Renzi non è un corpo estraneo o un virus - Ragionamento a puntate per pensare qualcosa di sinistra dopo il naufragio

Creato il 12 marzo 2015 da Redatagli

Ogni volta che si verificano eventi clamorosi come quello della votazione della riforma costituzionale anche da parte della sinistra interna al PD, così chiaramente non rispondente al sentimento del popolo di sinistra, sono tentato di riscrivere la storia degli ultimi trent’anni, di ripercorrere le tappe di un disastro annunciato.

Si tratta forse di un desiderio di consolazione; la consolazione per cui, date le premesse degli anni Ottanta (e poi della Bolognina), non poteva che finire così. È il desiderio di placare la rabbia con la constatazione che anche gli anni “felici” dell’Ulivo non sono stati altro che la preparazione della sconfitta, con l’accettazione di tutti i capisaldi della cultura di destra: maggioritario e direttismo, liberalizzazione del mercato del lavoro, smantellamento progressivo dello stato sociale come premessa della crescita, leaderismo, retorica antipartitica e attacco, in nome della laicità, alla politica come ricerca di senso e liberazione.

Mi fermo qui, non voglio appunto fare la storia degli ultimi trent’anni, anche se un qualsiasi ragionamento sul disastro attuale della sinistra italiana dovrebbe partire proprio dall’idea che Matteo Renzi non è un corpo estraneo nella nostra storia, bensì un prodotto di essa.

Renzi e il renzismo non sono un corpo estraneo dal momento che Berlusconi e il berlusconismo hanno egemonizzato la sinistra italiana negli ultimi due decenni. Andrà ricordato che il PDS nacque contestualmente all’abbandono del proporzionale voluto da Segni e da Occhetto, che il centrosinistra volle fortemente le leggi elettorali per gli enti locali in quegli stessi anni, leggi elettorali di segno presidenzialistico che hanno esautorato il ruolo dei partiti e delle assemblee. Inoltre, negli ultimi dieci anni il centrosinistra ha condiviso l’idea che andassero rafforzati i poteri del Presidente del consiglio a scapito del Parlamento. Ed è sempre il centrosinistra ad avere prodotto i sindaci sceriffi (pensiamo, fra gli altri, a Emiliano e De Luca a Bari e Salerno) e i leader carismatici alla Vendola e alla Civati, sorta di cavalieri senza macchia senza paura che sfidano la mediazione politica considerata come corruzione, che dipingono come squallide le sedi di partito e il cosiddetto Palazzo e che si affidano alla energia di giovani smart e insofferenti verso i riti della politica tradizionale.  

Ecco, a fronte di tutto questo, continua a non convincermi l’immagine del virus che infetta la sinistra dall'esterno. Matteo Renzi e il renzismo sono il risultato di personalizzazione della politica, disprezzo dei corpi intermedi e della mediazione, esaltazione del leader inteso come uomo solo al comando. Si tratta di quella personalizzazione, che ha nelle primarie la sua forma massima di espressione. E le primarie sono ciò che caratterizza il Partito democratico così come voluto da Veltroni sette anni fa, e sono anche uno dei capisaldi della concezione della politica e del rapporto di essa con la società di Nichi Vendola e del suo partito. Renzi e il renzismo sono il prodotto di venticinque anni di scelte volte al disprezzo della mediazione, del conflitto sociale, dei corpi intermedi e della politica come campo di senso e strutturazione d’identità, di cultura e di visione del mondo. Non siamo di fronte una frattura, bensì al risultato, al prodotto di scelte compiute a partire dalla fine degli anni Ottanta. E quindi dobbiamo parlare piuttosto di continuità che alla fine produce l’uomo solo al comando che senza remore e senza vergogna – quelle che fino a quel momento, per una sorta di pudore, si erano almeno tenute formalmente – dimostra disprezzo per il Parlamento, la mediazione, i partiti e i sindacati, appellandosi al popolo contro il cosiddetto Palazzo. 

Preso atto di tutto questo potremmo anche iniziare la battaglia politica contro Renzi evitando di trattarlo come un virus, una volta debellato il quale tutto tornerà come prima. In fondo, è questa la grande illusione della sinistra PD: riprendersi il partito dopo aver sconfitto l’influenza, senza aver capito – o facendo finta di non capire – che non di influenza si tratta, ma di morbo ben radicato nel corpo, dovuto a uno stile di vita – diciamo così –  non salutare che, alla lunga, ha prodotto effetti devastanti, per il quale non basta un antipiretico e un po’ di riposo aspettando che il virus passi.

Ecco, fuori da quell’illusione ci sarebbe allora la politica immediata che dovrebbe prevedere la guerriglia parlamentare per fermare le cosiddette riforme che ci stanno consegnando un paese stretto in una morsa autoritaria grazie al combinato disposto di stravolgimento della costituzione, legge elettorale illiberale e ritorno a un mercato del lavoro ottocentesco. E il mercato del lavoro non è solo un tema economico, è il lato più importante e sensibile della democrazia, se per noi la parola sinistra ha ancora un significato (e chi, nella sinistra PD, prometteva fuoco e fiamme su Italicum e Costituzione perché, a differenza del lavoro, sarebbero temi universali, sta solo a dimostrare il percorso perverso degli ultimi trent’anni della sinistra italiana). 

È una svolta autoritaria, non è un’influenza. Non la volete chiamare svolta autoritaria perché non è attuata con i carri armati o il coprifuoco, ma solo tramite la stupida arroganza che si presenta con il viso d’angelo di una bella ministra o la spregiudicata forza di un primo ministro giovane e smart? Va bene, chiamatela come volete, ma sappiate che non si tratta di un’influenza, non fosse altro che per il fatto che tali riforme stravolgeranno dalle fondamenta la democrazia e i rapporti di forza fra cittadini più deboli e detentori della ricchezza e del potere.

Nell’immediato ci sarebbe anche uno stile di battaglia politica nella società da cambiare completamente. Non è possibile combattere il progetto politico renziano con le battute, la satira, i tweet, addirittura le prudenze per dire e non dire, le infografiche (mamma mia che brutta parola!) per mostrare che il premier si contraddice o non mantiene le promesse. Si tratta di mezzi sterili messi in campo da chi appunto pensa che ha da passa’ ‘a nuttata, sono il Vicks VapoRub spalmato sul petto dalla mamma per svegliarsi la mattina senza Renzi e riprendere la solita vita: un po’ di maggioritario, un po’ di presidenzialismo, un po’ di retorica del merito, un po’ di liberalizzazione del mercato del lavoro, un po’ di cura dimagrante del partito e della sua elaborazione politica a favore del marketing elettorale e degli spin doctor, sotto le vecchie bandiere che scaldano tanto i cuori anche quando si procede dritti verso l’abisso.

Ci sarebbe bisogno invece di una battaglia politica e delle idee di lungo respiro in grado di dire qualcosa di preciso sul liberismo, sull’euro e sulla costruzione di una nuova grande stagione in cui ricompenetrare economia e società, per ridare forza alle ragioni del lavoro contro quelle del capitale (l’unico che ha continuato a combattere la lotta di classe senza pensare che fosse demodé, pur avendo fatto credere al nemico che così fosse).  

Ecco, per fare questo sarebbe necessario costruire un nuovo gruppo dirigente, che possa riflettere e formarsi su una nuova idea di libertà, di storia, di uomo e di rapporto tra uomo – con la sua costituzione ontologica che perdura oltre la contingenza storica –, storia e libertà.  Dovrà essere un gruppo dirigente libero dall’idea che dirigere significhi avere una carica, un posto d’assessore o consigliere regionale. Sarà un gruppo dirigente che dovrà imparare lo studio da una parte (che ormai è invece solo studio delle procedure), e l’attenzione e la vicinanza ai compagni e alle compagne dall’altra, che non perda tutto il proprio tempo nelle trame in corridoi – peraltro sempre più vuoti – di partiti sempre meno abitati, vissuti e frequentati, quelle trame in cui si perde giorno dopo giorno in umanità e capacità di dirigere veramente.

Certamente, vanno individuati i temi fondamentali del lavoro politico e di una nuova visione di società. Va messa a tema la difesa del partito politico e dei corpi intermedi e il riequilibrio dei rapporti di forza tra capitale lavoro, unica possibilità di uscita dalla crisi. Va affrontata la crisi della democrazia rappresentativa che non si risolve accentrando sempre più le decisioni e abolendo i luoghi della rappresentanza stessa. Abbiamo necessità di inverare il rapporto tra cattolici e tradizione socialcomunista per affrontare le sfide della tecnica, dell’individualismo, dell’iperconsumismo e di un giusto equilibrio tra libertà e ragioni dello Stato. 

Ma per fare tutto questo basteranno i pronunciamenti, un nuovo partito di sinistra e il recupero delle vecchie bandiere? Sono sempre più convinto che abbiamo bisogno di costruire una rete di persone che si vogliono bene per essere all’altezza della sfida di una nuova idea di libertà e di essere che trascenda la storia e la condanna al vincere.  Il pensiero spregiudicato libero, dotato di profondità filosofica, che è poi quella che cambia veramente il mondo, nasce dal bene che ci si vuole. E il bene non è un elemento prepolitico, perché quel bene è il riconoscersi come persone che si trovano immerse nella contraddizione tra aspirazione alla verità e condizione mortale, che è la contraddizione da cui nasce la politica come mediazione tra realtà e dover essere, tra individuo e collettivo. E quella contraddizione fa emergere un essere –  cioè l’uomo nella sua costituzione ontologica di finito che aspira però all’infinito e ha quindi paura di morire – che dice che non tutto può stare nel divenire della storia, come pensano marxismo, storicismo e cultura del movimento operaio. Quell’essere va tenuto fermo perché è anche un grande patrimonio politico, perché da un lato dice che non tutto il senso dell’umano sta nella storia, ma dall’altro contribuisce a ripoliticizzare continuamente la storia per toglierla dalle secche della mera amministrazione, quelle secche sempre più prive di senso e di forza spirituale che hanno fatto fallire e perdere di fascino lo stato sociale e il compromesso tra capitale e lavoro.

Chissà se persone animate dal bene che le lega non possano rappresentare oggi uno scandalo che incuriosisce, non siano quindi in grado di avvicinare tanti che sono in cerca di calore e libertà? Chissà se quello scandalo non possa anche avvicinare quei moralisti affascinati dalla trasparenza della politica che forse potranno trovare in quell’unione di affetti una purezza, anche se non moralista, anzi sostanzialmente immoralista, nella sua tensione a scovare l’umanità ovunque? 

Certamente quel gruppo dirigente nuovo dovrà nascere grazie a forme organizzative, modalità di incontro, capacità di fare rete nel paese, possibilità di sollecitare i dirigenti della sinistra italiana nella costruzione di occasioni di studio e di iniziativa politica.  Infatti, le persone che stanno assieme per quel bene che si riconoscono partono soprattutto da un’urgenza organizzativa. Lo schema per cui si inizia con la teoria e l’analisi della società va in qualche modo ribaltato perché implica l’idea che il mondo si cambia solo se si imprime una forza grazie a una dottrina politica ed economica giusta o grazie alla violenza o tutte e due assieme. Nel momento in cui la politica ha a che fare solo con la riuscita di una dottrina rivoluzionaria, legata a un’ottimistica filosofia della storia, non sarà in grado di confrontarsi con la precarietà esistenziale dell’essere umano, né di riconquistare il cuore degli uomini e quindi di comprendere tutto il reale, la sua complessità, le sue tensioni. La politica allora non dovrà contemplare soli bisogni materiali dell’uomo, ma anche la sua ansia di libertà e di sicurezza, di innovazione e tradizione stesso tempo, di tenerezza e lotta politica.

E qui mi fermo. Nella prossima puntata, proverò a riflettere su padri, eredità, generatività, “rottamazione” e autorità, e nuovo partito della sinistra, sempre per pensare a cosa significhi oggi ricostruire un gruppo dirigente.

Claudio Bazzocchi
@twitTagli


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