Renzi: no, we can’t

Creato il 09 dicembre 2013 da Bernardrieux @pierrebarilli1

Qualcosa di analogo si verifica oggi in Italia. Matteo Renzi è stato eletto trionfalmente Segretario del Partito Democratico e tuttavia i suoi discorsi sono soltanto abili manipolazioni di parole, vaghe promesse, programmi simbolici (un miliardo risparmiato sulle spese della politica), acerbe critiche prive di destinatario. In linea con il modo in cui è apparso all’orizzonte.


Il giovane toscano si fece conoscere parlando di “rottamazione” della vecchia dirigenza del Pd, accusata alla Nanni Moretti di essere vecchia, non di altro. Mentre lui era giovane. Ma tutto ciò non significava assolutamente niente. Renzi non può sostenere che a quarant’anni lui sia migliore politico di Konrad Adenauer a ottanta. Non bisogna scambiare la qualità dell’etichetta con la qualità del vino. Ottaviano fu uno straordinario politico a vent’anni come lo era ancora De Gaulle da vecchio, ma soltanto perché sia l’uno che l’altro erano eccezionali comunque. Chi ci dice che Renzi sia tanto sopra la media?Di straordinario ha la capacità di parlare a lungo facendo credere che dica qualcosa mentre in realtà non dice niente. Il suo racconto è un oceano di eccipiente in cui non si identifica il principio attivo. Solo sensazioni: “lui è diverso”; “lui è giovane”; “lui parla come noi”; “finalmente con lui cambierà qualcosa”. Yes, we can.Ma nessuno deve criticarlo per questa tecnica politica. Quando Dick Fosbury ebbe l’idea di superare l’asticella del salto in alto di spalle inarcandosi ad onda al di sopra di essa come un serpente, sbalordì tutti, ma non gli si poté negare il titolo olimpico. Se molti candidati badano a sedurre gli elettori emotivamente e si disinteressano di un serio programma politico ciò avviene o perché non ne sono capaci o perché un programma non esiste, per nessuno. Qualcuno ha detto che si “vende” un Presidente degli Stati Uniti come si “vende” un detersivo, cioè con la stessa tecnica pubblicitaria.Questo è il punto di vista dei candidati. Ma per spiegare l’ efficacia del metodo è opportuno prendere il problema dall’altra estremità: dal punto di vista del popolo. Se il Paese fosse ad un bivio – entrare in guerra o non entrarci, darsi un regime monarchico o un regime repubblicano – i candidati farebbero dell’una o dell’altra posizione la loro bandiera. Eleggendoli, gli elettori sceglierebbero l’una o l’altra soluzione. Ma facciamo l’ipotesi che la nazione si trovi di fronte a problemi molto complessi – tali cioè da non potere essere riassunti in una campagna elettorale fino a farne una questione di sì o di no – o anche di problemi di cui nessuno sa suggerire un’accettabile soluzione: è ovvio che il popolo non soltanto ne soffrirà, ma arriverà ad una sorta di disperazione. “Così non si può andare avanti”, “Qualcuno dovrebbe metterci rimedio”, “Qualcuno dovrebbe cambiare la situazione”. E allora ecco arrivare il candidato che non ne sa più della gente e che alla disperazione risponde con la speranza: “Change”, “We can”. Ma non offre nulla più della speranzaL’Italia è molto, molto scontenta. Il successo di Grillo non ha altra origine. Il popolo ha tendenza a rivoltarsi contro i suoi leader e perfino il gregge ordinato della sinistra ce l’ha con i grandi sacerdoti di quella che fu una Chiesa, il Partito Comunista. La “rottamazione” di cui tanto ha parlato Mattei è stata la condanna di quella dirigenza, ma una condanna immotivata. È vero, quel sinedrio non ha saputo tirare l’Italia fuori dai guai, ma ne sono forse stati capaci Monti, Berlusconi, Grillo e tutti gli altri? Ecco perché da un lato non si può rimproverare a Renzi un programma vago e al limite inesistente, e dall’altro non ci si può neppure aspettare molto, da lui.Quello che manca non è soltanto un leader capace di prendere in mano la nazione e condurla verso la salvezza, manca anche la direzione in cui andare, per trovare quella salvezza. Fino a nuovo ordine Renzi è soltanto un utilizzatore della tecnica pubblicitaria che funziona nel mondo attuale. Quanto al cambiamento, meglio non sperarci molto. No, we can’t.Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it9 dicembre 2013

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