Matteo Renzi ha tenuto una lezione di telegenia per i suoi parlamentari. Come se Biagio Antonacci pretendesse di spiegare l'intonazione a Jovanotti. In un paese appena prossimo ad un livello minimo di normalità ci sarebbe da scompisciarsi dalle risate: purtroppo siamo in Italia e sempre più spesso il tasso individuale di cialtroneria dei nostri politici è direttamente proporzionale all'impatto mediatico, per cui continuiamo a sognare Thom Yorke dei Radiohead e ci sorbiamo Kekko dei Modà a media unificati.
Durante l'imprescindibile dissertazione, Sire Matteo ha malamente redarguito i suoi servitori osservando che la comunicazione dem non risulta più incisiva come durante i gloriosi giorni delle elezioni europee. Forse perché si sono esauriti gli oboli elettorali da distribuire al popolo. L'adiposo ducetto di Rignano pretende ora dai suoi un doveroso scatto di orgoglio e per motivarli ha ben pensato di non rispolverare una delle stantie metafore populiste a cui la politica italiana ci ha abituati; egli si è rivolto ai suoi sfoderando un'aulica e temeraria
allegoria mai sfruttata prima d'ora, il calcio: "Il catenaccio non funziona. Dobbiamo cambiare schema, partire all’attacco e tenere il possesso di palla". E la mente si infervora immaginando l'inarrestabile discesa sulla fascia di Emanuele Fiano (quello che assomiglia alla Moretti quando trova l'estetista chiuso), l'intricata ragnatela di passaggi a metà campo tra Picierno, Khalid Chaouki e Simona Bonafè. E poi l'improvvisa smarcatura di Bernadette Boschi (sempre sia lodata) che va a rete - su precisissimo traversone di Alessia Rotta - con gagliarda e leggiadra sforbiciata alla Pelè in "Fuga per la vittoria".
Alla ripresa della stagione televisiva l'invincibile squadrone avrà metabolizzato le direttive di mister Renzi: per gufi e professoroni si preannuncia un campionato da bassa classifica. Il wunderteam governativo è pronto alla battaglia, si preannunciano tempi duri per la Longobarda di Oronzo Canà.