Renzi e quella mancia di cento euro

Da Brunougolini


Mi ha molto colpito nel confronto tra Bersani e Renzi, fatto di denunce, ma anche di proposte, una promessa di Renzi, da attuare qualora divenisse il candidato premier scelto dal centrosinistra. Ha sostenuto che la prima cosa che farebbe sarebbe questa: "Daremo 100 euro netti al mese in più a chi guadagna meno di 2mila euro al mese". Una mancia, insomma, ma anche meno di quanto chiedono Fim e Uilm (150 euro) per un ennesimo contratto separato dei metalmeccanici, rìvendicato senza la compagnia della Fiom (e quindi con un'assai indebolita forza in campo).
Quanto costerebbe questa scelta dell'ipotetico governo Renzi? Una cifra notevole che non ha sollevato peró dubbi nelle folte schiere dei "montiani dopo Monti", tanto sensibili ai problemi del debito pubblico. Quanti sono, infatti, coloro che guadagnano meno di duemila euro al mese? Un esercito. Certo la proposta potrebbe interessare gli imprenditori, che in questo modo potrebbero dire ai sindacati intenti al rinnovi dei contratti nazionali o aziendali: "Ci pensa Renzi".
La verità è che il problema del lavoro non è risolvibile con ricette facili, con cento euro. Perchè in gioco non ci sono solo i salari, ma ancor più i diritti (come quello di esistere sindacalmente nelle fabbriche Fiat). In gioco c'è persino la possibilità di lavorare o meno perché molte fabbriche chiudono. Se esistono una moltitudine di salari e stipendi inferiori ai duemila euro, esistono anche moltitudini di lavoratori rimasti senza lavoro e quindi senza busta paga. E allora più che di cento euro occorrerebbe parlare di quegli ammortizzatori sociali non a caso ignorati dalle riforme del governo Monti (pensioni e mercato del lavoro).
E occorrerebbe risolvere le vicende drammatiche di coloro che con quelle “riforme” sono rimasti anche senza la pensione che era stata sottoscritta in un impegno col datore di lavoro (il vergognoso caso degli esodati).
Per non parlare del fatto che quella promessa riservata a chi intasca meno di duemila euro suona come beffarda per chi quella cifra (duemila) se la sogna anche di notte. Parliamo soprattutto dei precari. Uno studio pubblicato dalla rivista dell’Isfol informa che per i lavoratori con contratti a termine il salario medio è stato nel 2011 pari a 945 euro, appena un euro in più rispetto all’anno precedente. Con un distacco pari al 28 per cento rispetto alle buste paga di chi ha contratti stabili. Inoltre per il precario più s’invecchia più aumenta la forbice. Questo anche perché i precari non percepiscono gli scatti di anzianità, e non godono di proventi derivanti dai cosiddettin "straordinari" così come non peseranno nelle loro buste paga i possibili accordi di produttività.
Sempre a proposito di salari una recente indagine della Banca d’Italia spiega che
operai, commessi e apprendisti, hanno visto scendere il reddito reale del -3,2%. Una perdita secca del potere d’acquisto. Significa che in dieci anni hanno perso oltre tredicimila euro. Non si rifaranno con i cento euro promessi. E nemmeno con l’accordo “storico” sulla produttività. Il quale accordo godrà di una dotazione di 1,6 miliardi di euro, ma non è chiaro come sarà distribuito. C’è chi ha fatto notare che quella cifra rappresenta un tetto. Via via eroso dalle aziende che vorranno stipulare accordi per beneficiare degli sconti fiscali. Ma questi accordi, a parte il fatto che sono destinati a restringere gli aumenti per tutti previsti nei contratti nazionali, che contenuti avranno? Chi stabilirà che essi aiutano davvero la produttività, ovverosia incidono ad esempio sull’organizzazione del lavoro e non solo in termini di orari e ritmi, ma in termini d’investimenti innovativi? E se le aziende interessate fossero numerose che cosa succederà quando il tetto del fondo sarà raggiunto? Sarà una giuria a stabilire chi potrà godere dei benefici scegliendo le aziende idonee? Un bel pasticcio.
http://ugolini.blogspot.com

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