italiana che sembra vagare tra sordide bugie governative, vibranti moniti dall’avello, risorgenze erratiche delle pussy idiot berlusconiane oppure il dichiarazionismo opportunista e patologico di Renzi. Siamo caduti molto in basso ed è forse questo il motivo per cui il carteggio è stato pubblicato solo in tedesco e francese: per carità di patria.

Così come meriterebbe solo un imbarazzato silenzio il job plan o come cazzo si chiama l’ignobile compitino sul lavoro confezionato dal segretario del Pd e dai suoi consiglieri cialtroni e reazionari. E’ impressionante come si riesca a confezionare qualcosa con gli scarti muffiti dei peggiori anni ’80, alla luce di fari spenti secondo i quali le sicurezze sul lavoro sono una sorta di delitto e che quindi solo sbaraccando i diritti si riuscirà ad assumere. Robaccia, discussioni da bar, ma proprio di quelli di periferia con le pastarelle vizze di qualche giorno prima e il bancone unto che vanamente si cerca di rendere lucido con il brillantante Renzi.  Ma purtroppo anche pensieri fatti che grazie ai media sono diventate delle mezze verità: così proprio il male oscuro che alla radice della nostro declino industriale viene utilizzato con qualche amaro successo come medicina e come strumento per lanciare messaggi a questo e a quello.

Perciò sull’articolo 18 da ghigliottinare definitivamente si raggiunge il parossismo delle chiacchiere, dell’ignoranza e dei favori alla classe dirigente fallimentare che ci ritroviamo.   Da dove derivi questa idea bislacca che con meno diritti si assumerebbe di più, come sia stata ficcata nella testa degli italiani  è impossibile dirlo: è un luogo comune che gira da tempo immemorabile, che fa anche da alibi al lavoro nero e all’evasione, ma disgraziatamente non ha alcun riscontro fattuale, un specie di leggenda metropolitana che tutti gli studi smentiscono. Pazienza, in Italia  i neutrini viaggiano più veloci della luce dentro i tunnel sotterranei mentre i pregiudizi o le idee sballate sono invece inamovibili come statue sul piedistallo delle chiacchiere.

Eh si perché il collegamento tra tutele del lavoro e occupazione semplicemente non esiste. Olivier Blanchard, docente di economia al Mit, attuale economista capo al Fondo monetario internazionale, autore di una manuale di macroeconomia che è la bibbia del liberismo, sostiene  che  «le differenze nei regimi di protezione dell’impiego appaiono largamente incorrelate alle differenze tra i tassi di disoccupazione dei vari paesi» . Non solo: Tito Boeri e J. van Ours, in un saggio, edito della Princeton University press, mostrano come su tredici ricerche – le uniche svolte con  criteri scientifici sulla relazione tra lavoro e tutela dello stesso –  sette segnalano che non c’è alcuna relazione, tre dicono che quando cresce la flessibilità del lavoro diminuisce l’occupazione, mentre solo una presenta una correlazione positiva.

Ora non si pretende che il Renzi condannato in Cassazione per aver tentato di fregare i suoi dipendenti precari quando era solo un giovane imprenditore, abbia contezza di ciò che dice, sarebbe chiedere troppo a una testa di turco cresciuto a quiz e cartoni animati. Ma chi lavora al gobbo sul quale il leader legge, potrebbe magari informarsi. Nel tempo libero, si capisce.


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