Non c’è bisogno di profonde analisi per capire che il progetto renziano ha subito un colpo di arresto: non certo sul piano parlamentare, ma su quello politico nel quale non è più vero, anche se continueranno a dirlo fino allo spasimo, che il renzismo e il Partito della nazione sono l’oscuro oggetto del desiderio dei cittadini. Il risultato delle regionali non restituisce affatto un pareggio 5 a 2 come certamente si dirà per carità di patria piddina, perché, appunto il renzismo avrebbe dovuto trasformare e in qualche caso ribaltare assetti di 5 anni fa, quando ancora c’era in sella il Cavaliere: invece dovunque il Pd ha avuto risultati inferiori a quelli delle precedenti elezioni regionali. Se poi si fa un calcolo sulle europee portate sempre come legittimazione della tracotanza renziana siamo a un meno 15% del Pd e del 9% considerando le alleanze. Si tratta di un chiaro rifiuto del disegno imposto dal bullo di Rignano in combutta con Confindustria, banche e poteri finanziari. Per di più in Veneto e Liguria dove correvano i candidati di più pura origine e fedeltà renziana, il Pd è andato incontro a un vero e proprio tracollo, mentre altrove, dove ha vinto ha visto ridurre dovunque e a volte in misura straordinaria come in Umbria (57% nel 2010, circa 41% oggi) la distanza dagli avversari. Se non è una bocciatura questa non so come si possa chiamarla, anche perché avvenuta al riparo di una imponente copertura dei media con punte di servilismo nord coreano, altissima astensione, alterazioni di dati per fingere la ripresa e insufflare ottimismo fasullo ( a proposito sapevate che lo 0,3% in più del Pil sbandierato più o meno un mese fa si è trasformato magicamente nello 0,1%?), bombardamenti diurni e notturni di notisti, banchieri e sedicenti esperti a dirci, come nei campi di rieducazione di Pol Pot, che ormai la ripresa è cosa fatta e chissà quali meraviglie ci attendono. Anzi sono curioso di vedere come cambieranno i dati sull’occupazione sparati da Poletti una settimana fa. Per non parlare della disaggregazione del centro destra e dell’accorrere di una consistente parte di notabilato locale ex forzitaliota sotto le bandiere del ganassa -premier. Se poi il ragionamento o la semplice registrazione della realtà non fosse sufficiente a testimoniare la sconfitta, basterebbe rivedersi la faccia cadaverica e stravolta dell’ultrarenzista Mentana e delle sue cocchine alla Crozza, durante la maratona sulle regionali di ieri. La forza di Renzi rimane, ma non ha più i caratteri propulsivi che si autoattribuiva con successo di audience, risiede ormai nella mancanza di opposizione politica, organizzata, efficace. Il centro destra in dissoluzione è chiaramente espressione di potentati locali che o tendono a passare all’altra parte o fanno quadrato corporativo come in Liguria, senza però esprimere alcunché di diverso da Renzi. Oppure si riversano nel pozzo di miseranda demagogia senza prospettive di un Salvini. La sinistra dal canto suo non riesce ad affrancarsi davvero dal tutore piddino e naviga sempre ai margini, incapace di darsi contenuti realmente alternativi o per dirla più banalmente di rottura. Il movimento cinque stelle ritorna a macinare buoni numeri, ma come ho detto alcuni giorni fa, senza riuscire ad infastidire i padroni del vapore: se si fosse aperto a un articolato panorama di alleanze (come ha fatto Podemos in Spagna ) senza rimanere rinchiuso nell’utopia autistica del 51% adesso potrebbe governare la Liguria e forse anche un’altra regione. Si limita invece a navigare schizofrenicamente tra il recinto istituzionale e il megafono Grillo, evitando di mettere in moto quei meccanismi di dibattito, orientamento e selezione interna che oltre a chiarire ed elaborare le idee- forza del movimento, e specificare la sua identità, potrebbero generare una classe dirigente all’altezza del compito e non solo ufficiali di scrittura. Chissà che a qualcuno non faccia comodo la messa tra parentesi di una consistente parte dell’elettorato e lavori attivamente per questo anche se c’è da sperare che proprio il successo di queste elezioni con la conferma dei Cinque stelle come unico vero competitore del Pd, cambi questa situazione e apra il respiro del movimento. Per ora l’isolazionismo viene sicuramente a fagiolo per Renzi specie ora che sta perdendo la portanza alare delle chiacchiere. Però qualcosa è cambiato: il premier dopo queste regionali non può più illudersi di figurare come l’uomo del futuro e del cambiamento per rientrare ufficialmente, assieme ai suoi armigeri e clientes, nelle più modeste vesti di ultima spiaggia, almeno per gli italiani in eterna gita: una posizione che per ora non scalfisce il potere acquisito, anche se cominceranno ad apparire i distinguo e le forze centrifughe, ma alla quale si chiedono risultati concreti vale a dire l’unica cosa che la governance italiana, comandata da Bruxelles, così modesta da non riuscire a scollarsi dai più vieti luoghi comuni, totalmente priva di visione, non può ottenere. Per di più la speranza di una ripresa globale a cui attaccarsi in maniera passiva se non parassitaria, per avvalorare le proprietà taumaturgiche dello scasso istituzionale e del lavoro viene meno ogni giorno che passa. In questo quadro è un attimo passare da uomo del futuro a omuncolo del passato.